giovedì 31 dicembre 2015

Enigma

Se la materia è infinita è anche eterna e non vi può essere nient'altro. Dunque lo spirito non esiste.
Se lo spirito è infinito ed eterno, la materia non può essere se non limitata, ma in questo caso non può essere che spirito trasformato, se esso è infinito. Dunque la materia non esiste in sé.
Il pensiero è materiale o immateriale, nel primo caso è materia, nel secondo spirito. L'evidenza mostra che il pensiero è immateriale, dunque è spirito. L'oggetto del pensiero è infinito, e se esso è immateriale, l'infinito è spirito. Dunque la materia infinita in quanto oggetto del pensiero è spirito.

Se la materia è infinita deve comprendere lo spirito, quindi il pensiero. L'oggetto del pensiero se è infinito deve comprendere il soggetto. Dunque la materia pensa se stessa. Se il pensiero è pensato dalla materia, l'oggetto coincide con il soggetto e viceversa.

Se il pensiero è finito non può pensare una materia infinita. Se la materia è finita, il pensiero che la pensa deve essere o finito o infinito. Se è finito deve poter abbracciare la materia finita in quanto oggetto del pensiero, ma se esiste l'infinito allora questo abbraccia pensiero e materia e quindi pensa il pensato, dunque il pensiero è infinito. E se è infinito, la materia non può essere che pensiero.

Che cos'è tutto questo universo rispetto alla vita del nostro Io ? In noi s'agita un tumultuoso infinito sul quale noi gettiamo lo sguardo come da uno spiraglio, timidamente.
Non conosceremo mai l'infinito fuori di noi e tanto meno quello dentro di noi. Ma siamo almeno consapevoli di essere come una porta che mette in comunicazione l'uno con l'altro.

martedì 29 dicembre 2015

Sogno d'estate







E si tuffò silenziosamente nella profonda notte. “
And plung'd all noiseless into the deep night.

John Keats, Hyperion, I, 357




Vagò a lungo per la foresta, in un labirinto di tronchi neri, appena lambiti da qualche raggio di sole, che il fitto intreccio dei rami impediva, quando non erano mossi dal vento.
Intravedeva non distante una radura, perché la luce colà si faceva più intensa e il colore era un verde brillante.
Sotto l'ampia volta delle fronde si liberava allora un rivo scintillante, garrulo quale uccello appena uscito dal nido, e snodandosi rapido traversava il prato d'erbe rigogliose.
Pareva davvero che un essere silvano lo invitasse alla sosta. Affrettò quindi il passo e giunse nello spazio aperto agli influssi del cielo.
Adagiato sull'erba, preda d'un torpore ebbro di sogni, guardava fisso davanti a sé, immerso nella visione.
Ella gli appariva, luminosa, leggera sui fiori, avvolta in una veste fragile e fluttuante come un alone d'oro, i capelli, lunghissimi e riverberanti bagliori di fiamma, le toccavano morbidi i contorni del corpo sino al tallone, poi parevano fondersi col suolo. Gli occhi erano tinti del colore del sottobosco d'autunno, belli e variegati, bronzei e vibranti lingue di fuoco.
Tutto era luce, e gli alberi erano accarezzati dal vento luminoso, una corrente di pulviscolo aureo irradiantesi nella foresta quasi una linfa vivificante, un'anima infusa per prodigio in un organo da lungo tempo muto.
Il viso si fermò su di lui. Ella lo fissò negli occhi morbidamente, maliosamente e a lui parve di abbandonarsi ad un'onda di luce più forte del turbine tempestoso e più dolce della brezza dell'alba.
Ora sembrava che da uno scrigno d'oro gli si offrisse l'essenza della vita, il tesoro che non ha pari. Doveva dunque abbandonarsi.
E la sua anima si posava sopra il ruscello multicolore che fremente e danzante correva verso la meta del grande mare e i suoi pensieri si perdevano nella brezza vesperale :
La corrente che contemplasti
ruota innanzi, le onde
sono irraggiungibili.
E noi siamo ora
in una terra solitaria,
quali simulacri di memoria
e desideri e timori,
fatui e lievi
nel lucore d'un breve giorno. “
Si aprono le porte della Notte,
si aprono le porte dell'Oscuro,
ma Ella si libra sulle canute
onde nei vortici dei tempi,
i flutti varcando dell'aria
con ali d'uccello marino,
il viso suo rifulge
e specchia le volute
delle fragili nubi
e le creste delle saline spume.
Egli la vide fluttuante
in un alone dorato
e sullo scoglio si sporse,
bramoso del bacio
della Nereide, sia estatico
al canto celeste o cupido
dell'aroma dell'amante nel mare.
Ogni cosa ha senno e parte di mente
e di vita divina respira,
tùffati fra le onde spumose
e croscianti, nello splendente reflusso
ritroverai l'antico incanto
della Nereide, volerai sul flutto
agile più d'un gabbiano.
E' più saggezza nell'alito
marino che in mille volumi
di sapienti, fra l'onde tùffati
riverberanti, nell'amplesso di Teti
incantevole. Ella sulle sabbie
del fondo tesse i vaticinii
tra i guizzi dei pesci d'argento.
Oh, amala sopra il levigato corpo,
avvinto nel suo talamo vasto ! “
Così pensava, perso nei pensieri del tempo perduto, del tempo in cui l'essere umano aveva parte al grande respiro della Natura e viveva non per se stesso ma per la Vita che lo cingeva del suo abbraccio. Allora ogni cosa era vivente, ogni albero, ogni fiore, ogni pietra variegata e levigata dalle acque, ogni uccello del cielo, ogni pesce del mare parlava nel suo linguaggio per nulla oscuro ma chiaro e forte, rivelando all'uomo riverente la grande Verità. E l'uomo venerava la presenza divina in ogni luogo e rapito ed estatico attendeva la propria morte per tornare nel seno del Tutto.
Ah, immergersi nell'alito del mattino, in una corrente d'acqua gelida, sentirne il brivido e l'impeto ! Come la dea Aurora tesse nel suo velo i canti che sgorgano dalla luce presso i lavacri del mare, così dentro di sé era invaso dal fremito dolce del risveglio delle creature. E la luce si dilatava in un'onda iridata sopra le rocce e l'ansimo salino ormai lo attendeva dopo il lungo cammino dai monti.
Il mare dell'essere si rivelava nell'immensa distesa.
Sentiva nel sole dell'estate la pienezza della vita, ricordava il riverbero dei raggi sulle onde quando, immerso nel mare, scorgeva la riva e le case sulle colline, biancheggianti tra il verde dei giardini, ricordava se stesso fra le piante, dedito alla cura dei campi, mentre innaffiava e, ogni tanto sostando, aspirava l'aria intrisa d'aromi e d'esali erbacei, allora era una cosa sola con la Natura, non era più se stesso, ma il puro e semplice atto, il puro e semplice fluire.

domenica 20 dicembre 2015

Ignaro






Chi sei ?
E si volse fra le frondi tremanti
verso il viso della creatura
ignota,
chiaroridente tra le foglie anelanti
nel fresco soffio del vento.
E il raggio dell'alba s'immerse
nel lago dei neri occhi,
profondi come la notte.
E i capelli respirarono
in un'onda calma
lucente ai dardi d'aurora.
E le sue mani toccarono
le sue dita oltre
la siepe verdecupa come
manto di palude o bronzeo scudo,
sentirono ignari.
Ed ella lo guardò e sorrise
e fu come si corica il sole
sopra gli oceani sanguigno,
come ebro di purpureo vino,
innanzi al mistero notturno
in un incantesimo perpetuo.

martedì 8 dicembre 2015

Gabriele D'Annunzio, La città morta.







La città morta, tragedia, 1898.


Lo scandaglio dell'autore s'immerge nelle profondità dell'animo umano, agitato da passioni torbide e funeste come nell'antica tragedia greca.
Vedi l'Atto III, scena I ( il suicidio della madre di Anna, la moglie cieca di Alessandro ) :

ATTO TERZO.
La medesima stanza ove si svolse l'atto primo. La grande loggia è
aperta: in alto, pel vano, tra le due colonne, appare il cielo notturno,
palpitante di stelle. Un candeliere arde su la tavola ingombra. Il silenzio
è profondo.
SCENA PRIMA.
ANNA è seduta presso i gradini; e i soffii della notte passano sul suo
viso bianco, levato verso le stelle per lei non visibili. Mentre parla,
nella sua voce è un'animazione singolare, indefinibile, simile alla
volubilità di una leggera ebrezza. La NUTRICE è inginocchiata dinnanzi a
lei, triste e sommessa.
ANNA, tendendo le mani verso la notte.
Viene qualche soffio, di tratto in tratto.... Si leva un poco di
vento; è vero, nutrice? Non senti l'odore dei mirti?
LA NUTRICE.
Si leva il vento di terra.
ANNA.
La terra respira. Dianzi, quando sono discesa alla fonte con
Bianca Maria, non si sentiva un alito: nulla! Era la calma perfetta,
senza mutamento. Non dicevamo una parola, per non turbarla.
Soltanto la fonte piangeva e rideva.... Sei mai stata attenta alla
voce di quella fonte, nutrice?
LA NUTRICE.
L'acqua dice sempre la stessa cosa.
ANNA.
Non è vero, non è vero. Dianzi, non dicevamo una parola, io e
Bianca Maria; e l'acqua diceva un'infinità di cose che entravano
in me come una persuasione.... come una persuasione.... M'ha
persuasa a fare quel che è necessario, nutrice: essa, la buona
acqua pura che viene dal profondo, dal profondo....
LA NUTRICE, inquieta.
Che vuoi fare? Che vuoi fare?
ANNA.
Voglio andarmene, andarmene lontano....
LA NUTRICE.
Vuoi andartene! Dove?
ANNA, con modi rotti e volubili.
Tu saprai, tu saprai.... Non t'agitare; sii tranquilla, povera
nutrice. Io andrò per quella strada, senza che tu mi conduca. Non
avrò più bisogno di appoggiarmi a te, povera nutrice. Nei miei
occhi si farà la luce.... Che dicevi tu dei miei occhi, l'altro giorno?
“Perché il Signore te li avrebbe lasciati così belli se non volesse
illuminarteli un'altra volta?" Vedi, nutrice? Mi ricordo delle tue
parole, e ora so che i miei occhi sono belli.
LA NUTRICE.
Come parli, stasera! C'è qualche cosa, c'è qualche cosa in
fondo al tuo parlare.... Ma io sono una povera vecchia.
Anna, presa da una commozione
subitanea, ponendo le mani su le
spalle della nutrice.
Tu sei la mia povera e cara vecchia; tu sei la mia prima e la
mia ultima tenerezza, nutrice. Ho sentito sempre qualche goccia
del tuo latte nel sangue del mio cuore, nutrice. Ah, il tuo petto s'è
disseccato, ma la tua bontà s'è fatta ogni giorno più grande. Tu mi
conducevi per la mano quando i miei piccoli piedi non sapevano
ancora dare il passo, e ora con la stessa pazienza fedele tu mi
conduci nell'orribile oscurità. Tu sei santa, nutrice. Io ho un
paradiso per te, nella mia anima....
LA NUTRICE.
Ora tu vuoi farmi piangere....
ANNA, gettandole le braccia al collo.
Ah perdonami, perdonami! Io debbo farti piangere.
LA NUTRICE, sbigottita, sciogliendosi dall'abbraccio, guardandola nel
volto.
Perché, perché parli cosi? Perché mi stringi cosi?
ANNA, cercando di dissipare l'inquietudine.
Oh, no, no.... per nulla, per nulla.... Dicevo cosi perché ormai io
non posso darti nessuna gioia, povera nutrice, nessuna gioia....
LA NUTRICE.
Tu non mi nascondi nulla; è vero? Tu non sapresti ingannare la
tua poveretta, è vero?, tu non sapresti ingannarla....
ANNA.
No, no. Perdonami. Io non so quel che dico, stasera; non so
quel che provo.... E' una strana volubilità. Dianzi mi sentivo tutta
leggera come se fossi per sollevarmi; mi sentivo quasi allegra:
parlavo, parlavo.... E poi m'è tornata a un tratto la tristezza, e t'ho
fatto pena.... E ora mi sento meglio, mi sento quasi bene, perché
t'ho abbracciata, nutrice. E vorrei che tu mi tenessi su le tue
ginocchia, che tu mi raccontassi le piccole cose lontane che hai
nella memoria, di me, di me quando viveva mia madre.... Ti
ricordi? Ti ricordi?
Una pausa.
Ah, perché non ho avuto un figlio: il figlio ch'egli voleva:
perché? Io sarei salva, sarei salva! Nessuna madre ha mai amata
la creatura del suo sangue come io avrei amata la mia creatura.
Tutto il resto mi sarebbe parso un nulla. Continuamente,
continuamente io avrei trasfuso la più dolce parte della mia vita
nella sua vita. Continuamente io avrei spiata la sua piccola anima
divina per riconoscere in ogni attimo la somiglianza, la
somiglianza unica; e la sua tenerezza mi sarebbe stata più cara
della luce.... Ma lo stesso Giudice mi ha fatta cieca e sterile: per
ammenda di quale colpa, nutrice? Dimmi tu! Qualche gran fallo è
stato commesso....
Una pausa. La nutrice ha gli
occhi pieni di pianto.
Come mi ha lasciata presto, mia madre! Ella aveva me, aveva
me; e m'adorava; e pure non era felice.... Tu lo sai, è vero?, tu lo
sai bene. Tu sai perché ella è morta. Tu non hai voluto mai dirmi,
nutrice, perché ella sia morta.... e come sia morta.
LA NUTRICE, turbata, esitante.
Fu una febbre, una gran febbre improvvisa che la portò via in
una notte. Non lo sapevi?
ANNA.
Ah no, no, non fu la febbre. Perché non hai mai voluto dirmi la
verità?
LA NUTRICE.
Non è quella la verità?
ANNA.
Non è quella, non è quella. La sera, mia madre era rimasta al
mio capezzale; e io, mentre m'addormentavo, sentivo i suoi baci
su la mia faccia e qualche cosa di tiepido come il pianto.... Ah era
così forte il sonno, che vinse la pena confusa del mio piccolo
cuore; e mi parve, nell'ultimo barlume della conoscenza, ch'ella
mi facesse piovere su la faccia, sul collo, su le mani le foglie di
rosa che avevo sfogliate il giorno nella vasca del giardino. Questa
fu l'ultima visione ch'io ebbi di mia madre.... Più tardi tu venisti a
risvegliarmi e mi domandasti se io l'avessi veduta e quando e
come ella m'avesse lasciata; ed eri tutta ansante. E pure io mi
riaddormentai, udendo uno scalpiccio che veniva su dal giardino,
come di gente alla ricerca. E la mattina, poco dopo l'alba, tu
venisti di nuovo a risvegliarmi e, mi chiudesti in un panno e mi
portasti su le braccia che ti vacillavano; mi portasti nell'altra casa
dove tu parlavi sotto voce, dove tutti parlavano sotto voce ed
erano pallidi.... E mai più la vidi.... E poi, quando tornammo nel
nostro giardino, tu sempre m'allontanavi dalla vasca; e quando tu
eri là, le tue labbra si movevano sempre come se pregassero....
Una pausa.
Dimmi la verità! Dimmi la verità! Perché volle morire?
LA NUTRICE, sconvolta.
No, no.... Tu t'inganni, tu t'inganni....
ANNA.
Non lo saprò mai?
LA NUTRICE.
Tu t'inganni.... Ah sempre così tu cerchi di rinnovarmi il
dolore!
ANNA, accarezzandola.
Perdonami, perdonami. Ecco che ti ho data un'altra pena!
Una pausa.
Senti l'odore dei mirti? Senti com'è forte?
Ella si alza e, rivolta verso la
loggia aperta, aspira il profumo,
tende le mani.
S'è levato il vento: pare che tintinni fra le mie dita come un
cristallo. E' aperta, la, la porta delle mie stanze?
LA NUTRICE.
E' aperta.
ANNA.
Tutte le finestre sono aperte?
LA NUTRICE.
Tutte.
ANNA.
Il vento passa come un fiume profumato. Dove sarà Bianca
Maria?
LA NUTRICE.
Forse nelle sue stanze. Vuoi che la chiami?
ANNA.
No, no.... Lasciala riposare, povera creatura! Alla fonte,
l'odore dei mirti era cosi acuto ch'ella stava per venir meno. La
sentivo vacillare, mentre risalivamo. Più d'una volta io l'ho
sorretta.... Vedi come sono sicura, nutrice! Io conducevo lei, non
ella me. Credo che io saprei discendere sola e risalire sola....
LA NUTRICE.
Ma perché tu parli tanto di quella fonte?
ANNA.
Tutti siamo attirati verso di lei come verso una sorgente di
vita. Non è ella forse la sola cosa viva in questo luogo, dove tutto
è morto e bruciato? Ella sola estingue la nostra sete; e tutta la sete
che è in noi si tende avidamente verso la sua freschezza. S'ella
non fosse, nessuno potrebbe vivere qui; tutti moriremmo d'arsura.


Magistrale è l'equivoco ( Atto IV, scena II ) tra Anna e Alessandro e il crescendo dell'orribile rivelazione. Leonardo, fratello di Bianca Maria, nella solitudine della loro esistenza matura una passione proibita e fatale che lo condurrà quasi alla follia e lo porterà ad uccidere la sorella per liberarsi dall'ossessione, annegandola nella fonte Perseia, che scorre accanto alle mura dell'antica rocca di Micene. 




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lunedì 7 dicembre 2015

Cicero, De officiis, I, 85.

Sui politici

Omnino qui rei publicae praefuturi sunt duo Platonis praecepta teneant: unum, ut utilitatem civium sic tueantur, ut quaecumque agunt, ad eam referant obliti commodorum suorum, alterum, ut totum corpus rei publicae curent, ne, dum partem aliquam tuentur, reliquas deserant. Ut enim tutela, sic procuratio rei publicae ad eorum utilitatem, qui commissi sunt, non ad eorum, quibus commissa est, gerenda est. Qui autem parti civium consulunt, partem neglegunt, rem perniciosissimam in civitatem inducunt, seditionem atque discordiam; ex quo evenit, ut alii populares, alii studiosi optimi cuiusque videantur, pauci universorum.
Hinc apud Athenienses magnae discordiae, in nostra re publica non solum seditiones, sed etiam pestifera bella civilia; quae gravis et fortis civis et in re publica dignus principatu fugiet atque oderit tradetque se totum rei publicae neque opes aut potentiam consectabitur totamque eam sic tuebitur, ut omnibus consulat. Nec vero criminibus falsis in odium aut invidiam quemquam vocabit omninoque ita iustitiae honestatique adhaerescet, ut, dum ea conservet, quamvis graviter offendat mortemque oppetat potius, quam deserat illa, quae dixi.
Miserrima omnino est ambitio honorumque contentio, de qua praeclare apud eundem est Platonem "similiter facere eos, qui inter se contenderent, uter potius rem publicam administraret, ut si nautae certarent, quis eorum potissimum gubernaret". Idemque praecipit, "ut eos adversarios existimemus, qui arma contra ferant, non eos, qui suo iudicio tueri rem publicam velint", qualis fuit inter P. Africanum et Q. Metellum sine acerbitate dissensio.