Federico
Faggin, Irriducibile, la coscienza, la vita, i computer e la
nostra natura, Milano, Mondadori, 2023
P.
4, importante nella prefazione il cenno alla filosofia perenne
(cfr. Coomaraswamy, Induismo e Buddismo,
Milano, Rusconi, 1994, p. 5).
P.
8, 9, quanto l’autore afferma, concorda con la concezione di
Bergson, solo che, pare, Faggin non ne ha conoscenza o lo ignora
volutamente. Il fatto, a mio parere, è che Faggin non ha una
formazione filosofica, ma eminentemente scientifica, il che nulla
toglie al grande valore del suo messaggio. Egli dice in particolare :
… l’evoluzione
dell’universo parte da enti coscienti dotati di libero arbitrio che
emergono da Uno. Uno è
un Tutto, sia in
potenza che in atto, irriducibilmente dinamico e olistico, che vuole
conoscere se stesso per autorealizzarsi. Uno è fatto di
parti-intero, inseparabili e in continua evoluzione che da Lui
emergono e che comunicano tra di loro per conoscere se stesse. Nel
conoscere se stesse, esse realizzano l’intenzione e lo scopo
comune. Pertanto c’è un divenire nell’universo,
e il futuro non è assolutamente predicibile, nemmeno da Uno.
P.
14, per esperienza personale l’autore comprende che la sostanza di
cui è fatto tutto ciò che esiste è la coscienza, sostanza
incorporea che va oltre la materia. In questo egli è perfettamente
in linea con quanto afferma Bergson (L’evoluzione
creatrice, Milano, BUR, 2016, p.
235).
P.
16 (Laddove parla di Uno e di noi come eterni punti di vista
dell’Uno, bisognerebbe prendere in considerazione Leibniz, anche se
qui siamo ancora nel campo del meccanicismo, secondo Bergson).
P.
17, in seguito all’autoanalisi l’autore può asserire la propria
convinzione che gli esseri umani non sono macchine biologiche o robot
biologici, ma (e in questo vi è una straordinaria conferma della
dottrina platonico-orfica) “esseri spirituali temporaneamente
imprigionati in un corpo fisico simile a una macchina.”
P.
18, ritiene che, data l’importanza del problema, bisogna prendere
sul serio l’ipotesi che “la coscienza venga prima della materia,
o contemporaneamente a essa.” Si noti che la questione era già
stata trattata da Bergson nella sua contrapposizione tra vita e
materia, nella sua definizione di Dio come “vita incessante,
azione, libertà” (op. cit., p. 239).
P.
19, l’autore parla di natura spirituale dell’universo, che viene
ignorata dal fisicalismo e dal riduzionismo materialisti. Ma la
fisica quantistica è orientata verso la concezione di un universo
olistico e creativo e secondo il punto di vista di Faggin l’universo
è “esso stesso consapevole e vivo fin dall’inizio.” Anche
per questa affermazione si veda l’opera di Bergson che considera
l’universo come un corpo materiale animato dalla vita cosciente.
P.
28, anche nella esposizione della storia della fisica è evidente la
posizione di Faggin, che giustamente ritiene superata la fisica di
Laplace e in genere del materialismo di origine positivista. E’ una
conferma del valore della filosofia di Bergson.
P.
30-34, l’esposizione sommaria ma precisa dell’evoluzione della
fisica quantistica conferma l’affermazione di Bergson che la
materia è energia e che spazio e tempo non hanno un valore assoluto
ma relativo.
P.
39, nel capitolo intitolato La fine della certezza
leggiamo :
Un
altro aspetto importante della matematica, che spesso viene
sottovalutato, è che la verità dei suoi enunciati è relativa
soltanto a quella dell’insieme di assiomi non dimostrabili su cui
c’è accordo. Tali assiomi sono infatti considerati verità
autoevidenti, accettate come tali per convenzione perché non
dimostrabili. La presunta oggettività della matematica si basa
quindi sull’accettazione soggettiva di
ciò che è ritenuto autoevidente.
Il
capitolo presenta soprattutto per i profani un’assoluta importanza,
infatti crolla agli occhi del non addetto ai lavori il mito della
certezza matematica, che si rivela pura illusione.
P.
48, le pagine dedicate alla fisica quantistica sono ovviamente di
difficile comprensione, però l’affermazione “l’indeterminismo
è una proprietà irriducibile della natura” si accorda con quanto
sostenuto già da Bergson. Infatti a p. 212, 213 dell’Evoluzione
creatrice Bergson afferma : “…
alla base della natura non vi è nessun sistema definito di leggi
matematiche …” E poco avanti sottolinea “quale ruolo
importantissimo abbia l’idea di disordine nei
problemi relativi alla teoria della conoscenza.”
A
p. 50 si dichiara che la realtà soggettiva e oggettiva si creano a
vicenda e nessun fenomeno è tale finché non è osservato, come a
dire che l’oggetto non è tale senza un soggetto. Inoltre si
sottolinea il ruolo fondamentale della coscienza nella fisica, e
questo è un concetto chiaramente già espresso da Bergson. Ma tale
concezione è ancor prima, e naturalmente siamo molto lontani dal
retroterra culturale di un fisico moderno, del filosofo tedesco
Schelling, cioè nel Sistema dell’idealismo
trascendentale. Si veda ad
esempio il paragrafo 1 dell’introduzione (Concetto della filosofia
trascendentale) laddove si dice :
1.
Ogni sapere si fonda sull’accordo di due elementi, l’uno
subbiettivo, l’altro obbiettivo. Infatti si conosce soltanto il
vero; ma la verità è generalmente posta nell’accordo delle
rappresentazioni coi loro oggetti.
2.
Possiamo chiamar Natura la totalità degli elementi obbiettivi del
nostro sapere, mentre l’insieme di tutti gli elementi subbiettivi
dicesi Io, o intelligenza. I due concetti sono antitetici. In origine
l’intelligenza è concepita come il puro rappresentativo, la natura
come il puro rappresentabile; quella come il conscio, questa come
l’inconscio. Tuttavia in ogni sorta di sapere è necessario il
mutuo concorso di ambedue.
(F.
W. J. Schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale,
Bari, Laterza, 1990, p. 7)
P.
52, il sistema assiomatico esemplificato dalla geometria euclidea è
stato alla base della presunta certezza delle matematiche e delle
scienze cosiddette esatte, ma si tratta di presunzione, per quanto
umanamente comprensibile. Anche Bergson critica la falsa certezza
della scienza con l’individuazione del meccanismo cinematografico
del pensiero che ingabbia in una visione distorta il fluire continuo
del reale.
P.
53, si passa alla considerazione della differenza tra l’intelligenza
umana e quella dei robot. La prima è cosciente e basata sulla
conoscenza semantica, cioè che include un significato di cui si è
consapevoli, la seconda è incosciente e basata su una conoscenza
simbolica, cioè su segni che sono collegati tra loro meccanicamente
in un processo inconsapevole, senza un soggetto.
Seguono
diverse considerazioni sull’intelligenza artificiale, i robot e le
differenze sostanziali tra questi e gli esseri viventi e la mente
umana. Gli argomenti sono quelli di un fisico e non sono sempre di
facile comprensione, ma dal punto di vista filosofico la questione è
se i robot possono in qualche modo essere considerati alla stregua
degli esseri umani, se questi secondo alcuni fisici sono robot
biologici. La risposta è no, perché all’intelligenza artificiale,
che è pura e semplice intelligenza, manca un elemento che già per
Bergson era fondamentale e cioè l’intuizione. I robot sono del
tutto privi di intuizione e questo è di per sé un grande limite.
Non si può affidare alcun potere decisionale a un robot, come nel
caso delle auto a guida autonoma, perché, riconosce Faggin, esse in
molti casi potrebbero incorrere in errori fatali. Inoltre le macchine
sono sistemi deterministici e riduzionistici e sono costituite
secondo un modello teorico, schematico della realtà, mentre le
cellule, la cui natura è in gran parte ancora misteriosa, sono
fenomeni quantistici il cui “funzionamento” risulta generalmente
imprevedibile. Le prime sono create per compiere determinate e
specifiche operazioni, sempre le stesse, e sono utili appunto nei
lavori ripetitivi laddove la mente umana tende a distrarsi, mentre le
cellule viventi e in genere gli organismi viventi si adattano alle
più diverse esigenze.
P.
88, questa lunga spiegazione dell’informazione di Shannon non è
adatta a un pubblico di lettori non specialisti o che hanno da tempo
abbandonato ogni interesse per la fisica (come me !).
P.
96, nella percezione del linguaggio, in quanto complesso di suoni
aventi un significato, vi è una fondamentale differenza tra noi e le
macchine, per esse si tratta di simboli che danno avvio a un processo
meccanico e inconscio, per noi si tratta di segni dotati di valore
semantico non solo oggettivo ma anche soggettivo e come tali
rielaborati dalla coscienza.
L’elaborazione
dell’esperienza cosciente va oltre quella simbolica e algoritmica
dei computer e la comprensione e la creatività vanno oltre ciò che
può fare una macchina. I programmi dei computer ci rivelano soltanto
l’aspetto simbolico della mente e i computer sono nostre creazioni
in quanto dotate della parte algoritmica della nostra essenza. Ma la
coscienza è la nostra vera ricchezza ed è ciò che ci permette di
comprendere, mentre i computer non potranno mai capire ciò che fanno
né essere coscienti.
Una
volta compresa la differenza fondamentale che c’è tra un organismo
vivente, ad esempio la cellula, e un computer, le pagine dedicate a
sottolineare tale differenza nelle più minute sfumature riescono
stucchevoli e noiose a chi non sia immerso negli studi di fisica e
informatica. Sembrano pagine scritte per ingrossare il volume e sono
a mio parere superflue, ma si dirà che appunto penso così perché
non sono un fisico.
A
p. 112 si ribadisce un concetto propriamente bergsoniano e cioè che
“la vita è una espressione della coscienza e non della materia
inanimata.” Tuttavia pare che di Bergson Faggin non si ricordi
minimamente.
P.
125, probabilmente un collaboratore ha fornito all’autore qualche
notizia della filosofia di Eraclito, che giustamente e a proposito
viene citato. Leggendo il testo, infatti, si ha l’impressione di
trovarsi di fronte a uno scienziato e non certamente a un umanista.
Inoltre riappare la visione della natura quale è nell’Evoluzione
creatrice di Bergson. Nulla è permanente se non l’illusorio,
il tutto è continuo mutamento e fluire incessante.
A
p. 126 si manifesta chiaramente la concezione bergsoniana. Faggin
scrive che ogni organismo vivente è collegato con un ente cosciente
dotato di libero arbitrio. E qui con evidenza appare che la vita è
coscienza che domina la materia. Vedi infatti a p. 127 :
“Considerando che la vita è una realtà olistica, l’essenza del
tutto deve essere contenuta in ciascuna delle sue parti.” La
coscienza di un organismo è perciò presente anche in ogni sua
cellula.
P.
137, a parte una certa concessione alla moda ambientalista nelle
pagine precedenti, si conferma la concezione bergsoniana della
coscienza : “Credo che sia impossibile spiegare la vita senza i
concetti di coscienza e di libero arbitrio …”
P.
138 :
Secondo
le nostre teorie fisiche, le particelle sono emerse dal campo
unificato che componeva il tutto, ma non sono separabili dal tutto e
non lo precedono. In un universo olografico e olistico, le parti che
si autoassemblano devono contenere l’essenza del tutto, e quindi
non possono essere separate da esso, perché il tutto deve poter
influenzare le parti.
P.
154, la realtà interiore, cioè della coscienza, si distingue
nettamente da quella fisica e dei computer. La realtà fisica è
simbolica, quella della coscienza è semantica. Similmente lo spazio
e il tempo della realtà fisica non sono quelli della realtà
interiore. Anche quando leggiamo un romanzo viviamo in una realtà
della coscienza, creata da essa nella traduzione in significato di
simboli convenzionali della scrittura.
P.
161, mentre per l’apprendimento una mente artificiale ha bisogno di
molti esempi di riferimento e facilmente cade nell’equivoco perché
si basa solo su dati esterni dell’oggetto, la mente umana si basa
invece sull’intuizione che spesso non ha bisogno di altro che di se
stessa o comunque di pochi esempi. Anche qui si evidenzia la
condivisione del pensiero di Bergson secondo cui l’intelligenza di
per sé è cieca quando manca l’intuizione.
P.
164, la vera intelligenza non può essere disgiunta dalla coscienza.
“La vera intelligenza è intuizione, immaginazione, creatività,
ingegno e inventiva”, un essere umano che si identifichi con il
corpo e la mente logica non è più tale, è un robot. E purtroppo i
“robot” umani nella società attuale dell’occidente e
dell’oriente sono numerosi.
P.
187, con il concetto quantistico di “seity”, cioè
sostanzialmente il Sé della tradizione teosofica e indiana e l’Io
di quella idealistica di Schelling, si afferma che : “Una seity
esiste anche senza il corpo fisico … la nostra esistenza non
dipende dall’esistenza del corpo.” E questo, mi sia concesso, è
affermare l’immortalità dell’anima.
P.
190, NB : la fisica quantistica non descrive il mondo esteriore ma
quello interiore.
Ibidem,
a partire dal cap. L’esistenza del libero arbitrio, Faggin
entra nel campo della teosofia. Questa non è una critica negativa
all’autore, anzi! Però è evidente che le affermazioni di Faggin
non appartengono più al campo della scienza sperimentale. Egli (e
questo è un merito!) ha finalmente superato i vincoli della mera
intelligenza per entrare nel regno dell’intuizione.
…
tutto
ciò che vediamo nell’universo è stato inizialmente immaginato
nella coscienza delle seity perché la realtà fisica segue la realtà
quantistica, che segue l’informazione quantistica, che a sua volta
rappresenta il pensiero, i desideri e le esperienze coscienti delle
seity.
P.
197, “Sono le seity che hanno cooperativamente dato esistenza alle
stelle, ai pianeti e agli organismi viventi …” in questo c’è
una sorprendente analogia con la dottrina Sankhya indiana che prevede
l’esistenza di entità infinite o anime (purusa) e di una natura
naturante (prakrti) anch’essa eterna (cfr. p. 73, Giuseppe Tucci,
Storia della filosofia indiana, Bari, Laterza, 2012).
P.
198, la creazione dell’universo e dell’uomo è dovuta al fatto
che Uno vuole conoscere se stesso e conoscere significa venire ad
esistenza. Così tutti noi siamo emanazione di Uno (p. 199). In
quest’ultima espressione si riconosce l’influsso delle Enneadi
di Plotino (non so se Faggin ne abbia effettivamente notizia o
conoscenza diretta, ma l’atteggiamento mentale è lo stesso).
A
p. 203 cita Schelling, ma non credo sia farina del suo sacco, mi sa
di suggerimento. Faggin ha infatti una conoscenza incredibile della
fisica, ma di filosofia non mi pare sappia molto.
Ibidem,
sembra di leggere un testo gnostico. Dall’Uno sono emanati o creati
(la cosa non è chiara) le Seity o Entità che a loro volta
riproducendosi creano altre Seity e così via all’infinito.
P.
208, viviamo nella confusione più totale, avendo scambiato la realtà
esteriore e la sua simulazione nell’IA con quella interiore, che è
la vera realtà.
Pensare
che l’IA sia realmente intelligente, mentre invece, essendo priva
di interiorità, è solo un’imitazione del comportamento umano, è
un fraintendimento analogo a quello che si fa quando si confonde la
teoria della realtà con la realtà. La realtà è viva, ma
non vive nella materia, bensì nella conoscenza esperienziale di
sé. E’ l’idea di materia che abbiamo che è sbagliata,
perché gli studiosi hanno dato valore di realtà all’informazione
astratta senza significato e lo hanno tolto alla conoscenza di sé,
che in questa nuova concezione è la realtà più profonda.
P.
212, affermazione rivelatrice . “Noi, in quanto seity, siamo
eterni.”
P.
216 : “Riassumendo, ritengo che dal Principio creativo segua la
necessità logica che da Uno debbano emergere enti il cui scopo è
conoscere se stessi, e aumentare così la Sua conoscenza.” Nella
nota a piè di pagina fa chiaramente riferimento a Leibniz, che
mostra di seguire dal punto di vista teoretico, mentre appoggia la
posizione di Leibniz contro il meccanicismo di Newton. Invece Bergson
considera anche Leibniz un meccanicista.
P.
220, Plotino e Giordano Bruno sono da tenere in considerazione come
pensatori che hanno anticipato queste nuove concezioni del mondo e
dell’uomo. Faggin dice : “Tutti noi abbiamo una natura divina.
Questa è la nostra vera essenza, e il nostro compito è cercare di
ricondurre il divino che è in noi al divino che è nell’universo”,
citando appunto Plotino.
P.
224, come Bergson anche Faggin ritiene che “l’universo è aperto
e il suo futuro non è determinato.” La differenza fondamentale
con Bergson è che Faggin sostanzialmente accoglie la dottrina di
Leibniz, che invece Bergson biasima in quanto lo considera un
meccanicista, cioè precisamente un puro razionalista, mentre Bergson
rivaluta l’istinto e l’intuizione.
P.
230, la seity è un ente cosciente che può incarnarsi nel corpo,
ecco la metempsicosi platonica e una piena conferma della verità del
platonismo, dell’orfismo, del pitagorismo e poi del neoplatonismo.
L’ego è la parte della seity che si è identificata con il corpo e
che può essere irretita da esso a tal punto da immergersi totalmente
nella materia e perdere il contatto con lo spirito o “seity”,
come lo chiama Faggin.
P.
244, indubbiamente c’è un po’ di deformazione professionale in
queste teorie di Faggin che è un fisico informatico. Egli ritiene
infatti che la vita biologica sia creata dalle seity come un mondo
“virtuale” nel quale incarnandosi, come immerse in una sorta di
“metaverso”, esse esperiscono la vita corporea. Però se
tralasciamo questi aspetti della teoria e ci rivolgiamo al suo
interno vediamo che questa visione della realtà vera si avvicina
molto a quella degli antichi gnostici o alla religione dell’antica
India.
P.
246, all’inizio del capitolo Faggin sembra collegarsi al viaggio
dell’anima nell’Iperuranio e al mondo delle Idee di Platone.
L’anima foggerebbe le sue idee-simbolo per comunicare e conoscere
meglio se stessa, poi si incarnerebbe nel corpo, simbolo
materializzato, sempre allo scopo dell’autoconoscenza. Ma poi
darebbe luogo alla costruzione di macchine, computer, robot e
quant’altro e a nuovi tipi di corpi cibernetici. Mi sembra che qui
si ripiombi in pieno meccanicismo e ciò contraddice profondamente il
messaggio di Bergson, non si va infatti verso l’intuizione, ma
verso un’iper-intelligenza.
P.
247, è evidente che la concezione “metafisica” di Faggin è
tratta dalla pratica della realtà virtuale. La seity è paragonata a
un giocatore che nel videogioco manovra il suo avatar, ben
consapevole che la realtà virtuale è parte della realtà più vasta
in cui vive il giocatore. Così l’avatar nel videogioco corrisponde
al corpo nella vita fisica che è mosso dall’anima, cioè la seity.
L’identificazione della seity con il corpo viene esemplificata dal
metaverso. Queste similitudini tecnologiche richiamano a grandi linee
il mito platonico della caverna, nel libro VII della Repubblica.
P.
248, con la morte, risvegliandosi come da un sogno, la seity ritrova
se stessa nella sua vera realtà. A questo proposito cita Seneca
nelle Lettere morali a Lucilio, 102. Brano che rivela
pienamente come di questa realtà vera gli antichi filosofi fossero
consapevoli.
P.
249, fa riferimento al secondo corpo o doppio e cita l’esperienza
di chi “esce” dal corpo. A questo proposito cfr. Robert A.
Monroe, I miei viaggi fuori dal corpo, Padova, MEB, 1994.
P.
252, 253, la realtà è il frutto dell’azione delle seity, dotate
di libero arbitrio, coscienza e vita.
P.
255, il mondo reale, studiato dalla fisica, non è regolato da leggi
immutabili ma dall’interazione di enti coscienti.
Il
mondo delle seity sarebbe un po’ come nella fantasia di Shelley
vengono presentate le vite custodite dalla Maga dell’Atlante :
Like
one asleep in a green hermitage,
With
gentle smiles about its eyelids playing,
And
living in its dreams beyond the rage
Of
death or life; …
(The
Witch of Atlas, LXXI, 611-614)
P.
264, noi siamo coscienza e ciascuno di noi è una parte-intero di
Uno, e Uno è dentro ciascuno di noi. Non può esistere una sola
coscienza universale, perché ci siamo noi, altri osservatori
dell’universo. Le tesi deterministiche che annullano il soggetto e
ammettono solo l’oggetto esprimono un chiaro non senso, perché non
è possibile conoscenza senza soggetto conoscente.
P.
266, se ho ben capito (e non è detto) quando Faggin dice che la
conoscenza di una seity evoluta può esprimersi adeguatamente
soltanto con un simbolo vivo come un essere umano, intende dire che
essa si incarna in un essere umano, e quando essa raggiunge un
livello di conoscenza ancora maggiore si incarna o incorpora ad
esempio nel nostro pianeta. Allora questo significa che tutto è
vivente e animato, dal più piccolo microbo al più grande degli
astri, e che i pianeti sono i corpi di seity più evolute di noi,
quelle che gli antichi chiamavano “dei”.
P.
266, la vita esiste per dar modo alle seity di conoscere se stesse
nell’esperienza di sé, incarnandosi in organismi che sono il
frutto della conoscenza sinora raggiunta dalle seity. E questo
incarnarsi in organismi per la conoscenza prosegue all’infinito.
P.
271, mentre la seity elabora il significato, il computer opera solo
sui simboli e, non avendo coscienza, non comprende alcun significato.
Quindi l’IA non può essere neppure creativa, nel senso di creare
idee nuove, per quanto i suoi risultati possano essere per noi
stupefacenti. Ma, si badi, stupefacenti per la nostra coscienza che
comprende il significato, non per l’IA, che non comprende nulla.
P.
272, ci si avvicina forse alla filosofia Sankhya indiana. Le seity,
utilizzando i simboli della fisica classica ma ricorrendo nel
contempo al simbolo dinamico della fisica quantistica, hanno creato
le cellule e hanno quindi dato il via alla vita sulla terra. Dal
punto di vista filosofico siamo nello gnosticismo, nell’esoterismo,
nell’ermetismo, insomma siamo alle soglie di una rivoluzione totale
nel pensiero. La magia celebra la sua vittoria sulla scienza!
P.
280, la matematica e la fisica classica non sono in grado di
descrivere tutto il vivente, esiste una interiorità della coscienza
che si sottrae a qualunque indagine razionale. Inoltre l’universo
quantistico è assai più vasto di quello prospettato dalla fisica
classica e non è conoscibile razionalmente.
P.
282, si celebra la musica come linguaggio diretto dell’anima e
universale, come Schopenhauer l’aveva considerato la immediata
espressione della Voluntas.
P.
288, le seity, mosse dal bisogno di capire l’esistenza della
riproduzione con cui loro stesse sono state create dall’Uno, hanno
adoperato il loro linguaggio costituito da simboli vivi per creare
simboli in grado di autoriprodursi. L’essere umano, mosso da pari
curiosità, ha creato le macchine, ma bisogna notare che esso è una
seity incarnata. L’uomo nella sua esteriorità è un simbolo vivo,
mosso dalla coscienza dell’anima, cioè da quella che Faggin chiama
seity.
P.
294, quando Faggin afferma che siamo un insieme di cuore, testa e
pancia, e afferma che bisogna armonizzare questi membri del corpo
perché ognuno di essi è sede di una facoltà particolare, il
cervello del ragionamento e dell’intelletto, il cuore dei
sentimenti, la pancia degli impulsi, egli non fa altro che tradurre
l’insegnamento platonico presente fra l’altro nella Repubblica,
libro IV. Platone parla di tre facoltà dell’anima umana, o tre
anime addirittura, l’elemento razionale, l’irascibile e
l’appetitivo. Come si può notare, il fisico non aggiunge granché
a quanto già detto dal filosofo.
Leibniz
e Faggin
Quando
Leibniz afferma che i cambiamenti naturali delle Monadi
derivano da un principio interno, viene richiamato da Faggin che
intende le seity come portatrici di qualità in costante mutamento
dovuto all’esperienza cognitiva, ma questa esperienza non aggiunge
o toglie nulla alle seity in quanto esse, parti del Tutto, contengono
però il Tutto, come dice anche Leibniz. Data la totalità presente
nella Monade, essa attraversa una pluralità di affezioni o di stati
o di percezioni. La corrispondenza nella fisica quantistica o nuova
metafisica ai vari stati quantistici e ai campi è evidente.
Leibniz
inoltre pone l’esempio di una macchina gigantesca apparentemente
pensante e senziente, come una sorta di robot. Se, dice Leibniz, vi
entriamo dentro, noteremo che, a parte i meccanismi, non vi è nulla
che giustifichi la presenza di una coscienza pensante o senziente.
Dunque è solo nella sostanza semplice, dove è presente il Tutto,
che va cercata la ragione della percezione. Il corpo, la materia, non
è altro che uno strumento apparente.
Nella
Monadologia (1714)
il filosofo tedesco distingue
tra la Monade nuda e la Monade razionale o spirito. Gli
esseri umani corrispondono a quest’ultima, mentre gli animali sono
dotati di anime che percepiscono e hanno memoria, ma sono privi di
ragione. Le Monadi semplici poi sono al di sotto di queste, nella
gerarchia, e corrispondono a esseri inferiori, come i vegetali, privi
di una percezione distinta.
Sebbene
consideri Leibniz un meccanicista anche Bergson estende a tutto il
vivente l’anelito della Coscienza, non riservando l’anima al solo
genere umano (cfr. p. 250 dell’Evoluzione creatrice).
Però Bergson contesta a Leibniz come a tutti i filosofi sistematici
l’aver inquadrato tutta la realtà visibile ed invisibile in uno
schema di logica umana. La Divinità di Leibniz ad esempio opera
sulla base di una logica rigorosa che però è pur sempre la logica
dell’uomo. E anche Faggin, a mio parere, tende a misurare l’operato
della Divinità sul modello della mente umana.
Quando
Leibniz parla dell’armonia universale, dice quanto ripetuto da
Faggin e cioè che ogni sostanza semplice o monade è specchio
vivente e perpetuo dell’universo, questo infatti significa che le
parti contengono il Tutto, come afferma il fisico italiano a p. 138.
Leibniz
afferma che le monadi rispecchiano in sé tutto l’esistente e che
tutto è pieno, perché il vuoto non esiste. Queste dichiarazioni
sono riprese da Faggin nella sua esposizione della fisica quantistica
e del vuoto quantistico. Infatti se si legge l’opera di Leibniz
dopo aver letto il libro di Faggin si è come pervasi dalla
sensazione che la fisica quantistica fosse già nota al filosofo
tedesco. Quando Faggin ci mostra che ogni cellula del corpo è come
un altro corpo in miniatura, ma che ogni componente di un computer
non è a sua volta un minicomputer, così Leibniz aveva affermato che
ogni macchina costruita dall’uomo non è una macchina anche in
ciascuna sua parte, ma le sue componenti hanno caratteristiche del
tutto diverse dall’insieme, mentre i corpi naturali sono macchine
viventi anche nelle loro infime parti. E questo accade perché ogni
porzione della materia è suddivisibile all’infinito e ogni minima
particella esprime da sé tutto l’universo.
Per
quanto riguarda la concezione della materia sia Leibniz che Faggin,
ma anche Bergson, ritengono che essa sia un fluire in cui le parti
entrano ed escono continuamente e così anche i nostri corpi non sono
mai in ogni momento gli stessi.