sabato 23 febbraio 2019

Non dimenticare


Un amico disperso,
uno spirito lontano,
mi chiama da oscuri paesi,
mi chiama da distanze remote
e la voce mi parla al cuore,
con dolce tono fraterno.
Come raggi di sole nell'inverno
toccano il volto attonito
che guarda immoto
verso occidente e cerca
il ricordo del suo tempo.
Aliano liberi i gabbiani
sopra le ombre delle nubi
e i sussurri dei venti
e il mare incanutito appena
si placa al largo e s'indora.
Serena e pura è l'aria,
un'aurora pare la voce :
non dimenticare,
non dimenticare “.

Sotto la coltre grigia del cielo,
nella pioggia del triste tempo
rimembri il lento gocciare
degli anni che più non tornano ?
Dov'è il tuo io ? Sotto quale albero
ti attende ? Lungo il sentiero,
sconnesso il selciato, avanza a fatica
il tuo passo, a tratti scivola.
Respira. Pulsa al lido l'onda
e la luce gioca con la sua chioma.
Sogna. Un'isola lontana
folgora di luce all'orizzonte
e un canto plana sulle correnti alate.
Una voce, sussurrando, risponde :
Non dimenticare “.
Tutto torna in un attimo,
un attimo è l'eterno.
Guarda le nubi e i castelli che si formano
e le città mutevoli dei tempi futuri,
tutto è ora e si ripete.
Batte sul lido il cuore della terra
come il tuo e in alto si librano stormi.
Alata speranza, la vela s'apre nel vento
e il tuo sguardo s'immerge verso abbaglianti confini,
infinite albe e tramonti d'oro.
Solca l'interminato oceano spumoso e nero come il vino !
La vita è un sogno breve,
il sogno silente si piega su di te e t'ascolta,
mentre tu ti confidi e in lui ti perdi.
Breve la grigiorosea nube di gioventù t'avvolse,
ti colse tardi l'aspro rimorso
e il corso così lieve dei giorni
pallidi. Come fuori della nera notte
nel soffio sanguineo opaco ancora
scorge il nauta lo sconfinato mare,
così io scorgo ancora la sconfinata
distesa dei giorni. E alle porte dell'Ade
io forse canterò la mia esultanza ?
Come le onde senza fine del mare
l'animo mio correrà negli abissi del cielo
sosterà fra le nebule e i bagliori delle comete,
in altri mondi sorgendo, come un astro
che placa la sua sete negli oceani.
Sarò il raggio del sole del mattino
canterò nel fulgore dell'alba,
scorgerò i gabbiani in volo sotto di me !
Più alto e più in basso degli spazi,
al di là di ogni tempo,
restituito all'origine,
al bagliore degli astri,
alla profondità del mare,
sarò all'infinito Nulla,
all'infinito Tutto.

La sera col suo manto di porpora
verrà, tremenda e inesorabile,
a te radiosa linfa tingerà gli occhi della notte,
ti condurrà alle roche umide arene
dove stanco il flutto si getta.
Ricordati allora della voce lontana
dell'amico disperso, ascoltala
mentre il sussurro ti sale al cuore.
Non dimenticare il sogno della vita.

sabato 16 febbraio 2019

Platone, Liside








Platone, Liside, ( Tutte le opere, Roma, Newton, 1997, vol. III )


Walter Pater, Il Rinascimento, Napoli, Ricciardi, 1925, p. 166, a proposito di Platone : “ … ma l'elemento di affinità ch'egli presenta con Winckelmann è quello completamente greco, alieno dal mondo cristiano, rappresentato da quel gruppo di brillanti giovani nel Lysis, non anche tocco da alcuna malattia spirituale, ma che trova il fine d'ogni ricerca nello apparire della forma umana e nel moto continuo di una vita bella. “
207a …  οὐ τὸ καλὸς εἶναι μόνον ἄξιος ἀκοῦσαι, ἀλλ᾽ ὅτι καλός τε κἀγαθός. ( “ … degno non solo della sua fama di bel ragazzo, ma anche di eccellente. “, op. cit. p. 155 ). Viene qui sottolineata la concezione greca della bellezza, che non è semplicemente simmetria di forme, ma bellezza interiore, valore, virtù. Ciò è detto nei riguardi di Liside, il bel giovinetto di cui è innamorato Ippotale. Il dialogo sfrutta le risorse dialettiche dei sofisti e abbonda di giochi di parole girando intorno alla definizione dell'amicizia. Ma pur partendo da una situazione iniziale improntata a una vaga sensualità e a un tono apparentemente superficiale, via via si svela l'indagine e la malia dell'indagatore. L'opera brilla per la fresca naturalezza delle risposte e l'ironico e inelusibile assedio delle domande. Pertanto si giunge all'inevitabile definizione del filosofo : colui che sa di non sapere e che non essendo né assolutamente buono né assolutamente cattivo è il naturale amante del bene, perché appunto è alla sua ricerca e ne sente la mancanza.
Caratteristica del dialogo è di non arrivare a nessuna conclusione. E infatti, dopo un gran discorrere su cosa è l'amicizia e vari tentativi di definire l'amico partendo dal verso di Omero ( Odissea, XVII, 218 ) che “ il dio conduce sempre il simile verso il simile “ e ribaltando la sentenza di questo verso per poi ritornare a confermarla, come un serpente che si morde la coda, si giunge di nuovo al punto di partenza e non si capisce più nulla. Ma il messaggio si coglie : non è il raggiungimento della meta che conta, è la ricerca di essa che conta, perché il filosofo è colui che cerca la verità, non è il saggio che la possiede. Infatti chi è già sapiente non è più filosofo perché possiede la sapienza e chi è malvagio non può amarla, solo chi non possiede la sapienza, ma ne sente la mancanza perché non è malvagio, la cerca ed è filosofo. La filosofia dunque è questo amore per la sapienza e non deve dare necessariamente delle risposte, infatti essa esaurisce il suo compito essenziale nelle domande.
E nella descrizione dell'atteggiamento di Menesseno e Liside, del pudore da innamorato di Ippotale e nelle scene di vita quotidiana ( i pedagoghi che sul far della sera vengono a prendere i loro pupilli per portarli a casa ) traspare la profonda umanità di Platone, la sua “simpatia” ossia la consapevolezza della comune natura umana e la condivisione dei sentimenti e delle emozioni. Platone sa di essere un uomo che cerca la verità, ma non l'ha ancora raggiunta, tant'è vero che il protagonista del dialogo è Socrate, colui che sa di non sapere. Forse nel Timeo potrà apparire come chi ha colto ormai la verità e conosce, ma io non credo a un Platone dogmatico, perché nel Timeo dopo tutto espone più che altro le tesi pitagoriche che in qualche modo gli danno ragione dei fenomeni del mondo. E se oggi proviamo interesse per gli scritti di Platone non è certo per la scienza del Timeo.


sabato 2 febbraio 2019

F. W. Nietzsche, Sulla tragedia greca


F. W. Nietzsche, Due conferenze pubbliche sulla tragedia greca ( 1870 ), Opere 1870-1881, Roma, Newton Compton, 1993


P. 44, ( Prima conferenza : il dramma musicale greco ) la culla del dramma : esso “ non incomincia là dove qualcuno si traveste per far nascere in altri un'illusione . No, ma piuttosto là dove l'uomo è fuori di sé e si crede trasformato e oggetto d'incantesimo. “ Sopra ha affermato che il dramma musicale greco nasce dal sentimento religioso popolare e la musica era un tutt'uno con la parola. Non come hanno inteso i musici del Rinascimento che hanno elaborato un dramma musicale completamente diverso da quello greco, in cui la musica ha il sopravvento sul testo poetico e non vi è partecipazione corale del popolo. Le stesse maschere usate sulla scena avevano un'origine cultuale e popolare per non dire agreste, legate com'erano alle feste contadine della primavera.
P. 47, “ La tragedia antica, … si può dire ch'essa nei suoi primi gradi di sviluppo badasse non tanto all'azione, al dràma, quanto alla passione, al pàthos. … Che altro era originariamente la tragedia se non una lirica obiettiva, un canto sgorgato da una situazione propria di certi esseri mitologici, i quali erano rappresentati nei loro stessi costumi ? Dapprima un coro ditirambico di uomini travestiti da Satiri e da Sileni dovette svolgere l'ufficio di spiegare ciò che l'aveva portato a tale stato di eccitazione : esso indicava qualche particolare, che fosse immediatamente comprensibile agli ascoltatori, tratto dalle storie delle lotte e delle passioni di Diòniso. “
P. 50 ( Seconda conferenza : Socrate e la tragedia ) ecco Euripide, colui che ha decretato la condanna a morte della tragedia, perché l'ha snaturata portando sulla scena l'uomo comune sostituito all'eroe. Così il suo stesso linguaggio poetico è una trasposizione sulla scena del linguaggio del popolo come del suo modo di sentire. Egli è un educatore del popolo, un sofista.
P. 53, il giudizio di Nietzsche sulla poesia di Euripide non è del tutto negativo. Egli riconosce ad Euripide il tentativo di far risorgere il dramma musicale che stava morendo, ma la resurrezione operata da Euripide si basa su un presupposto falso che è la presa di coscienza dell'opera d'arte, la sua struttura conseguentemente razionale, il volere rendere chiaro ciò che non doveva essere rivelato e questo perché si era reso conto che il popolo ateniese non afferrava più il senso dell'azione drammatica. Con ciò egli annulla il pathos e la sostanza musicale e imprevedibilmente irrazionale del dramma e perciò anche la tensione dell'azione sulla scena.
P. 54, in gran parte le informazioni che rielabora Nietzsche sono quelle dell'Apologia di Socrate di Platone. L'indagine presso gli uomini eminenti e gli intellettuali d'Atene in seguito al desiderio di verificare se la sentenza di Apollo fosse vera, se cioè Socrate fosse effettivamente il più saggio degli uomini, porta Socrate a negare ogni tipo di falsa sapienza la quale appunto non sappia rendere ragione di se stessa, essere cosciente di sé. L'influsso di Socrate su Euripide fu deleterio perché portò Euripide a concepire un'opera d'arte, la tragedia nella fattispecie, che fosse cosciente di sé, ossia controllata dalla ragione in ogni aspetto e perciò priva del tutto di elementi irrazionali, puramente emotivi, inconsci.
La concezione che Nietzsche aveva della poesia era sicuramente romantica e la sua sorgente musicale, egli aveva un temperamento affine a quello di Hoelderlin e in breve la sua sensibilità artistica era simbolista. Si capisce facilmente l'avversione a ogni poeta razionale e soprattutto a quello spirito logico e privo di slancio emotivo, del tutto scettico e avo dei cinici, che era Socrate.
P. 55, purtroppo è in Nietzsche una assolutizzazione delle proprie affermazioni che gli impedisce l'obiettività. La considerazione del dialogo platonico come “ mancanza di forma e di stile ottenute attraverso la mistura di tutti i precedenti forme e stili “ salta all'occhio come un abbaglio allucinante e un errore marchiano. Ma come poteva scrivere una cosa del genere ? Addirittura che il dialogo non si prefigga l'imitazione dell'espressione naturale è un'affermazione che lascia di stucco.
Non penso che qui Nietzsche sia sincero, deforma i dati di fatto più evidenti a vantaggio della propria argomentazione e allora più che filosofo è rètore. Come Kierkegaard in Il concetto di ironia in riferimento costante a Socrate anche Nietzsche ritiene che Aristofane sia il teste più attendibile per la rievocazione della vera figura di Socrate, ma sia il danese che il filosofo tedesco trasformano tale figura in un simbolo senza sfaccettature, in una statua di granito che rappresenta tutto il contrario dell'aspirazione romantica all'ideale di una vita eroica e sublime, con ciò Socrate diventa un brutto ceffo cinico e beffardo.
P. 56-57, adesso il pensiero si chiarifica e l'argomentazione diventa più comprensibile ed efficace nell'individuazione dell'elemento corruttore della tragedia : il dialogo. Con questo viene in campo e in progresso di tempo risulta vincitrice la “cattiva” Eris, il desiderio di competizione verbale, il litigio e l'alterco da tribunale che è proprio del mondo dei sofisti. Con ciò il dramma si scinde in due componenti che si escludono a vicenda : l'elemento musicale del coro, propriamente poetico e l'elemento dialettico propriamente sofistico e prosaico, sino a che prevale quest'ultimo. E interessante è il paragone con i drammi di Shakespeare dove pur abbondando dialoghi e monologhi tuttavia su di essi aleggia sempre un'aria di bellezza musicale. E questo si capisce facilmente dal momento che anche nel ragionamento Shakespeare si mostra perfetto autore e attore di teatro, anche il ragionamento non è fine a se stesso ma serve come il vibrare d'una corda a perpetuare la melodia o come uno strumento a partecipare al comune concerto, perché appunto è l'istinto teatrale e l'ispirazione a muoverlo, mentre in Euripide a un certo punto prevale il momento dialettico e logico, lo schema del ragionamento, il puro gusto della disputa.
Nietzsche è un romantico e un simbolista, per lui la tragedia è innanzi tutto poesia cioè creazione, passione, istinto vitale, impulso musicale e irrazionalità, metafora e mistero. Questo lo troviamo in Eschilo e in Shakespeare, ma molto meno in Euripide.
P. 57, dal punto di vista estetico dunque la dialettica distrugge il dramma musicale, perché la fonte di questo è la compassione e la sua essenza è pessimistica, il suo basamento è il caso inspiegabile e ineluttabile, mentre la natura della dialettica è ottimistica e scaturisce dalla logica della causa e dell'effetto e la sua conclusione è la dimostrazione razionale che al caso non lascia nulla. La natura della dialettica dunque è contraria a quella della tragedia.
Ma ecco il punto : le considerazioni di Nietzsche sono in partenza di evidente carattere estetico e questo aspetto gli prende la mano sino a travasarsi nell'area propriamente etica. E' questa confusione a generare l'ostilità nei confronti di Socrate, altrimenti inspiegabile. E il confondere estetica ed etica, come voler fare della vita un'opera d'arte è tipicamente “decadente”. Nietzsche è un letterato “decadente” e non esce da questa prospettiva. E' uomo del suo tempo.
Se la virtù secondo Socrate è sapere, l'eroe virtuoso deve essere un dialettico e naturalmente un araldo della banalità morale e del filisteismo, dal momento che la logica imbriglia ogni carattere nei lacci del suo comune buon senso.
Soltanto Eschilo come Shakespeare “ ha prodotto il suo meglio inconsciamente “ dominato dall'istinto creativo e musicale e per questo la tragedia musicale greca raggiunge l'apice con l'opera di Eschilo per poi iniziare a declinare con Sofocle, che concede già molto alla dialettica, e quindi morire del tutto con Euripide, che fa del dialogo il centro del dramma.