Jorge
Luis Borges, Il libro di sabbia, Milano, Adelphi, 2004
Il
primo racconto “L’altro” è una variazione sullo stesso tema
che ispirò Papini nel racconto “Due immagini in una vasca” de Il
tragico quotidiano e il pilota cieco, per confessione dello
stesso Borges. Si tratta dell’autore ormai anziano che incontra il
suo “doppio” più giovane, in un punto di incontro tra passato e
futuro.
Il
seguito dell’opera rivela un puro gusto di narrare fine a se
stesso, senza inseguire particolari tesi, una narrazione intessuta di
riferimenti dotti talvolta o allusivi, ma sempre frutto della
immaginazione feconda dell’autore.
P.
45, il racconto alla maniera di Lovecraft “There are more things”
testimonia con il finale lasciato in sospeso la capacità di Borges
di adattarsi a tutti gli stili e a tutti i generi con la duttilità
dell’erudito dalle letture sterminate e del letterato raffinato e a
volte stravagante.
P.
68, il racconto “UNDR” è decisamente enigmatico, gioca
sull’infinita possibilità di significato delle parole e perciò
idoleggia l’unica parola dai sensi infiniti.
P.
98, il titolo della raccolta è dato da un racconto che appunto
s’intitola “Il libro di sabbia” ed è incentrato su un volume
misterioso dalle pagine infinite che si generano l’una dall’altra
al solo sfogliarlo. Per chi accidentalmente ne è venuto in possesso
ciò costituisce un vero incubo, tanto da spingerlo ad abbandonare il
mostruoso oggetto nei sotterranei di una biblioteca pubblica.
P.
109, in “Venticinque agosto 1983” viene ripreso il tema del
doppio che è anche nel primo racconto, influenzato dalla lettura di
Papini. In genere trovo una certa affinità tra Papini e Borges,
entrambi hanno a base del loro narrare un interrogativo esistenziale,
un problema filosofico, una posizione metafisica.