domenica 13 novembre 2011

Orfeo

Come alla montagna esonda il respiro
del mare, tale anela il desiderio
mio di stringere la tua mano,
quali lo sguardo scorse sul sentiero
più lungi fianco a fianco, beati,
due amanti, nudi il dorso, e belli,
di crocea luce aspersi; potessi
la tua mano lambire almeno !
Sei apparsa sull’albero di vita
frutto proibito, o forma immortale
ora fugace, o divino incanto !
Euridice, il mio mondo s’immerse
negli occhi tuoi, in baratri di luce.
E ancora nera sull’acqua avviso
la barca del traghettatore e come
un papilionide sulla pietra
fermo attendo la morte. Ma non mai
da te potrà deviarmi. Se ci vieta
la dura legge di Ade e di Persefone
invida, il tuo sorriso m’è dato
ora per sempre. O dolci giacigli
d’armonia ed estatici abbandoni,
gioie di giaietto, voi neri fari
più fondi della notte e abbaglianti
più del meriggio, dolcissimo riso
chiaro più dei limpidi mattini,
non mai senza me di Stige le negre
onde varcherete. Oh ! Quella vita
giovanile fosse in un lungo sogno
e mia non fuggissi al mio volto
sino al raggio d’un’eterna aurora !
Poi che mi beai, quando il sole limpido
d’estate era nel cielo, in obliati
campi di luce e libero volò
il mio vero cuore dalla patria
via nei climi sereni con esseri
dalla mente effusi. Dammi la mano
ora, Euridice, ultimo addio
prima che ci estirpino laide arpie
dal gracchio amaro. Ma dei mortali
breve è il soggiorno e certo lunga
l’infera sosta, né sarai poi molto
in attesa. Ecco, l’estremo bacio
ormai rompe l’incanto ed un tetro
velo ed inesorabile s’intesse
fra noi. Ma pure è dell’uomo mortale
infinito l’amore, o abisso!


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