sabato 26 aprile 2014

Lucano, Bellum civile, IV, 398-401


Accidia ( a me stesso )

Tu non sapevi quale fosse il fato
che ti attendeva immoto dalla culla.
Ora tu vedi come è puro nulla
il tuo sognare e tutto il tuo passato.

Il tempo fugge e cosa t'ha lasciato
se non l'angoscia e la malinconia ?
I giorni e l'ore son fuggiti via
e la speranza già t'ha abbandonato.

Altro non vedi che l'indifferente
volto del volgo che ti ammorba e fugge
come il demonio, spirito del niente,

ahi, come ora mai così potente,
che ti circonda, che ti stringe e strugge
e poi trionfa, squallido e ridente.



L'evoluzione creatrice



        - Sono padre ! E' appena nato !
        - Ma sei proprio fortunato,
          senza intoppi e senza fretta, 
          senza scambio di provetta !
        - Da mia moglie è nato un moro,
          ella è bianca, ma è un tesoro,
          sono io quello che vedi,
          ma non è come tu credi.
          Oggi non ci sono veti,
          libertà vige di feti,
          che sia mio o no che vale ?
          Questo è un mondo ormai globale !





                   

domenica 20 aprile 2014

Danza macabra

O tu egra fonte dell'aria
vaga fantasia solitaria,
errante sui prati di cielo
avvolta in un candido velo,
del monte di ombre infinite
dal regno che tiene Afrodite.
O amata un ridente amorino
accetta ti venga vicino,
non l'odi adesso cantare,
per valli e per balze saltare ?
Dal monte proviene la danza
di nuova raggiante speranza,
un'aura soave s'effonde,
dei rivi inneggiano l'onde.
Nell'ombra fremente di linfe
leggiadre cantano ninfe
ed il mio cuore riposa
venire ove il volgo non osa.
Il coro di ninfe non odi ?
A te sola tessono lodi
e come elogio al tuo nume
di versi profondono un fiume.
Anch'io, desiato portento,
respiro addotto dal vento
a te trascorro, mia amata,
la bocca a baciarti beata.
Nel talamo sola riposi,
la porta aprirmi non osi
ed io alla porta il tuo viso
mi sogno dischiuso al sorriso.
Ma musica strana discende
dai monti inattesa sorprende
avvolta in un lugubre manto,
di notte mistero ed incanto.
Ed ora il vento che stride
non senti tu, oh, quasi ride,
sibila oscuro fra sterpi,
striscia nel respiro di serpi
e con un rumore che spossa,
ahimé, di fracide ossa.
Il turbine rapido infuria
in terra effonde l'ingiuria
ed ora vuole abbracciarti
in alto ed in basso squassarti.
Riecheggia sotto le stelle
il ballo di mille facelle
da tombe ove sorge esondando
di larve una folla danzando.
Del tempo felice ricorda
ed ancora gaia concorda
e tracciano i moti ora vani
violini agitati ed insani.
E cigolano, fremono via
febbrili e spiranti follia
col vento via che rimbomba
e pazza risuona la tromba.
E d'arpe e poi di tamburi
s'alternano a nuvoli scuri
i suoni, soffiano i pianti
dei flauti e avvolgono manti
di lutto il roseo tuo viso
quale fango sul paradiso,
ahi, bieco scorgo il terrore,
lo vedi ? Così è l'amore !



https://www.youtube.com/watch?v=z0glOYQBlSA

giovedì 17 aprile 2014

Leopardi, Zibaldone, 670-674

L’orgueil nous sépare de la société: notre amour-propre nous donne un rang à part qui nous est toujours disputé: l’estime de soi-même qui se fait trop sentir est presque toujours punie par le mépris universel. Mme de Lambert, Avis d’une mère à sa fille, dans ses oeuvres complètes citées ci-dessus, (p.633.), p.99. fine. Così è naturalmente nella società, così porta la natura di questa istituzione umana, la quale essendo diretta al comun bene e piacere, non sussiste veramente, se l’individuo non accomuna [670]più o meno cogli altri la sua stima, i suoi interessi, i suoi fini, pensieri, opinioni, sentimenti ed affetti, inclinazioni, ed azioni; e se tutto questo non è diretto se non a se stesso. Quanto più si trova nell’individuo il se stesso, tanto meno esiste veramente la società. Così se l’egoismo è intero, la società non esiste se non di nome. Perchè ciascun individuo non avendo per fine se non se medesimo, non curando affatto il ben comune, e nessun pensiero o azione sua essendo diretta al bene o piacere altrui, ciascuno individuo forma da se solo una società a parte, ed intera, e perfettamente distinta, giacchè è perfettamente distinto il suo fine; e così il mondo torna qual era da principio, e innanzi all’origine della società, la quale resta sciolta quanto al fatto e alla sostanza, e quanto alla ragione ed essenza sua. Perciò l’egoismo è sempre stata la peste della società, e quanto è stato maggiore, tanto peggiore è stata [671]la condizione della società; e quindi tanto peggiori essenzialmente quelle istituzioni che maggiormente lo favoriscono o direttamente o indirettamente, come fa soprattutto il dispotismo. (Sotto il quale stato la Francia era divenuta la patria del più pestifero egoismo, mitigato assai dalla rivoluzione, non ostante gl’immensi suoi danni, come è stato osservato da tutti i filosofi.) L’egoismo è inseparabile dall’uomo, cioè l’amor proprio, ma per egoismo, s’intende più propriamente un amor proprio mal diretto, male impiegato, rivolto ai propri vantaggi reali, e non a quelli che derivano dall’eroismo, dai sacrifizi, dalle virtù, dall’onore, dall’amicizia ec. Quando dunque questo egoismo è giunto al colmo, per intensità, e per universalità; e quando a motivo e dell’intensità, e massime dell’universalità si è levata la maschera (la quale non serve più a nasconderlo, perchè troppo vivo, e perchè tutti sono animati dallo stesso sentimento), allora la natura del commercio sociale (sia relativo alla conversazione, [672]sia generalmente alla vita) cangia quasi intieramente. Perchè ciascuno pensando per se (tanto per sua propria inclinazione, quanto perchè nessun altro vi pensa più, e perchè il bene di ciascheduno è confidato a lui solo), si superano tutti i riguardi, l’uno toglie la preda dalla bocca e dalle unghie dell’altro; gl’individui di quella che si chiama società, sono ciascuno in guerra più o meno aperta, con ciascun altro, e con tutti insieme; il più forte sotto qualunque riguardo, la vince; il cedere agli altri qualsivoglia cosa, o per creanza, o per virtù, onore ec. è inutile, dannoso e pazzo, perchè gli altri non ti son grati, non ti rendono nulla, e di quanto tu cedi loro, o di quella minore resistenza che opponi loro, profittano in loro vantaggio solamente, e quindi in danno tuo. E così, per togliere un esempio dal passo cit. di Mad. di Lambert, si vede nel fatto che oggidì, il disprezzo degli altri, e la stima aperta e ostentata di se stesso, non solamente non è più così dannosa come [673]una volta, ma bene spesso è necessaria, e chi non sa farne uso non guadagna nulla in questo mondo presente. Perchè gli altri non sono disposti ad accordarti spontaneamente, e in forza del vero, e del merito nulla, come di nessuna altra cosa, così neanche di stima, e bisogna quindi che tu la conquisti come per forza, e con guerra aperta e ostilmente, mostrandoti persuasissimo del tuo merito, ad onta di chicchessia, disprezzando e calpestando gli altri, deridendoli, profittando d’ogni menomo loro difetto, rinfacciandolo loro, non perdonando nulla agli altri, cercando in somma di abbassarli e di renderteli inferiori, o nella conversazione o dovunque con tutti i mezzi più forti. Che se oggidì ti vuoi procacciare la stima degli altri, col rispetto, buona maniera verso loro, col lusingare il loro amor proprio, dissimulare i loro difetti ec. e quanto a te, colla modestia, col silenzio ec. ti succede tutto l’opposto. Essi profittano di te e de’ tuoi riguardi verso loro, per innalzarsi, e della tua poca resistenza quanto a te, per deprimerti. Quello che concedi [674]loro, l’adoprano in loro mero vantaggio, e danno tuo; quello che non ti arroghi o non pretendi, o quel merito che tu dissimuli, te lo negano e tolgono, per vederti inferiore ec. Così, nel modo che ho detto ritornano effettivamente nel mondo i costumi selvaggi, e di quella prima età, quando la società non esistendo, ciascuno era amico di se solo, e nemico di tutti gli altri esseri o dissimili o simili suoi, in quanto si opponevano a qualunque suo menomo interesse o desiderio, o in quanto egli poteva godere a spese loro. Costumi che nello stato di società son barbari, perchè distruttivi della società, e contrari direttamente all’essenza ragione, e scopo suo. Quindi si veda quanto sia vero, che lo stato presente del mondo, è propriamente barbarie, o vicino alla barbarie quanto mai fosse. Ogni così detta società dominata dall’egoismo individuale, è barbara, e barbara della maggior barbarie.
(17. Feb. 1821.)