mercoledì 24 aprile 2019

Gérard de Nerval, La regina di Saba


Gérard de Nerval, La regina di Saba, (1851), Milano, Adelphi, 2013


P. 26-27, ironia nell'incontro tra Solimano e Balkis ( la regina di Saba ), si sente l'influsso di Voltaire.
P. 31-32, che differenza rispetto all'Anello di Salomone (1883) di A. G. Barrili ! Qui l'autore introduce una schermaglia salottiera tra Solimano ( Salomone ) e la regina di Saba degna della nobiltà settecentesca di Francia, in cui il re diviene oggetto dell'ironia galante e implacabile della giovane regina straniera.
P. 40-41, la trovata del baldacchino di uccelli è degna della fantasia di un Beckford o del sogno di un Flaubert a Cartagine. NB, vedi Marcel Schwob, Vies imaginaires, 1896.
P. 83, discesa nel centro della terra dove vive la stirpe di Caino, che, al dominio divino sottratta, può godere dell'Albero della Scienza. L'episodio ricorda vagamente il Vathek di W. Beckford.
P. 107, Adoniram, della stirpe dei genii del fuoco, è l'uomo superiore, il superuomo romantico. Come tale viene descritto dalla regina di Saba e dalle sue ancelle.
P. 116 e seg. Adoniram rivela la sua origine di figlio del fuoco alla regina di Saba, la quale, essendo della stessa stirpe, scopre di amarlo. I due si promettono reciproco amore e la regina Balkis, che dovrebbe sposare Solimano, continua ad addurre pretesti per ritardare il matrimonio.
P. 146, ecco il famoso anello di Salomone, da cui il titolo del romanzo di Anton Giulio Barrili.
( NB : Salomon, melodramma di Haendel ).
NB : lieve enfasi nello stile che nell'Anello di Salomone di Barrili è molto più evidente.
Nel saggio di Giovanni Mariotti si precisa che il racconto fu destinato da Nerval alla pubblicazione nel 1853 sul “Pays” con il titolo di “La reine de Saba“.
P. 185, importanza delle leggende e dei rituali massonici circa la figura di Adoniram.
P. 190, anche “la morte di Dio“ è un motivo romantico e decadente ( Jean Paul – Nietzsche ).


martedì 23 aprile 2019

Indro Montanelli


Indro Montanelli, L'Italia di Giolitti, Milano, Rizzoli, 1974



Scrive come uno storico del mondo classico ed è di una straordinaria chiarezza e semplicità. Frasi brevi, termini non ricercati ma dell'uso comune e buon italiano, cioè vocaboli appropriati e sintassi corretta. Si legge come si beve un bicchier d'acqua.
P. 21, talvolta però scrive troppo in fretta : “ Per far fronte agl'impegni del rango, egli ebbe anche un'amante d'alto bordo, la baronessa Barracco, di cui le venne anche attribuita una figlia. “ Come, “le” venne ? Ma avrebbe dovuto scrivere, riferendosi a Vittorio Emanuele e quindi, si suppone, a un uomo, “gli venne”.
A parte qualche svista, però, Montanelli si rivela un narratore molto chiaro e incisivo, sicuramente bene informato, anche se non storico di professione, cioè accademico. E come tutti i non accademici raggiunge risultati superiori a quelli dei professori, tanto che la sua pagina ha l'intonazione e il fascino del prosatore che scrive per la posterità e non per conservare o guadagnare una cattedra.
Egli sa mettere in viva luce le virtù ma soprattutto i vizi degli Italiani fra i quali il gusto sviscerato per la retorica e il corporativismo. La narrazione della prima guerra mondiale è infatti improntata a un'obiettività ispirata al disincanto e alla consapevolezza dell'incapacità cronica della classe dirigente.

sabato 20 aprile 2019

Villa Carlotta







Ma qual era mai il mistero di quella casa dove da studente di lettere aveva letto per la prima volta I paradisi artificiali di Baudelaire ? Il mistero del ricordo dell'antica casa immersa tra gli alberi, la vecchia casa ancora ottocentesca di sua nonna, l'antica casa ricca d'ombra nell'estate, sollievo di frescura nei caldi pomeriggi, mentre fuori strepitavano i grilli e saliva un polverone dalla strada ? Le colline intorno cingevano il paesaggio, chiudevano ogni orizzonte, lasciando solo libera l'immaginazione.

E l'immaginazione ebbe la sua piena fioritura laggiù, sul lago di Como, alla Villa Carlotta presso Griante, dove aveva accompagnato in gita scolastica due classi. Ma allora, alla Villa, si era chiuso nella sua solitudine e aveva dato libero sfogo all'immaginazione e aveva scorto in qualche viso femminile le movenze e il fascino d'un ritratto di Dante Gabriele Rossetti. Visi come nobili fiori che si piegano sulle onde del lago, che respirano un'aria di pace immota, eterna, nella luce riflessa dalla cima delle montagne innevate.
La pace dei sensi e una nostalgia di vita sognata lo colse nell'estasi momentanea tra le ombre dei grandi alberi esotici, statici come indolenti giganti. E il candore delle statue del Canova e dei suoi discepoli lo pervadeva d'una aspirazione mistica verso astratte forme di pura bellezza, come note limpide o danzanti di Haydn.
Quella era la creazione forse della calma acqua del lago, una dimora sognata da una mente principesca colpita dal fascino delle Ondine.
E il vasto parco avrebbe potuto inghiottirlo per sempre, come un'edulcorata Amazzonia, dove il sogno sarebbe per un istante divenuto realtà. Ma non c'era una sposa, solo un vago volto di donna frutto di reminiscenza e ancora di sogni.

Era come su un altro lago la villa fatata di Marina di Malombra, anche quella cinta di vaste piante aliene, nell'eco notturna del pianoforte suonato dalla giovane donna invasa da uno spirito estraneo, nel sogno, nella rimembranza, nel timido accordo dell'acqua.

Nell'acqua della fontana all'ingresso si riflettevano le fanciulle, curiose dei grossi pesci rossi, pigri dèmoni dello stagno, avvezzi alle visite profane.
L'alta villa procombeva nella sua maestà e la scalinata si disegnava come un abbraccio intorno al ninfeo. Salivano le fanciulle verso il sancta sanctorum, nell'atrio custodito dal busto dell'antico padrone di casa.
Carlotta è un nome puro e semplice, originato dalla grande C del cancello d'ingresso, e che è l'iniziale del cognome del primo proprietario della villa. Ma Carlotta è anche un viso di fanciulla rimasto da allora, sedimentato a lungo nella memoria, anche prima di allora. Un'eterea bellezza di inglesina, dalle movenze aggraziate, dalle mani avvezze al disegno e il corpo alla danza, che vi accompagna per quelle stanze da “Amore e Psiche” lucente di marmo sino a “Palamede” e si ferma con voi innanzi al dipinto di “Atala morente”. Era bella davvero con i suoi capelli neri e gli occhi grandi e grigi come l'acqua del lago al tramonto.

Non è la luce aspra e forte della Liguria, ma un'aura serena e dolce che su tutto si posa con la grazia d'una giovane Natura primaverile.
Si sarebbe fermato per ore in contemplazione delle immote acque e in alto delle silenti vette lucenti di neve. Una calma profonda l'aveva invaso, come l'apparizione di un'isola felice in mezzo ai torbidi marosi o alle bonacce allucinanti. Non il fastidioso gracchio dei gabbiani ma il maestoso e lento solco del cigno sulle placide onde si fondeva nella sua memoria col richiamo di altre onde, di musiche echeggianti sulle rive di fiumi lontani come all'arrivo della barca di Lohengrin.

Ma non era un sogno matrimoniale, era un sognare di gioiosi volti di ninfe correnti tra le innumerevoli diramazioni arboree come farfalle, giovani bocci di fiori inebrianti.






sabato 6 aprile 2019

Emilio Cecchi, Pesci rossi


Emilio Cecchi, Saggi e viaggi, Milano, Mondadori, 1997


Pesci rossi ( 1918 )


Prosa raffinata, colta, servì sicuramente da modello alla prosa di Montale. Però l'umorismo non è quello di Montale, che ha del grottesco e dell'assurdo. Tutto sommato, trovo questa prosa meno attraente, anche se non meno interessante. E' una prosa quasi barocca, elaboratissima sino al cerebrale, che talvolta infastidisce. Non le si può negare però profondità e spirito, cosa che generalmente manca ai suoi imitatori, che sono molti e di solito inconsapevoli di esserlo. Perché anche oggi molti blogger e molti autori cartacei scrivono in questa maniera elaborata, arabescata, tanto da essere labirintica. Con la conseguenza che il lettore è spesso preso dal capogiro.
P. 21, in “ Le bestie sacre “ si nota un atteggiamento umoristico simile a quello di Montale, segno che si tratta di una caratteristica del genere dell'Elzeviro, che deve essere evidentemente spiritoso e con l'apparenza della leggerezza colpire a fondo l'immaginazione.
Prima ho scritto che rispetto a quella di Montale trovo l'inventiva e la narrazione di Cecchi meno attraente. In realtà avanzando nella lettura devo precisare che si tratta di qualcosa di diverso. In Montale prevale l'elemento drammatico, mentre in Cecchi quello impressionistico e meditativo, sicché il paragone non può farsi, essendo tipi di prosa essenzialmente diversi, anche se accomunati da preziosismo verbale e umorismo. Non che in Montale manchi l'elemento meditativo e in genere le considerazioni di carattere morale o psicologico, ma sono accessorie, mentre in Cecchi sono fondamentali.
P. 42. In “ Una comunicazione accademica “ viene fatta la satira del Futurismo, presentato come una stramberia barbarica, dall'origine e finalità incomprensibili, dell'Epoca dei Grandi Affari, cioè dell'inizio della decadenza nella società di massa.
P. 94, però talvolta questo elemento impressionistico e prezioso è fine a se stesso e diventa ingombrante, come in “ La commedia come danza “. Il risultato è l'incomprensibilità del testo a meno che non se ne faccia una sorta d'esegesi da testo hegeliano. Il che contraddice a qualsiasi buona prosa giornalistica che deve innanzi tutto essere facilmente leggibile.
P. 100, “ George Robey “ brilla per vivace umorismo e così ( p. 109 ) “ La lettera di presentazione “ con cui termina la raccolta di articoli. Si tratta non semplicemente di reportage giornalistici ma di vera e propria narrativa alla Laurence Sterne, senza dubbio condensata nello spazio di poche pagine ma sostenuta dallo stesso spirito.
Insomma, mi sembra che, pur nell'eleganza del dettato e nell'abbondanza dell'inventiva, Cecchi sia piuttosto diseguale, probabilmente perché mira un po' troppo al preziosismo verbale o all'espressione originale, e tuttavia nel complesso riesce piacevole.