sabato 26 novembre 2011

Occhio del dio

Della ginestra nell’aureo soffio
respiri, o fauno. Il caldo vento
esulta dell’estate. Il cielo, il mare
dardeggia d’oro Apollo. E la rossa
rosa adùla l’aura e asseta.
O dèmone, all’azzurro eterno
sorridi, tu o anima soave.
Te scaturì il vasto ventre verde
della gran madre, al flauto e al rombo
dei coribanti.
Acqua tra canti, radiosa danza
delle fanciulle, e tu sorridi,
o fauno, e tu sorridi all’ombra
verde fra gli odorati rami.
E gioca lo spiro lieto alle sacre fronde
all’inno degli alati e fresca aura
sfiora le membra :
“ Beato colui che il canto soave
sa dei fiori ciprigni, e l’onda
sonora del mare.
Beato chi ai venti un puro sognare
proclama e all’aureo sole si monda,
vela alta di nave.
Io amo chi al suono esulta forte
del flauto frigio e all’alba sorge
corsiero flavo.
Io amo chi presso l’ombroso avo
dorme al suono di Pane, illusa
la cieca sorte.”
Il cuore che caramente ama alate voci
volve, gorgo e tomba d’ogni oblìo,
ma te, sorgente di radioso impeto,
occhio del dio tra nubi occiduo,
o canto d’oro, sposo delle messi
marine, possa un giorno anch’io
te celebrare come antico aedo
al suono del selvoso soffio
tra cespi di viridanti chiome.    



domenica 13 novembre 2011

Orfeo

Come alla montagna esonda il respiro
del mare, tale anela il desiderio
mio di stringere la tua mano,
quali lo sguardo scorse sul sentiero
più lungi fianco a fianco, beati,
due amanti, nudi il dorso, e belli,
di crocea luce aspersi; potessi
la tua mano lambire almeno !
Sei apparsa sull’albero di vita
frutto proibito, o forma immortale
ora fugace, o divino incanto !
Euridice, il mio mondo s’immerse
negli occhi tuoi, in baratri di luce.
E ancora nera sull’acqua avviso
la barca del traghettatore e come
un papilionide sulla pietra
fermo attendo la morte. Ma non mai
da te potrà deviarmi. Se ci vieta
la dura legge di Ade e di Persefone
invida, il tuo sorriso m’è dato
ora per sempre. O dolci giacigli
d’armonia ed estatici abbandoni,
gioie di giaietto, voi neri fari
più fondi della notte e abbaglianti
più del meriggio, dolcissimo riso
chiaro più dei limpidi mattini,
non mai senza me di Stige le negre
onde varcherete. Oh ! Quella vita
giovanile fosse in un lungo sogno
e mia non fuggissi al mio volto
sino al raggio d’un’eterna aurora !
Poi che mi beai, quando il sole limpido
d’estate era nel cielo, in obliati
campi di luce e libero volò
il mio vero cuore dalla patria
via nei climi sereni con esseri
dalla mente effusi. Dammi la mano
ora, Euridice, ultimo addio
prima che ci estirpino laide arpie
dal gracchio amaro. Ma dei mortali
breve è il soggiorno e certo lunga
l’infera sosta, né sarai poi molto
in attesa. Ecco, l’estremo bacio
ormai rompe l’incanto ed un tetro
velo ed inesorabile s’intesse
fra noi. Ma pure è dell’uomo mortale
infinito l’amore, o abisso!


lunedì 7 novembre 2011

Ad Aretusa

Tu, fonte Aretusa,
solitaria, malinconica fonte,
cinta d’asfalto e di polvere,
ospiti ancora cigni e nutri
molli papiri ondeggianti
nella lieve brezza.
Oltre il tuo breve cerchio
s’apre la baia e lungi
forse scorgo il Maniace.
In fretta ti vedo, o ninfa,
o desolata reliquia
degli dei.


sabato 5 novembre 2011

Scheda di lettura Ugo Foscolo

Ugo Foscolo        Saggio d’un gazzettino del bel mondo      Firenze, Le Monnier, 1850
                     Opere edite e postume di Ugo Foscolo, Prose letterarie, vol. 4



Lettera di presentazione ( Avvertenza ). Pag. 7. Cfr. queste dichiarazioni con l’anticlericalismo di Stendhal ( Le rouge et le noir ) : “ Car les biographes italiens, ou étaient pretres, ou les craignaient; et ils ont rarement écrit avec philosophie, n’ayant jamais observé l’influence réciproque de la littérature et des moeurs; - enfin ils n’avaient aucune connaissance du monde. “
P. 28-29-30 : acuta condanna del Romanticismo, inteso soprattutto come vano fantasticare nei romanzi, la cui voga e diffusione ritiene perniciosa per la gioventù, che bisognerebbe educare a letture più costruttive.
P. 32-33 : probabile tirata contro M.me de Stael autrice di Corinne ou l’Italie. Ella avrebbe confuso in Santa Croce il monumento a Leonardo Bruni Aretino con quello presunto di Pietro Aretino e fattovi sopra le sue moralistiche considerazioni.
V, pag. 54 : strali lanciati contro il Casti, l’autore delle Novelle galanti e degli Animali parlanti, molto apprezzato in Inghilterra, come testimonia lo stesso Byron, con grande disappunto di Foscolo.
In questo gazzettino l’autore brilla per piacevolissimo umorismo. Stupisce il fatto che a quest’opera non venga dato il giusto rilievo.
P. 81-82 : interessante nota sulla sportività degli Inglesi che d’estate vanno in villeggiatura in campagna o ai bagni di mare. P. 82 : non solo gli Inglesi andavano al mare, ma facevano anche escursioni in montagna ( Svizzera ).
P. 88 : interessantissima pagina sul temperamento dei popoli, l’inglese “piuttosto iniquo che ingiusto”, il ginevrino ipocrita, il francese linguacciuto e ignorante, l’austriaco pieno di sospetto.
P. 92 : la sentenza s’addice ai nostri tempi : “ Parmi che nel sommo della barbarie o della civiltà dei popoli la facoltà di pensare sia inattiva. “
P. 93 idem : “… quando la filosofia è fatta decrepita, le sue teorie di politica perfettibilità riducono i popoli a impazzare, e a non poter altro che ciarlare e servire. “   Sarebbe interessante sapere a chi appartengono i versi inglesi riportati nella medesima pagina.
P. 96 : frammenti. Pagina assai interessante sul confronto tra il costume inglese e quello italiano ( il saluto fatto con la mano, all’inglese, e il baciamano, all’italiana ) tenuto nei confronti delle signore. Bella l’allusione al prete sudicio che frequenta le case nobili italiane con le varie funzioni riportate.
P. 99 : interessantissima pagina sul dandysmo. A proposito della visita ad un amico in veste da camera ricamata di pappagalli, Foscolo scrive : “… i dandys non sono ridicoli, anzi la sola definizione del loro nome è cosa serissima; e, volendo trovarla, m’è toccato andare sino alle tradizioni omeriche de’ tempi Iliaci. “
P. 104 : cita l’episodio della colonna infame a Milano a proposito di uno scritto di Addison. Segno che l’episodio aveva una qualche notorietà, se lo stesso Addison nel 1700 aveva ricopiato l’iscrizione della colonna e si era interessato al fatto ( anche Bayle, dice Foscolo, aveva considerato quell’avvenimento ).
P. 105 Decimo frammento : F. qui parla de Le Grazie, il poemetto incompiuto. Interessante è l’affermazione che grazie alla contemplazione della Bellezza ( che è unita alla virtù ) l’uomo si eleva sino al “ Creatore di ogni Bellezza “. Evidentemente F. non era ateo. Qui mostra di essere piuttosto platonico.    

venerdì 4 novembre 2011

Scheda di lettura A. Verrecchia

Anacleto Verrecchia              La catastrofe di Nietzsche a Torino             Milano, Boringhieri, 2003




Pag. 97 : episodio dell’abbraccio al cavallo, in Delitto e castigo di Dostoevskij è descritta la medesima scena ( parte I, cap. V ). L’autore russo era uno degli scrittori preferiti da Nietzsche negli ultimi tempi. Vedi Delitto e castigo a pag. 205 ( ed. Newton-Compton), è evidente, come del resto sottolinea Verrecchia, l’affinità tra il temperamento di Dostoevskij e quello di Nietzsche o meglio tra Raskòlnikov e Nietzsche, se così si può dire.
Vedi la nota a pag. 168 n. 56 de La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica di Mario Praz ( ed. Sansoni ), dove sia Dostoevskij che Nietzsche sono definiti sadici. In effetti il termine è appropriato se inteso soprattutto nel senso di sovvertitore della morale o antimorale, il maestro in questa materia è sicuramente De Sade.
P. 730, I vol. opere di Nietzsche, ed. Newton-Compton, Umano, troppo umano, Aforisma 95, “Amore”. Si parla di “sessualità sublimata”. In molte intuizioni Nietzsche anticipa Freud. Si potrebbe quasi stabilire una sorta di triade generativa : Dostoevskij, Nietzsche, Freud.
Anche i biglietti della “follia” sembrano rivelare l’influsso della lettura di Delitto e castigo del Dostoevskij. Laddove Nietzsche scrive a Strindberg firmandosi “Il Crocefisso” parrebbe inconsciamente rammentare il passo del II cap. del romanzo in cui Marmelàdov esclama : “ Crocefiggermi bisogna, inchiodarmi sulla croce, non compiangermi ! Crocefiggilo, giudice, crocefiggilo, e, dopo averlo crocefisso, compiangi quest’uomo ! E allora io stesso verrò da te per esser posto in croce, poiché non sono assetato di letizia, bensì di dolore e di lacrime ! …” ( P. 34 )
P. 288 : Nietzsche si firma in una sua lettera anche Fromentin. Nella Volontà di potenza si leggono osservazioni in margine alla lettura di numerosi scrittori francesi ( ad es. Renan ). Fromentin forse viene ricordato per Un été dans le Sahara nel pensiero 49 de La volontà di potenza o altrove. Fromentin descrive il tipo del dandy arabo ( “dandismo patrizio” a proposito dei “capi delle potenti tribù”, vedi pag. 47 di Dandies, Baudelaire e amici di Roger Kempf, 1977, ed. Bompiani ).
Edipo re, quarto stasimo, 1186 e seg.  Edipo è un povero diavolo, preso a paradigma della generale condizione degli esseri umani. Si noti il verbo greco apoclìnai corrispondente al tramonto, Untergang, di Zarathustra. Inoltre dàimona, sorte, significa principalmente dio, potenza, volere divino. E’ impressionante notare come Nietzsche abbia potuto interpretare la propria fine alla luce di questi versi. Immagino che ci sia un nesso tra questa strofe e le concezioni dell’ultimo Nietzsche. Egli che si fa dio, realizza in un certo senso il proprio destino. Insomma diventa pazzo ma avverte di essere preda del male.
Nonostante si sostenga che D’Annunzio sia stato un interprete “superficiale” del Nietzsche ( come se ce ne potesse essere uno “profondo” ! ) mi sembra che il poeta abbia colto il succo della sua antifilosofia nei versi de “L’otre” in Alcyone, 265 :
“ Tutto ritorna, e la saggezza è vana.
La saggezza non val legno ficulno
né zàccaro caprino. Io voglio, alunno
di Libero, finir di fine insana. “
In effetti soltanto un poeta può intendere il pensatore tedesco, il cui unico difetto fu quello di aver scritto troppa prosa polemica, mentre avrebbe dovuto comporre più versi o prose di romanzi.
Per quanto concerne l’opera di un poeta si prendano in considerazione queste affermazioni di Hume : “ If refined sense and exalted sense be not so useful as common sense, their rarity, their novelty, and the nobleness of their objects make some compensation, and render them the admiration of mankind : As gold, though less serviceable than iron, acquires, from its scarcity, a value, which is much superior. “ ( pag. 116, Ricerca sui principi della morale, VI, part I. ) Chi pensa che tutti i grandi uomini della Storia siano stati sani, si sbaglia di grosso, e chi giudica secondo il metro del senso comune deve ammettere che la propria prospettiva va dal basso verso l’alto. 

martedì 1 novembre 2011

Scheda di lettura Paolo Bellezza

Scheda di lettura

Paolo Bellezza                    Curiosità manzoniane                      Milano, Vallardi, s. d.                                                                                                                                                                                                                                                  (presumibilmente primi del  ‘ 900)


Svista del Manzoni al cap. XXIV, figliuolanza del sarto, dice che si trattava di  due bambinette e un fanciullo , al cap. XXIX : una bambina e due ragazzi .
P. 24 Manzoni lettore di E. Gibbon ( ne aveva postillato l’opera ).
P. 25 Amnesie piuttosto gravi del Manzoni che non ricordava più molti versi dell’Adelchi e alcuni personaggi minori dei suoi Promessi sposi ( evidentemente non amava le proprie opere) . Inoltre la dedica a Marzo 1821 riporta gravi errori nella data e nei fatti.

 Una sera, - narra lo stesso biografo ( il Fabris ) m’accadde di citargli due o tre versi del coro : Dagli atri muscosi, ecc.; mi disse che non ricordava punto quei versi. Un’altra sera una signora, che aveva recitato stupendamente a Napoli la parte d’Ermengarda, gli diede il proprio ritratto, con sotto scritti alcuni versi di questo personaggio : i famigliari gli dissero ch’eran suoi; egli sostenne risolutamente di non averli mai sentiti, finché dovette cedere all’evidenza quando io gli additai il luogo preciso della tragedia dove si trovano. (…) Quanto ai Promessi Sposi, suo figlio Pietro era solito dire di conoscerli meglio del padre; e difatti quattro o cinque volte mi avvenne di citare a quest’ultimo qualche personaggio secondario del romanzo, del quale egli mi assicurò che non aveva più memoria alcuna. E pensare che, tra comporlo e correggerlo, c’era stato sopra quasi vent’anni !
(…) Finalmente due errori di fatto ricorrono nella dedica che egli premise all’inno Marzo 1821 : “ Alla illustre memoria di Teodoro Koerner – Poeta e soldato dell’Indipendenza Germanica – morto sul campo di Lipsia – il giorno XVIII d’ottobre – MDCCCXIII – nome  caro a tutti i Popoli – che combattono per difendere o per conquistare una patria “. Il Koerner non morì il 18 ottobre, ma il 26 agosto del 1813; e non cadde a Lipsia, ma alla battaglia di Cadebush.

P. 27 Informazioni sulla memoria prodigiosa del Manzoni relativamente alle sue letture e studi, fondamentalmente italiani, latini, francesi. Conosceva imperfettamente il tedesco.

“ Non solo egli sapeva a mente quanto vi è di egregio nella poesia italiana, latina e francese, ma, come l’ho udito definire dal Tommaseo, era un mare di versi non solo belli, ma anche mediocri “. E soggiunge alcuni esempi davvero sbalorditivi. Aveva a memoria tutto Virgilio e Orazio, e una volta passò in rassegna odi, satire ed epistole di questo, rilevandone le incoerenze, le inesattezze, ecc., “ con una precisione di citazioni come lo avesse sotto gli occhi ”. E sapeva a mente “ tutto il dizionario delle piante stampato per la Toscana da Ottaviano Targioni-Tozzetti “, nonché molte strofe del Guglielmo Tell dello Schiller ( ed è noto ch’egli conosceva solo imperfettamente il tedesco ), “ i più bei brani dei prosatori francesi di Luigi XIV “ e “ citava a memoria passi di Bossuet , di Massillon e principalmente di Bourdaloue “. Aveva – dice lo Stampa – una memoria straordinaria che conservò fino agli ultimi anni di sua vita. A ottantacinque anni, discorrendosi una sera dell’Alfieri, recitò a memoria duecento versi di Virgilio e i versi corrispondenti d’una traduzione, non molto nota, dell’Alfieri “. Che più ? solo qualche mese prima di morire, si ricordava di certa proposta fattagli dal Foscolo circa una parola da sostituirsi nel sonetto a Francesco Lomonaco, composto nel 1802.
  
P. 34-35 Le considerazioni manzoniane sull’amore rivelano l’impostazione rigorosamente moralistica del romanzo. Per Manzoni è chiaro che l’arte deve avere un intento morale ed educativo.

L’amore è necessario a questo mondo : ma ve n’ha quanto basta, e non fa mestieri che altri si dia la briga di coltivarlo; e col volerlo coltivare non si fa altro che farne nascere dove non fa bisogno. Vi hanno altri sentimenti dei quali il mondo ha bisogno, e che uno scrittore, secondo le sue forze, può diffondere un po’ più negli animi : come sarebbe la commiserazione, l’affetto al prossimo, la dolcezza, l’indulgenza, il sacrificio di sé stesso : oh di questi non v’ha mai eccesso : e lode a quegli scrittori che cercano di metterne un po’ nelle cose di questo mondo; ma dell’amore, come vi diceva, ve n’ha, facendo un calcolo moderato, seicento volte più di quello che sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie. Io stimo dunque opera imprudente l’andarlo fomentando cogli scritti; e ne son tanto persuaso, che se un bel giorno, per un prodigio, mi venissero ispirate le pagine più eloquenti d’amore che un uomo abbia mai scritte, non piglierei la penna per metterne una linea sulla carta : tanto son certo che me ne pentirei.

P.36 Si nota come la passione di don Rodrigo  per Lucia sia molto più giustificata e comprensibile ne Gli sposi promessi che ne I promessi sposi .
P. 54 La famosa disfida fatta dal cavaliere spagnolo al cav. milanese e le percosse date al messo di cui si parla al cap. V de I promessi sposi è tutta ricavata da un’opera di Francesco Birago, Consigli cavallereschi . Il Birago nel suo ragionamento seguente al caso esposto dà ragione al conte Attilio.
P. 106-107 Il romanzo fu molto osteggiato negli ambienti clericali e nei seminari, perché considerato anticlericale e di tendenza protestante.
P. 201 A proposito del lungo silenzio di Manzoni, cita un poeta arabo ( da Ch. Huart, Littérature arabe , Paris, 1903 ).
P. 207 Nevrosi ( d’ansia ) del Manzoni : “ Pensava a lungo prima di scrivere un biglietto; scritto, lo rileggeva più volte, e inviatolo alla porta, lo faceva talora ritirare nel dubbio che gli fosse sfuggito qualche errore. “ (da R. Barbiera, Il salotto della contessa Maffei ).

Sono le  “esitazioni” e la “mancanza di risolutezza” di cui si lagna egli stesso cogli amici. E si chiama un uomo “che balbetta con la mente”, “impacciato nel cervello”, dalla “povera testa” afflitta da “travagli di mente”. E’ quel ch’egli dice “l’agitarsi nel dubbio” …

P. 209 cfr. con P. S. le ragioni del cuore e del sentimento (segnato).

… le ragioni del sentimento sono per me la cosa più astrusa, più incerta, più imbrogliata del mondo …

P. 211 : v. segnato : nevrosi della perfezione.

Mi disse il Manzoni l’altro dì, che delle sue cose egli l’ebbe a copiare diciassette volte.

P. 225 Dice che Manzoni ebbe una zia suora ( sorella del padre) cui si sarebbe ispirato per la figura della monaca di Monza.

Il monastero donde provenivano i dolci da lui gustati, fu certo quello a cui apparteneva una sua zia, Teresa, detta la zietta, che, a quanto riferisce il Fabris, gli servì poi, in parte almeno, come tipo della signora di Monza. Più fortunata di Gertrude, in seguito alla soppressione ordinata dall’imperatore Giuseppe II, potè uscire dal convento, dove, dice lo Stoppani “ l’avevano condotta, e lei si era lasciata condurre”. E ne uscì di gran voglia. “ Io per me – diceva – sono del parere di Giuseppe II : Aria ! aria ! “ soggiungeva, trinciando nell’aria di gran cerchi colla mano destra, quasi avesse voluto farsi largo, e sgombrarsi d’attorno quel non so che, da cui aveva avuto impedito per tant’anni il respiro. Doveva essere un tipo curioso. Lo Stampa ci dice che, “ vedendo qualche lavoro fino o piccolo, esclamava con una certa vocetta : gran Todeschi de Londra per fà quei robb così minutissimament “.

P. 238 Manzoni non riusciva ad uscire di casa se non accompagnato. Aveva la mania ( condivisibile ! ) di fare lunghe passeggiate e di correre.
P. 239 Eccessiva precisione : “ bisognava spendervi due minuti ( nella corsa ) … e se per caso si fosse affrettato il passo, il M. coll’orologio alla mano aspettava prima di voltare che fossero passati.” Bilancia a Brusuglio sulla quale M. usava pesare quotidianamente secondo le ore gli abiti che portava.

“ Colà ( a Brusuglio ) egli impiegava i venticinque minuti prima del pranzo – ci informa il Bonghi – a percorrere dieci volte, cinque nell’andare, cinque nel tornare, un viale d’un trecento passi. E bisognava spendervi due minuti e mezzo per l’appunto nell’andata e altrettanti nel ritorno;  e se per caso si fosse affrettato il passo, il Manzoni coll’orologio alla mano aspettava prima di voltare che fossero passati “. Si conserva ancora a Brusuglio, a quanto afferma lo stesso Bonghi, una bilancia sulla quale il grand’uomo usava pesare gli abiti che portava, “ poiché era minutissimo nel volerli più o meno grevi o leggeri, secondo la temperatura non del giorno solo, ma dell’ora, sicché si vestiva e spogliava più volte “.

P. 240 Come D’Annunzio anche M. soleva leggere ( a lungo !) quando era al gabinetto (w. c.). Vedi le altre manìe : fare il fuoco al caminetto, fumare, giocare.

…il Manzoni adoperava tanto “rustiche pipe di gesso”, quanto “più fine pipe turche”. (…) più tardi lasciò la pipa per le sigarette; poche, tre o quattro al giorno.

Patologia manzoniana , pag. 260 e seg. : serrato improvvisamente tra la folla insieme alla moglie a una festa a Parigi per il matrimonio di Napoleone I, viene preso dalle vertigini. Soffriva forse di una lieve forma di epilessia ? Generalmente si parla di agorafobia. Grande somiglianza di carattere col nonno, Cesare Beccaria, uomo pigro e ipocondriaco.

Abbiamo già ricordato che non poteva uscire di casa da solo. Il Cantù crede che ciò fosse l’effetto dello sgomento avuto da lui un giorno a Parigi, allorché, durante una festa data da Napoleone ai Campi Elisi, smarrì nella calca la moglie, e temette che le fosse avvenuta disgrazia. Comunque, il fatto è sicuro. Scrivendo al Fauriel, donna Giulia lo dice “incapace di fare un sol passo da solo fuori di casa”. Altrettanto sappiamo dall’Enrichetta e dallo Stampa, il quale aggiunge che doveva uscire accompagnato “anche a breve distanza”. Il Manzoni stesso conferma implicitamente la cosa in quella lettera al Fauriel in cui dice che sua madre e sua moglie non uscivano mai quando erano a Milano, “si ce n’est pour des affaires, ou par complaisance pour moi, quand j’avais une véritable nécessité de faire du mouvement”.