La
Psicologia delle folle (1895), di Gustave Le Bon
Si
tratta del ”vademecum”
dei dittatori del XX sec. e
ancora
oggi riveste un'importanza e un'attualità eccezionali.
I legislatori non comprendono
l'anima delle folle : «L'esperienza non ha loro ancora abbastanza
insegnato che gli uomini non si guidano mai con le prescrizioni della
pura ragione.»
Nelle folle prevale l'inconscio,
esso sfugge a ogni controllo razionale. E quindi :
«Nell'anima collettiva, le attitudini intellettuali degli uomini, e
per conseguenza la loro individualità, si cancellano.»
La
folla ha soltanto qualità mediocri e scarsa intelligenza : «Le
decisioni di interesse generale prese da un'assemblea di uomini
scelti, ma di diverse attitudini non sono sensibilmente superiori
alle decisioni che prenderebbe una riunione di imbecilli.»
«...
la storia non può eternare che dei miti.»
I fatti storici sono già alterati in partenza dalle testimonianze
dei molti, cioè della folla che si pasce delle proprie illusioni e
deforma ogni avvenimento come le piace. La storia ha per unico
fondamento la memoria e questa è fallace. Anche i documenti possono
essere interpretati in mille modi diversi. Conoscere la verità del
passato è impossibile.
«Non
essendo la folla impressionata che da sentimenti eccessivi, l'oratore
che vuole sedurla deve abusare delle affermazioni violente.
Esagerare, affermare, ripetere, e non mai tentare di nulla dimostrare
con un ragionamento, sono i procedimenti di argomentazione familiari
agli oratori di riunioni popolari.»
Il
protagonista delle folle è l'imbecille e in esse trionfa soltanto
l'istinto e la brutalità.
«Il
tipo dell'eroe caro alle folle avrà sempre la struttura di un
Cesare. Il suo pennacchio le seduce, la sua autorità si impone e la
sua sciabola fa loro paura.»
Le
folle non ragionano, ma vengono sedotte da frasi ad effetto volte a
ingannare la loro immaginazione. Il loro quoziente intellettivo è di
poco superiore a quello della bestia. E qualunque demagogo abile a
far presa su di esse le manovra come un padrone.
Grande
è
l’importanza
delle scene teatrali per suggestionare la folla e colpire la sua
immaginazione, che per la folla sostituisce il mondo reale. «Il
meraviglioso e il leggendario sono in realtà i veri sostegni delle
civiltà.»
Il
sentimento religioso delle folle è rappresentato dalla fede cieca
nel capo, come fosse un dio, nell'atteggiamento fanatico e
intollerante di ogni opposizione e di ogni contrarietà. La folla non
sente ragioni, essa ha fede e crede in tutto quello che dice il
capo-dio.
L'opinione
della folla assume sempre un carattere religioso e del sentimento
religioso ha i peggiori aspetti, quali l'intolleranza e il fanatismo.
«I
re non hanno fatto la notte di S. Bartolomeo, né le guerre di
religione; e né Robespierre, né Danton, né Saint-Just fecero il
Terrore. Dietro a simili avvenimenti c'è sempre l'anima delle
folle.»
Le
istituzioni sono solo una veste che copre il carattere dei popoli nel
quale risiede il loro vero destino politico. E' la “razza” quella
che determina le scelte politiche, cioè in parole povere è il
carattere intrinseco di un popolo a determinare la sua storia.
Imporre istituzioni dall'alto è deleterio, perché le istituzioni
durevoli provengono sempre dal basso, cioè dalla natura particolare
dei popoli. Così i paesi anglosassoni saranno sempre naturalmente
democratici, mentre quelli latini non lo saranno mai.
Il
termine e il concetto di “razza” erano ricorrenti nella mentalità
comune degli europei del XX sec. e poggiavano su solide basi come gli
scritti dei positivisti in generale e in Francia di Hippolyte-Adolphe
Taine, che nella Filosofia
dell’arte
(1882) scriveva :
Le
differenti razze sono fra loro, dal punto di vista morale, come un
vertebrato, un articolato, un mollusco sono fra loro, dal punto di
vista fisico; sono esseri costruiti su piani distinti e che
appartengono a distinte branche. Infine, al piano più basso, si
trovano i caratteri propri a ogni razza superiore e capace di
civilizzazione spontanea, cioè dotata di quella attitudine alle idee
generali che è l’appannaggio dell’uomo e lo conduce a fondare
società, religioni, filosofie ed arti; simili disposizioni
sussistono attraverso tutte le differenze di razza e le diversità
fisiologiche che dominano il resto non giungono a intaccarle.
Si
notino le espressioni “différentes races” e “race supérieure”
che testimoniano della
mentalità del tempo e sono il frutto della sicumera positivistica e
della convinzione della superiorità indiscutibile dell’uomo
europeo sul resto dell’umanità. Nelle pagine precedenti si
afferma
l’importanza
dell’influsso dell’ambiente per la varietà delle razze e questa
è un’altra convinzione del pensatore positivista. Ma non è
frutto esclusivo del positivismo perché già Buffon nella sua
Histoire
naturelle
(1749) (Variétés
dans l’espèce humaine)
trattava in modo dettagliato delle differenti razze umane.
Naturalmente
Taine non fa che seguire l’insegnamento di Charles Darwin
nell’Origine
dell’uomo
(1871), dove il cap. VII è dedicato esplicitamente alle razze umane
nell’ottica della selezione naturale.
A
proposito dell'istruzione pubblica (nella
prospettiva del “progresso”),
Le
Bon
cita più volte Il
regime moderno
di Hippolyte Taine, condannando in blocco il sistema scolastico
statale basato sulla manualistica e sugli esami, dove l'aspetto
pratico della vita non viene mai preso in considerazione. Invece,
come si fa nei paesi anglosassoni, è proprio dalla pratica che
bisogna partire, educando i giovani al lavoro, che intendono
intraprendere, con il farli appunto lavorare e non trascorrere sui
banchi ore e ore a digerire un'inutile teoria. Insomma educare i
giovani alla vita futura significa innanzi tutto farli vivere.
Circa
la seduzione esercitata dalle
parole a effetto ma prive di significato e delle illusioni, l'autore
scrive : «Le folle non hanno mai avuto sete di verità. Dinanzi alle
evidenze che a loro dispiacciono, si voltano da un'altra parte,
preferendo deificare l'orrore, se questo le seduce. Chi sa illuderle,
può facilmente diventare loro padrone, chi tenta di disilluderle è
sempre loro vittima.»
Le
illusioni sono necessarie alle folle come gli errori, per evitare i
quali l'esperienza di una generazione non è sufficiente.
L'oratore
che non sia demagogo avrà poca presa sulle folle. Bisogna indovinare
il loro sentimento e parlare secondo quello, perché qualunque
ragionamento obiettivo risulta inefficace. La folla è stupida e ha
bisogno di discorsi stupidi.
La
folla è dominata dal prestigio di un grande personaggio, come fu ad
esempio
Napoleone che con il solo sguardo si faceva obbedire da chiunque,
anche dal più restio. Il prestigio può essere personale, ma anche
di un'idea, di una tradizione. In ogni caso l'uomo della folla perde
il senso critico ( se ne ha ) e diventa schiavo del prestigio.
Le
credenze e le opinioni costituiscono il fondo permanente e
apparentemente mutevole delle civiltà. Le credenze permanenti sono
l'ossatura della civiltà e come tali per quanto ragionevolmente
assurde non vengono mai messe in discussione se non quando una
rivoluzione vi pone fine. Ma alla morte di una credenza segue la
nascita di un'altra e quindi una nuova civiltà e società. Le
opinioni sono come le onde mutevoli sulla superficie dell'acqua, ma
per quanto variabili derivano anch'esse nella loro sostanza dalle
credenze permanenti e costituiscono come il volto delle civiltà.
Le
folle sono criminali.
Come esempio è presa la rivoluzione francese del 1789, in cui
esplose in tutta la sua brutalità la violenza delle folle. Furono
compiuti orribili massacri, giustificati dalla folla come azioni
meritorie in favore degli ideali della rivoluzione.
Il
trionfo del demagogo alle elezioni è dato dalla natura stessa delle
folle, come già scrisse Guicciardini nei suoi Ricordi
: «Chi disse uno popolo disse veramente uno animale pazzo, pieno di
mille errori, di mille confusione, sanza gusto, sanza deletto, sanza
stabilità.»
Chi
lusinga l'elettore e rafforza le sue speranze illudendolo, vince le
elezioni.
Le
istituzioni e i governi hanno poca importanza nella vita dei popoli,
quello che foggia il loro destino è l'ereditarietà del carattere,
ciò che l'autore definisce “razza”. Ne segue che i vari regimi
politici non costituiscono che la facciata nella vita politica, di
fatto ogni popolo ha un suo destino preciso determinato appunto dalla
“razza”.
Anche
le assemblee parlamentari sono folla e non certo di miglior specie.
Esse sono dominate dai capi-gruppo che fanno valere le loro opinioni
e influiscono in maniera preponderante su ogni decisione. Ne segue
che anche in democrazia di fatto sono pochi, pochissimi a esercitare
il potere e a fare le leggi. E queste leggi non sono certo il frutto
di una saggia ponderatezza : «Le assemblee politiche sono il luogo
della terra dove il genio si fa meno sentire.» E queste non sono
certo affermazioni nuove né originali, perché già Platone nella
Repubblica (561, b) ci dipinge l’uomo democratico come
anarchico e abietto, schiavo dei propri impulsi bestiali e illuso
dall’apparenza della libertà, ma di fatto succube dei propri vizi
e dei demagoghi :
Vive
dunque, penso, costui, non meno spendendo denari, pene e brighe in
piaceri necessari o non necessari, e se fortunato e non si sia dato
troppo ai bagordi, ma divenuto anziano, una volta passata la follia,
si sia convertito al passato e non si sia gettato in braccio alle
novità, considerandoli tutti uguali passa la vita nei piaceri,
sottomettendosi a quanto gli capita come se questo avesse vinto al
sorteggio, finché ne ha sazietà, e di nuovo ancora, senza
disprezzarne alcuno, ma coltivandoli tutti alla pari. … Dunque,
dicevo, egli vivrà alla giornata compiacendosi del primo desiderio,
ora ubriacandosi al suono del flauto, ed ora bevendo acqua fresca e
facendo la dieta, ed ora andando in palestra, ora poltroneggiando
incurante di tutto, ora cincischiando in filosofia. Spesso partecipa
alla politica e saltando su dice e fa quello che gli passa per la
testa, e se ammira il guerrafondaio va di là o se l’uomo d’affari
dall’altra parte. Non v’è ordine né regola, ma chiamando bella
e libera e beata la sua vita, così vive senza fare una piega.
Un
leader non è che il portavoce delle opinioni della folla e le segue
sia nel bene che nel male. E' inutile incolpare un condottiero dei
disastri provocati alla nazione, egli si è limitato a seguire
l'opinione pubblica e ad adottarne gli errori.
Il
condottiero non è una persona intelligente. «E' spaventoso pensare
al potere che una convinzione forte, unita a un'estrema angustia
mentale, conferisce a un uomo circondato da un certo prestigio.»
Il
miglior regime è quello democratico, ma il pericolo in questo caso è
rappresentato dal proliferare delle leggi e della burocrazia, che
alla fine diventa la vera padrona dello Stato. Così con l'illusione
di garantire e difendere la libertà e gli interessi dei cittadini,
si prepara di fatto il loro asservimento a uno Stato pletorico e
asfissiante che imprigiona il cittadino in un labirinto di leggi e
regolamenti.
Il
superamento dell'esistenza della folla si ha quando l'agglomerato
umano si identifica nella vita comune volta a un ideale. Allora si
passa dalla folla al popolo e si fonda la civiltà, mentre prima era
la barbarie. Tuttavia, quando un popolo perde i suoi ideali, perde
anche la propria identità e ridiventa folla, una folla di barbari :
«Passare dalla barbarie alla civiltà seguendo un ideale, poi
declinare e morire non appena questo ideale ha perduto la sua forza,
tale è il ciclo della vita di un popolo.»
Nostalgia
aristocratica dannunziana
Pochi
anni prima della diffusione dell’opera di Le Bon, Gabriele
D’Annunzio pubblicava su «Il Mattino», il 25 settembre del 1892,
un articolo intitolato La bestia elettiva, dove esponeva una
concezione superomistica della vita nel dispregio delle masse quale
apparirà nel 1895 (contemporaneamente all’opera del filosofo
francese) nel romanzo o poema in prosa Le vergini delle rocce.
L’ispiratore è Nietzsche ma il vero maestro è l’esteta Walter
Pater.
Scriveva
D’Annunzio :
La
condizione delle plebi resta sempre la medesima, sia la volontà
governatrice quella d’un tribuno o sia quella d’un re, sia classe
privilegiata la nobiltà o sia la maggioranza della Camera. Le plebi
restano sempre schiave e condannate a soffrire, tanto all’ombra
delle torri feudali quanto all’ombra dei feudali fumaiuoli nelle
officine moderne. Esse non avranno mai dentro di loro il sentimento
della libertà. Invano i Cleoni gridano alle moltitudini : «Voi non
soltanto siete la forza ma siete la luce, il pensiero, la saggezza».
Forse neppure le moltitudini credono a queste adulazioni. - Esse
credono in un solo progresso : nell’aumento del benessere fisico.
Il lievito dello spirito non vale a sollevare questa pasta densa,
grossolana e grigiastra. Per trascinare una folla bisogna
contrapporre a un suo vizio un altro vizio. E i Cleoni conoscono bene
questa psicologia, hanno l’aria di adorare il gran burattino di cui
tirano i fili.
In
particolare D’Annunzio prevede lo sviluppo pletorico delle funzioni
dello Stato democratico che alla fine soffocheranno le masse, come
afferma anche Le Bon :
I
popoli, vittime di questa illusione, che moltiplicando le leggi,
l’eguaglianza e la libertà si trovino più sicure, accettano ogni
giorno i legami più gravosi. E non li accettano impunemente.
Abituati a sopportare tutti i gioghi, essi finiscono col cercarli, e
perdere ogni spontaneità ed energia. Non sono più che ombre vane,
automi passivi, senza volontà, senza resistenza e senza forza.
Il
resto dell’articolo di D’Annunzio inneggia al messaggio
etico-politico di Nietzsche e quindi al dominio degli aristocratici
come è presentato nella Genealogia della morale (1887).
Sull’articolo
di D’Annunzio si esprime Anacleto Verrecchia ne La catastrofe di
Nietzsche a Torino,
riportandone ampi stralci e sottolineando l’opera di divulgazione
del messaggio di Nietzsche fatta dal poeta. In generale Verrecchia
nel delineare il ritratto intellettuale di Nietzsche sottolinea
l’influsso della mentalità del tempo e dei suoi pregiudizi sul
pensiero del filosofo e a proposito della morale dei signori e della
razza ariana scrive :
Quello
dei rapporti fra Nietzsche e Gobineau è un capitolo ancora aperto.
Che Nietzsche non lo citi non significa molto. Si ha motivo di
pensare che i suoi rapporti con Gobineau siano stati maggiori di quel
che non sembri. … Elisabeth Förster disse che suo fratello aveva
senz’altro conosciuto e venerato Gobineau, e che lei stessa gli
aveva letto l’Essai sur l’inegalité. C’è poi la
testimonianza di Overbeck, il quale … dichiarò che Nietzsche,
durante il periodo di Basilea, non solo conosceva, ma teneva in alta
considerazione Gobineau.
Sempre
la sorella scrisse che Nietzsche aveva rimpianto molto di non aver
conosciuto personalmente Gobineau «che sarebbe stato del tutto
qualificato per il suo modo di pensare.»
Infatti
al paragrafo 5 del Saggio primo della Genealogia della
morale i riferimenti allo studioso francese “scopritore “
della razza ariana sono evidenti. Nietzsche parla di arya e di
aristocratici nordici dalla testa bionda, per questo tanto più puri
e nobili dei preariani scuri e dai capelli neri (che vengono
addirittura accostati ai moderni socialisti!).
Il
messaggio aristocratico dannunziano si palesa in maniera evidente ne
Le vergini delle rocce, nel quale l’influsso dello stile di
Così parlò Zarathustra (1885) di Nietzsche è avvertibile,
ad esempio nelle frequenti anafore e sentenze lapidarie.
Nei
tre discorsi tuttavia, all’inizio dell’opera, attribuiti a
Massimilla, Anatolia e Violante, si sente un’eco dei discorsi delle
tre Madri nelle Confessioni di un oppiomane (1822),
precisamente nei Suspiria de Profundis (1845), di Thomas De
Quincey.
Le
prime pagine del romanzo, da Socrate alla polemica antidemocratica e
oltre sono all’insegna dello stile. L’ideale estetico, alla
Gautier per intenderci e cioè parnassiano, è il vero dominatore
dell’animo di Claudio Cantelmo ed è anche il fondamento della sua
posa aristocratica al di sopra della mischia. D’Annunzio in realtà
non ha vere idee politiche, anche la politica e lo Stato per lui si
traducono in una sorta di “philosophie dans le boudoir” e in un
disprezzo per i vili mortali che erediterà il Dorian Gray di Wilde.
Il
superomismo di origine nietzscheana e l’estetismo alla Walter Pater
lo conducono ad affermazioni che anticipano di molto i tempi e
preludono all’ideale nazionalista nel suo disprezzo per la
democrazia, considerata come il trionfo della moltitudine plebea :
Su
l’uguaglianza economica e politica, a cui aspira la democrazia, voi
andrete dunque formando una oligarchia nuova, un nuovo reame della
forza; e riuscirete in pochi, o prima o poi, a riprendere le redini
per domar le moltitudini a vostro profitto. Non vi sarà troppo
difficile, in vero, ricondurre il gregge all’obedienza. Le plebi
restano sempre schiave, avendo un nativo bisogno di tendere i polsi
ai vincoli. Esse non avranno dentro di loro giammai, fino al termine
dei secoli, il sentimento della libertà.
Pur
disprezzando il contatto e la vicinanza della folla, Cantelmo non si
discosta dall’atteggiamento del demagogo : «… ricordatevi sempre
che l’anima della Folla è in balia del Pànico. Vi converrà
dunque, all’occasione, provvedere fruste sibilanti , assumere un
aspetto imperioso, ingegnar qualche allegro statagemma.»
Infatti, come ogni demagogo, vuole servirsi della folla e
addomesticarne gli istinti esclusivamente a proprio profitto.
La
folla e i suoi domatori vengono presentati nelle tinte più fosche :
Assai
lontano, in verità, appariva il giorno; poiché l’arroganza delle
plebi non era tanto grande quanto la viltà di coloro che la
tolleravano o la secondavano. Vivendo in Roma, io era testimonio
delle più ignominiose violazioni e dei più osceni connubii che mai
abbiano disonorato un luogo sacro. Come nel chiuso d’una foresta
infame, i malfattori si adunavano entro la cerchia fatale della città
divina dove pareva non potesse novellamente levarsi tra gli smisurati
fantasmi d’imperio se non una qualche magnifica dominazione armata
d’un pensiero più fulgido di tutte le memorie. Come un rigurgito
di cloache l’onda delle basse cupidige invadeva le piazze e i
trivii, sempre più putrida e più gonfia, senza che mai
l’attraversasse la fiamma di un’ambizione perversa ma titanica,
senza che mai vi scoppiasse almeno il lampo d’un bel delitto.
Dove,
nelle ultime parole, si vede chiaramente che dal tono moralistico
delle prime si passa a un’idealità puramente estetica, e
addirittura un delitto può risultare artisticamente pregevole.