giovedì 21 luglio 2016

Ercole Luigi Morselli, Glauco

L'opera è del 1919, l'idea è tratta da Alcyone ( 1903 ) di D'Annunzio, precisamente dalle liriche “ Bocca di Serchio “ e “ La corona di Glauco “. Anche l'azione, tutta pervasa d'eroismo, è di matrice dannunziana.
Ecco una strofa da “ Bocca di Serchio “ che costituisce chiaramente una fonte del testo di Morselli :

 
GLAUCO

Chiudi gli occhi. Odi il vento? Navigare
ti sembra, veleggiar per il deserto.
Odi il vento tra le sàrtie? Odi
il gemito degli alberi allo sforzo
delle vele? Si naviga per acque
infide verso l’isola di Circe.
Negli orciuoli d’argilla non rimane
goccia di fonte. Beveremo il sale.
Apri gli occhi! Ecco l’atrio della maga
tutto riscintillante di prodigi.
Larve di stelle adornano la reggia
della donna solare, vedi?, simili
a foglie macerate dagli autunni
che serban lor sottili nervature
con la tenuità dei bissi intesti
d’aria e di lume. Fili palpitanti
le congiungono, l’iride le cangia,
indicibile tremito le muove.
Circe incantò le stelle eccelse, e l’ebbe,
e le votò di lor sostanza igníta;
e qui raduna le lor dolci larve.



E poi c'è il celebre e breve testo di Archiloco :


Γλαῦχ᾽ ὅρα· βαθὺς γὰρ ἤδη κύμασιν ταράσσεται 
πόντος, ἀμφὶ δ᾽ ἄκρα Γυρέων ὀρθὸν ἵσταται νέφος, 
σῆμα χειμῶνος· κιχάνει δ᾽ ἐξ ἀελπτίης φόβος.
 
Glauco guarda : già è sconvolto dai flutti profondo
il mare, intorno alla vetta delle Gire alta sta una nube,
segno di tempesta, giunge all'improvviso lo spavento.


L'enfasi pervade il dramma, decisamente ingenuo, i sentimenti sono esasperati e i personaggi privi di spessore psicologico.
Glauco promette alla fanciulla Scilla di sposarla dopo aver compiuto grandi imprese ed essere divenuto addirittura re. Quindi prende il mare. Diventa effettivamente re dopo molte azioni eroiche e durante il ritorno, sorpreso dalla tempesta, giunge alla terra di Circe. Qui la maga lo seduce per renderlo suo prigioniero. La reggia di Circe, le tre Parche, il coro delle sue schiave, tutto è reso con molta efficacia e abilità descrittiva.
Circe si innamora di Glauco e dal momento che l'eroe non la ricambia, per gelosia provoca la morte di Scilla. Scilla infatti nella sua Sicilia, una volta abbandonata da Glauco, si dispera e infine si uccide gettandosi in mare. Le ultime scene ci mostrano il ritorno di Glauco ormai divenuto dio, la scoperta della disgrazia e il sacrificio di sé dell'eroe, che si fa legare al cadavere della fanciulla e precipitare in mare.
Più che come un dramma dovrebbe essere utilizzato come sceneggiatura per un melodramma, quale ad esempio la Salomé di Richard Strauss. Il fatto che Luigi Pirandello lo abbia tradotto in dialetto siciliano conferma la necessità della trasformazione dell'opera di Morselli in azione mitica, di leggenda locale.


Ecco uno stralcio significativo del testo :


ATTO SECONDO
Angolo d’una immensa sala cubica della reggia di Circe, tagliata nel vivo smeraldo.
Da una grande finestra si vedono Cielo e Mare confusi in un meriggio d’oro. Presso la finestra sta un alto braciere cinto di ghirlande d’alloro e girasoli.
A sinistra, sull’alto di sette gradini scolpiti in un blocco di smeraldo, si vede il letto d’oro di Circe, nascosto da una tenda di porpora.
Incardinato alla parete ai piedi della gradinata, è una specie di grande sportello d’oro massiccio, fatto per essere aperto dal sotto in su, e che par nascondere una buia fenditura della roccia smeraldina.
A destra, una grande porta, da cui si scende al mare, e da cui si vede un lembo dell’isola incantata. Più avanti, una conca d’oro nella quale cadono limpidissime gocce di un’acqua che stilla dall’alto; e vicino a questa conca, la mensa, anche questa d’oro massiccio, con un solo lettuccio coperto di porpora.
Misteriosi geroglifici son disegnati ovunque, a colori vermigli. E così le due stelle magiche: quella di sei raggi, e quella di cinque. E così i segni zodiacali e quelli dei sette pianeti. Un’immensa testa d’oro, di Elios flammicrinito, risplende in alto sopra un velario di porpora teso, e il pavimento di smeraldo la rispecchia, stranamente simile a una piovra gialla.
SCENA PRIMA
Tutto è luce e silenzio. Dal braciere sale diritto il fumo del cinnamomo. Solo le gocce d’acqua cantano sommesse. Sedute sui sette gradini, presso la chiusa alcova di Circe, Cloto, Lachesi e Atropo filano le vite degli uomini, taciturne. Il filo discende dalle infantili mani di Cloto a quelle robuste di Lachesi, a quelle ossute e tremanti di Atropo; la quale, di tanto in tanto, fa udire il colpo secco delle sue forbici. A un tratto, una confusione di mugolii bestiali e di sospiri umani. Il pesante sportello d’oro è sollevato a colpi di muso da una torma d’uomini che han teste di scimmie, di porci e di cani, e si tengono aggrappati colle braccia alla fenditura della roccia. Gli Uomini-Bestie, guardando il letto di Circe, mugolano e sospirano.
CLOTO
con pietosa premura
Non destate la divina Circe, sciagurati eroi. Non provate la sua aspra collera, se volete che ancor oggi vi lasci toccare il suo caldo mantello tessuto coi raggi del Sole...
Gli Uomini-Bestie si torcono di voluttà e mugolano più forte
... e forse anche vi dia a baciare, come ieri fece, la sua piccola mano terribile...
LACHESI
con forza
Non parlare a loro, innocente Cloto. Non aver pietà del loro vile dolore... Ogni giorno che passa, si fan più tristi le case che v’aspettano nelle vostre patrie lontane. Credete che non vi sia altr’oro da questo, nel mondo? E non son d’oro le messi che ondeggiano intorno alle vostre case? e non son d’oro le piccole teste dei vostri figli? e i cuori delle donne che vi aspettano fedeli? Sapete che l’isola non è guardata; sapete che le vostre navi son là intatte; sapete che, lontani da quest’isola, si romperà l’incanto di Circe e riavrete volto e parola d’uomini... Perché non fuggite? perché vi piace tanto codesta tana da belve?
ATROPO
Non vedi, buona Lachesi, che non t’ascoltano? Non vedi che annusano l’aria verso là, sperando solo che entri nelle lor froge un po’ dell’odore della carne di Circe. Se lor dicessimo d’aspettare cent’anni così, una carezza di lei, li vedresti morir tutti, a uno a uno, di vecchiaia, lì aggrappati!...
Gli Uomini-Bestie che l’hanno udita, fan segni di assenso
E se Circe volesse riempire la sua vasca di tiepido sangue per bagnarvisi nuda, a quelli parrebbe dolce sgozzare le lor madri... le lor donne... i loro figli!
Gli Uomini-Bestie fanno ancora segno d’assenso fra nuovi mugolii e torcimenti
Giù nel vostro strame, e zitti! O vi carezzo io, con la mia forbice!
Gli Uomini-Bestie si ritirano impauriti e lo sportello cade pesante e torna il silenzio di prima. Pausa
SCENA SECONDA
CLOTO
trillando, a un tratto, piena di infantile meraviglia
Oh! che oro splendente vien giù adesso dalla nostra rocca, sorelle! Io dico certo che ci tocca ora filare la vita di un eroe immortale!... Déstati, Circe!
Due schiave di color olivastro alzano la porpora e Circe appare già in orecchi, mezzo il bel corpo ignudo fuor delle coltri
Ecco. Lo vedo nuotare, bimbo ancora, tra gli scogli del mar Siculo. Ad ogni insidia sfugge, perché di nulla ha paura. Lo chiamano Glauco dal colore delle sue pupille... Cresce meraviglioso di bellezza e di forza. Si fa barca e reti; ma sogna troppo per essere buon pescatore. Giura amore a una fanciulla; ma sogna troppo per essere buon marito. La divina febbre degli eroi lo divora, Circe!... e lo caccia!... lo caccia via dalla sua terra, Circe! via dal suo amore!... E va. E va in cerca del suo gran destino!... Oh! come è finita presto la sua giovinezza!... Leggi tu ora, sorella.
Circe si fa coprire del suo manto tessuto di raggi solari; e si siede sul letto, sempre più attenta
LACHESI
Ben di rado Giove ci lascia filare un così robusto filo! Dà piacere a torcerlo!... Se tu potessi vedere, Circe, quel ch’io vedo! Il mare non crede ch’egli sia un uomo: e si fa piccolo per lui che lo corre con tutti i venti... Sua è la gran voce che grida ai Tirreni, agli Éneti, ai Greci, ai Fenici, agli Egizi: “Venite. Il mare non è fatto per dividere, ma per unire i popoli!”. E molti corrono ora sicuri sulle sue scie... Ma eccolo già a Iolco dove Giasone raduna il miglior fiore degli uomini per muovere contro il fratel tuo, Circe!... E’ lui che passa primo tra le feroci Cianèe... Porta la nave di Giasone!... E vede già la tua patria, o Circe!... E già più non gli basta la fama di gran nocchiero: il suo immenso cuore invidia il pericolo dei combattenti, e vuole un spada... L’ha... Gronda sangue... Eppure non cede terra... Giasone corre, e lo fa levare a forza, e legare sul suo carro... e gli dice: “Non voglio che tu sia migliore di me”. Glauco rugge contro il duro principe... E nella notte si libera, e fa vela con una nave piena d’uomini... E’ in Africa... Libera gli Psylli dai crudeli Fenici... Lo fan re!... Che più gli resta a desiderare?... Si fa una nave... prua d’oro e vela porporina... e si mette sulla dolce via del ritorno!...
Circe s’avvicina e tocca con curiosità il filo d’oro
Ah! se tu potessi vedere, dritto, sulla sua prua, appoggiato alla lancia il bel corpo stanco di battaglie... tu ne saresti innamorata, Circe.
CIRCE
quasi tra sé
Tu credi, Lachesi?
ATROPO
mentre allunga il rugoso collo per vedere nel filo di Lachesi
Te lo dico io!... E’ così bello, così forte, che, se Giove m’ordinasse ora di tagliare il suo filo, io son sicura che mi taglierei un dito per il gran tremore che mi prenderebbe!
Circe palpa ancora il filo con le sue rosee dita, turbata
CLOTO
ficcando anch’essa lo sguardo curioso nel filo di Lachesi
No! No! Non ritorna ancora alla sua patria!... E’ fermo in mezzo al mare! Vedi, sorella?
LACHESI
E’ vero... Guarda alla tua reggia, Circe!
ATROPO
Bada!... Egli viene qua.
Nasce un confuso mormorio nella reggia. Son le Schiave in subbuglio. S’avvicinano. E irrompono. Le loro nudità d’ogni colore son coperti di splendenti alghe
LE SCHIAVE 1 2 3 4
Una nave, divina Circe!
Vien più veloce del vento!
E’ una nave da re, divina Circe!
Il re sta sulla prua!
CIRCE
No! Non voglio!
Balza con furore al braciere; ne toglie un tizzone fumante; con moto fulmineo si traccia attorno un rovente circolo magico. Nella nera notte che spegne subito ogni luce, si vede solo questo terribile circolo brillare attorno ai piedi della maga. Le Schiave si ritraggono tenendosi per mano spaventate. Al guizzare dei fulmini si vedono rabbiosi venti passare correndo sulle creste dei marosi lividi. Giungono lontanissime urla umane tra il fragore dell’acque e del tuono.
LE SCHIAVE 1 2 3 4
La ciurma urla!
Imprecano!
Implorano!
Voglion virare!
Fulmine
LE SCHIAVE 1 2 3
La prua è vuota
L’ho visto io il re, gettar la lancia e fuggire.
Povero re!
Fulmine
LE SCHIAVE 1 2 3
No! è al timone! guardate!
E non vira!
E’ re marinaro!
Fulmine
LE SCHIAVE 1 2 3 4 5 6
Ah!... L’albero stroncato!
Urla disperate tra il ruggito dei venti
La vela in mare!
E mezza ciurma v’era attaccata!
E l’altra mezza l’ha spazzata via l’acqua, avete visto?!
E il re?
Non ci sarà più. Povero re!
Fulmine
LE SCHIAVE 1 2 3
Sì! C’è!
Ancora vivo?
Sì: al timone! Guardate! Non l’ha lasciato!
Fulmine
LE SCHIAVE 1 2 3 4 5 6
Avete visto i remi? Tutti in pezzi! Come i denti d’una vecchia!
E pendono giù. Segno che i rematori son tutti morti!
Ma lui non lascia il timone!
Non lo lascia, no!
E tien la prua qua!
E’ re marinaro!
Fulmine
LE SCHIAVE 1 2 3 4 5 6
E’ morto?
Chi?
Il re. E’ caduto sotto la barra del suo timone.
Corriamo alla riva.
Corriamo!
Corriamo!
Tutte discendono da destra. Circe cade affranta nel mezzo del suo cerchio. Subito la tempesta perde forza
ATROPO
Ben te lo dicevo io, Circe! Non è facile uccidere quest’uomo.
LACHESI
E meno facile, farlo tremare.
CLOTO
E meno facile ancora guardarlo senza amarlo.
CIRCE
in piedi
No!
Sale un gran mormorio di donne. Sei robuste Schiave etiopi portano dentro Glauco svenuto, ancor chiuso nel suo bronzeo vestito da eroe. Circe col feroce sguardo comanda alle Schiave di depor Glauco e di fuggire; poi, nell’ombra ancor folta, si protende dall’orlo del suo magico cerchio per scorgere il volto dell’eroe
ATROPO
ridendo
Ora uscirà dal suo cerchio per meglio vederlo!
Circe esce dal cerchio. Il sole inonda ancora la reggia, mentr’ella curva il meraviglioso corpo sul volto dell’eroe

martedì 19 luglio 2016

L'isola dei sogni

Scogli porfirei dell'alta costa rosea
fra rosee nubi nel tramonto,
candide ali si librano
sull'acque tremide
al riverbero. O tu,
possente respiro !
O tu che t'alzi nella luce,
sino agli dei !
Ecco, alla terra sei giunto nella pace,
qui dove eterno fiorisce
il vento dell'amore,
verdeggianti colline, echi di selve canore,
teneri ricordi di speranze.
O terra nelle oscure stanze conosciuta,
o via del destino ignoto,
o dolce amata invano !
Lontano sei e pure m'accogli
e mi ricetti quale antica spoglia,
amore dei viventi,
pietosa materna terra.
Disserra le mie vele
verso il tuo porto,
nel tuo seno poserò il volto,
riposerò per sempre.
Sovra candenti acque
alla riva giungeranno
spiriti dei sogni mortali,
ora immortali,
scivolando rapidi
sulle vie del mare profondo.
O care anime,
o naviganti, dell'eterno viaggio
sia qui una sosta,
ove si placano ignare le onde
e all'abbraccio s'abbandonano.
Qui le montagne di roccia
non sono aride, ma dei rivi sul fondo
l'acqua traspare, sorgenti
nascono tra i pini,
canta la cicala sugli alberi,
nel vento dilaga una fuga di ombre,
la luce si disperde nel suono del mare.
Fermati anche tu qui,
anima sorella senza nome,
forse nel volto etereo
diviserò antichi segni,
o amata. Nel cielo sterminati
voli d'aironi e di canuti cigni
cingono le vette, trasaliscono
le cime arboree nel fluire lucido dell'aria.
La tua bocca una musica dolce
sussurrerà in dolci note scorrenti
sulle corde invisibili dei tuoi capelli
neri nell'ombra o nella notte,
segreti sogni di musa solitaria.
La voce tua volitava tra il verde velame
si fondeva allora sui correnti scintillii,
sopra i sassi levigati dalle spume
tenaci, visioni fluitavano, s'addensavano
ritmi di danze, magici canti
del monte Abora.
Oh, sia ancora
come un tempo. Il suono
echeggerà sotto le volte ambrate
negli oltremonti silvani,
arcani mondi disserrando,
porte mai varcate, ancestrali note
di cavernose ombre, orizzonti
di selvaggio fuoco.
La tua voce si placherà sui lidi,
sommessa onda nel torpore salino meridiana,
nel mormorare delle maree,
nel silente deserto delle dune
volteggerà come grovigli d'erbe
al sibilo dei venti disperdendosi
in mille barlumi ridestata
trama sonora di melodiosa arpa,
pallida fiamma del dolore.
Sei tu ? Trema la navata virente
ai soffi libici tra le resine,
lacrime di sangue e d'oro;
sei tu, o sorriso, o volto amato
nei primi vagiti dell'alba ?
Rispondimi ora, siamo qui delle sorti
nel grembo, ora è il momento
ch'io sappia, ora, se mai m'amasti !
Il tuo viso, la tua voce sono un raggio
fra le nubi, un mistero di fuochi notturni,
una brezza nell'oscurità.
Ti ascolto.

Anche per me un blando
Zefiro fosti, un carezzare lieve sulle piane
opache dell'equoreo manto, una pelle
rabbrividente, colma di aromi
e di segrete estasi.
Non chiedermi quanto ti attesi,
cinta del mio prodigio di bellezza,
oltre il lembo miravo del mare purpureo
inebriato dal fuoco dell'astro,
possente sovrano del cielo,
e te bramavo, che giungessi a me,
all'improvviso, un bagliore di occhi,
gemme di smeraldo.
Attesi nei giorni, attesi,
ma non venisti,
e il fuoco si spense e la vita
nel suo grigiore m'estinse
nei frantumi del rimpianto.
Ora soltanto so
chi tu fosti :
un sogno. “

O care anime,
o naviganti dell'eterno viaggio,
siatemi testimoni
del mio vero cuore,
che mai cedette al veleno mortale
dei viventi,
e che lei immortale
solo amò qui,
dei sogni
nell'isola.



martedì 12 luglio 2016

Vaga memoria del passato







Vaga memoria del passato,
tristi speranze nel vano
sogno nutrite,
orbato amante d'amato inganno,
ora ti scorgo appena, indietro, e come
tra la nebbia o le lacrime
m'appari velato.

Sopra di me la grigia tormenta del tempo
non risparmia la sua minaccia,
e la mia barca
già salpa sulle violacee onde
del domani.
Sogni furono i sorrisi
di dolci aurore, voraci
ora i gorghi
dell'Oceano urlano nei venti
esasperati dalle brume.
Su vie silenti
ho sopportato il carico
di quieti inverni,
di bronzei volti
ho colto i gelidi baci.
Ma me ne andrò su schiumanti tempeste
per altri lidi a una nuova dimora
sopra gli oceani,
oltre le porte della Notte,
ove vuole il custode
di dolori il suo pegno
e la Regina chiude
la via del ritorno.
Breve respiro di spaurita bestia
è questo transito
sull'assolata terra,
in un volto umano non vedo
altro che un'ostia. “

O respiro che via voli
nella luce dell'alba,
più non ti curi del vano e vacuo
vaso di creta, simulacro
di sogni, un'ombra
che si perde nel buio.