A. Fogazzaro Malombra ( 1881 ) Milano, Mondadori, 1993
Descrizione del parco intorno al palazzo ( gusto estetico affine a quello di Théophile Gautier ):
“Alle spalle del Palazzo il piccone e il badile hanno vigorosamente assalita la montagna e conquistatone il cortile semicircolare, dove mormora un getto cristallino che ricade ondulando tra gli eleganti gynereum e le ampie foglie degli arum, quasi fiore animato di quella vegetazione tropicale. Altri due grandi mazzi ovali di fiori e di foglie si spandono ai lati di questo, fuor dalla ghiaia candida e fine. Per le muraglie di sostegno addossate al monte serpeggiano e s’incrocicchiano le mille braccia delle passiflore, delle glicine, de’ gelsomini, fragili creature amorose che cercano dappertutto un sostegno e lo vestono, grate, di fiori. Due fasci di passiflore si abbrancano pure agli angoli interni dei due fabbricati e salgono a gittar le frondi scarmigliate sin dentro la loggia.
A mezzo della muraglia di sostegno, propriamente in faccia alla loggia, sale il monte tra il versante di mezzogiorno e quello di ponente un’ampia scalinata a ripiani, fiancheggiata di cipressi colossali e di statue. A destra e a sinistra si stendono reggimenti di viti, allineate in ordine di parata. Alcuni dei cipressi han perduto la cima e mostrano la fenditura nera d’un fulmine; i più sono intatti e potenti nella loro augusta vecchiaia. Paion ciclopi enormi che scendano solennemente dal monte a lavarsi; e mettono intorno a sè il silenzio dello stupore.
Delle statue, appena otto o dieci durano su piedestalli, mascherati da fitti domino d’edera. Ne stendono fuori le braccia ignude e accennano, simili a minacciose sibille o piuttosto ninfe già sopraffatte e irrigidite da una strana metamorfosi. Il figlio del giardiniere seguiva quest’ultima interpretazione e usava porre loro in mano dei fasci di erbe e di fiori. A sommo della scalinata sta un’ampia vasca appoggiata ad una elegante parete greggia a mosaico bianco, rosso e nero, ripartito in cinque arcate intorno ad altrettante nicchie, ciascuna con la sua urna di marmo; in quella di mezzo una Naiade ignuda e ridente si curva sull’urna, la inclina col piede; e n’esce a fiotti l’acqua che dalla vasca è condotta per un tubo nascosto a zampillare nel cortile, tra i fiori. Sul piedestallo della statua sono incise le famose parole di Eraclito:
panta rei “
Lo stile è assai interessante, oscilla tra il parlato, l’espressione dialettale, e il tentativo, sempre riuscito, di cogliere mediante metafore o similitudini il fascino d’un personaggio o d’un ambiente.
Marina è paragonata a una dea :
“ Quando si moveva tra queste eleganze invecchiate e tetre la delicata figura di Marina nell’abito celeste a lungo strascico che talvolta indossava per capriccio nelle sue camere, ella pareva caduta dall’affresco del soffitto, da quel cielo sereno, dal gaio seguito di un’Aurora ignuda che vi guidava i balli delle Oreadi e delle Naiadi: caduta in un tenebroso regno sotterraneo dove il suo fiore giovanile brillava ancora, ma di bellezza meno gaia e meno ingenua. Quella dea lassù, tutta rosea da capo a piedi, non aveva negli occhi come questa il fuoco della vita terrena nè il fuoco del pensiero; e benchè pigliasse nel cielo uno slancio superbo con tutti i simboli della sua divinità, pareva, rispetto a Marina, una sguattera glorificata. “ ( parte prima, V )
Simbolo di Marina ( donna fatale ) è la luna, come nella Salammbo di Flaubert, altro elemento simbolico è il lago ( l’inconscio ? ).
“Arrivò al Palazzo con suo zio una sera burrascosa. Il conte l’accompagnò egli stesso alle camere che le aveva assegnato nell’ala di levante, verso il monte. Le aveva fatte arredare con semplicità elegante, aveva provveduto al loro riscaldamento per l’inverno e nella camera da letto aveva collocato il ritratto di sua sorella, lavoro dell’Hayez. Marina vi si lasciò accompagnare, guardò senz’aprir bocca le pareti, il soffitto, gli arredi, il quadro, ascoltò le spiegazioni di suo zio su questo e su quello, aperse le finestre e disse tranquillamente che voleva una camera sul lago.
Ella amava le onde e la tempesta, nè le fecero paura la fronte corrugata e gli occhi lampeggianti del conte … ”
“Dopo un mese e mezzo Marina comparve in loggia. Era pallida, aveva gli occhi assai più grandi del solito e velati da un languore attonito. Si sarebbe detto che il vento dovesse curvarla come un sottile getto di acqua. Il vigore e la bellezza tornarono rapidamente, ma un osservatore attento avrebbe notato che l’espressione di quella fisonomia era mutata. Tutte le linee apparivano più decise; l’occhio aveva tratto tratto degli stupori insoliti, oppure un fuoco triste che non gli si era mai veduto … “
“ Benchè fossero tanto vicini da potersi toccare, riusciva loro difficile intendersi. Le onde, cresciute di botto smisuratamente, tuonavano sulla riva con un fragore assordante; il timone, la catena, i remi della lancia abballottata strepitavano. Silla vi si stese su, l’allontanò dalla riva con una disperata spinta e vi cadde dentro.—Al timone!—gridò afferrando i remi.—Al largo! Contro il vento!—Marina obbedì, gli sedette in faccia stringendo i cordoni del timone. Ormai il cielo era tutto nero, non ci si vedeva più. Si udiva il tuonar delle onde sulla riva sassosa, sui muricciuoli. Là era il pericolo. Saetta, spinta troppo vigorosamente, alzava la prua sull’onda, la spaccava cadendo a gran colpi sordi; entrava nelle più grosse come un pugnale; allora la cresta spumosa ne saltava dentro, correva sino a poppa. La prima volta, sentendo l’acqua, Marina alzò in fretta i piedi, li posò su quelli di Silla. Nello stesso punto un lampo spaventoso divampò per tutto il cielo e pel lago biancastro, per le montagne di cui si vide ogni sasso, ogni pianta scapigliata. Marina sfolgorò davanti a Silla con i capelli al vento e gli occhi fissi nei suoi. Era già buio quando egli ne sentì nel cuore il fuoco. E quei piedini premevano i suoi: premevano più forte quando la poppa si alzava; ne sdrucciolavan quindi e vi si riappiccicavano. I due remi gli saltarono in pezzi. Cacciò fuori gli altri due ch’erano nella lancia, remò con furore, perchè la notte, le voci della natura sfrenata, quel tocco bruciante, quell’inatteso sguardo gli gridavan tutti di esser vile. E i lampi gliela mostravano ogni momento, lì, palpitante, col viso e il petto piegati a lui. Non era possibile! Fece uno sforzo, si alzò in piedi e passò sull’altra panca più a prua.
— Perchè?—diss’ella.
Anche nella voce di lei v’era una commozione, un’elettricità di tempesta.
Silla tacque. Marina dovette comprendere, non ripetè la domanda. Si vide al chiarore dei lampi un denso velo bianco a levante, una furia di piova in Val... Non veniva però avanti: la rabbia del vento e delle onde diminuiva rapidamente. “
Pag. 165 : il dionisismo sentimentale ( o anche il sentimento religioso tra Moloch e De Sade espresso in Salammbo ), la divinità che adora Marina è un dio “ benefico e terribile come il sole “. L’amore è “… amore fatale che l’avrebbe esaltata tutta, anima e sensi, oltre alla torbida natura umana. “
Marina – Salomé ama d’un amore negativo, ossessivamente protesa alla distruzione dell’amato, del nemico. Amore – odio, che sfocia nella follia o nell’atto folle : il bacio della testa decapitata di Giovanni il Battista.
Fogazzaro è un grande paesaggista, la descrizione dell’Orrido è mirabile. E’ suggestiva la lettura di questa descrizione dopo aver ascoltato ( quando ancora le note echeggiano nella memoria ) il Baccanale del Tannhauser di Richard Wagner ( ultima parte ).
Pag. 214, mirabile descrizione dell’Orrido :
“ Presto si giunge a un gomito del fiume. Non più sole, non più verde, non più riso d’acque: immani fauci di pietra vi si spalancano in viso e vi fermano con il ruggito sordo che n’esce, con il freddo alito umido che annera là in fondo la gola mostruosa. Il ruggito vien su dalle viscere profonde; l’acqua passa per la bocca degli scogli, grossa, cupa, ma silenziosa. Una sdrucita barchetta è lì incatenata a un anello infisso nella rupe. Porta due persone oltre il barcaiuolo. Si risale la corrente con quella barchetta che pare non voler saperne, torce il muso ora a destra ora a sinistra e scapperebbe indietro senza la pertica di Caronte. Il fragore cresce; la luce manca. Si passa tra due rupi nere, qua rigonfie come strane vegetazioni, gemme enormi della pietra, là cave e stillanti come coppe capovolte; tutte rigate ad intervalli eguali, scolpite a gengive su gengive dal fondo alla cima. In alto, il cielo si restringe via via tra scoglio e scoglio, e scompare. La barchetta salta in una fessura buia, piena d’urla, si dibatte, urta a destra, urta a sinistra, folle di spavento, sotto gli archi echeggianti della pietra che, morsa nelle viscere dal flutto veloce, si slancia in alto, si contorce. Dal sottilissimo strappo che fende il manto boscoso di quelle rupi filtra nelle tenebre un verdognolo albore, un lividore spettrale che macchia cadendo le sporgenze della roccia, vien meno di sasso in sasso e si perde prima di toccar l’acqua verde cupa; si direbbe un raggio di luce velata di nuvole, sull’alba.
Da quell’andito si entra nella—sala del trono—rotondo tempio infernale con un macigno nel mezzo, un deforme ambone per la messa nera, ritto fra due fascie enormi di spuma che gli cingono i fianchi e gli spandono davanti in una gora larga, tutta bollimenti e spume vagabonde, levando il fracasso di due treni senza fine che divorino a paro una galleria. È da quel masso che viene alla caverna il nome di—sala del trono —. Si pensa ad un re delle ombre, meditabondo su quel trono, fisi gli sguardi nelle acque profonde, piene di gemiti e di guai, piene di spiriti dolenti. Per una spaccatura dietro al trono sprizza nella caverna un getto di luce chiara. “
Pag. 225 : accenno a una sorta di animismo cosmico ( occultismo, metempsicosi, filosofia indiana, misticismo cristiano ).
Pag. 242 – 243, la bellezza di Marina ( estetismo alla Gautier ). Presenza dell’elemento gotico, il vampiro ( la figura maschile, ebbra di desiderio, che avanza inesorabile nella notte ) :
“ Ella aveva chiuso la lettera nello scannello ed era venuta a deporre l’accappatoio sulla sua bassa poltroncina di toeletta, di fronte allo specchio. Vi cadde a sedere, si guardò per istinto nello specchio illuminato da due candele che gli ardevano a lato sui loro bracci dorati. Si contemplò in quella tersa trasparenza sotto l’alto lume delle candele che le batteva sui capelli, sulle spalle, sul seno, e pareva rivelare una voluttuosa ondina sospesa in acque pure e profonde. Sotto i capelli lucenti il viso velato di ombra trasparente pendeva avanti, sorretto al mento da una squisita mano chiusa, più bianca del braccio rotondo che si disegnava appena sul candore dorato del seno, sulla spuma sottile di trine che cingeva le carni ignude. Le spalle non somigliavano punto a quelle opulente della gentildonna del Palma. Non vi appariva però alcun segno di magrezza, e avevano nella loro grazia delicata, nel contorno alcun poco cadente, una espressione di alterezza e d’intelligenza, quali splendevano nei grandi occhi azzurri chiari, nel viso leggermente chinato al seno. E mai, mai, labbro di amante vi si era posato! Allora Marina, palpitando, lo immaginò. Immaginò che qualcuno, il cui viso ell’aveva veduto l’ultima volta al chiarore dei lampi, venisse da lontano, per la notte oscura e calda, ebbro di speranza e delle voci amorose della terra; che avanzasse sempre, sempre, senza posa; che varcasse, più muto d’un’ombra, le porte obbedienti del Palazzo, ascendesse brancolando le scale, spingesse l’uscio... “
Pag. 267 : schizofrenia del personaggio decadente ( dottor Jekyll e Mr. Hyde ), a proposito di Corrado Silla : “ … in lui l’antagonismo dello spirito e dei sensi era così violento che il prevalere di una parte opprimeva l’altra. “
Il carattere di Silla è già stato tracciato a pag. 131 : “ … ma deriso, continuamente, amaramente deriso, da qualcheduno fuori del mondo che si diverte a vederlo soffrire e lottare, … Mi si diede un cuore ardente e non la potenza né l’arte di farmi amare, uno spirito avido di gloria e non la potenza né l’arte di conquistarla. … sono inetto a vivere … “
Pag. 284 – 285 : l’ambiente riflette lo stato d’animo del personaggio. Nel trapasso dalla delusione dell’amore per Edith all’illusione d’un amore esaudito in Marina, l’animo di Silla viene come riflesso dall’interno del duomo, e l’eco del suo sentimento risuona tra le navate. Vi è una perfetta simbiosi tra la psiche dei personaggi e l’ambiente circostante.
Pag. 303 : spiritismo, una voce interiore sembra comunicare a Silla il mistero che si cela nell’animo di Marina ( telepatia, veggenza ? )
Giudizio sullo stile. A tal proposito vedi ( anche se può apparire anacronistico ) quanto afferma l’autore del Sublime :
“… πότερόν ποτε κρεῖττον ἐν ποιήμασι καὶ λόγοις, μέγεθος ἐν ἐνίοις διημαρτημένοις, ἢ τὸ σύμμετρον μὲν ἐν τοῖς κατορθώμασιν, ὑγιὲς δὲ πάντη καὶ ἀδιάπτωτον; καὶ ἔτι νὴ Δία, πότερόν ποτε αἱ πλείους ἀρεταὶ τὸ πρωτεῖον ἐν λόγοις ἢ αἱ μείζους δικαίως ἂν φέροιντο ; … “
“ … se mai sia meglio in poesia e in prosa una grandezza con qualche errore o una riuscita modesta, ma perfettamente sana e senza cadute ? e ancora, per Zeus, se mai in letteratura sia giusto che abbiano il primo posto le virtù più numerose o le più grandi ? “
Pag. 354 : Marina donna – vampiro : “ Non comprendi che sono stata, che l’anima mia è stata nella tomba tanto e tanto, non so quanto, prima di sciogliersi da quell’altra cosa orribile ? “ Ella è, o meglio crede di essere, la reincarnazione d’una morta.
Pag. 408 : descrizione dell’allestimento per la cena, fatta preparare da Marina. Gusto per il particolare tipicamente parnassiano ( vedi Gautier ).
Pag. 423 : rivelazione da parte dell’autore d’una religiosità di carattere mistico, neoplatonico ( “ Indefinita via delle anime che salgono eternamente di vita in vita, di splendore in splendore … “ ).
N.B. : il romanzo termina con l’immagine della luna, il cui volto “ col suo sorriso voluttuoso “ cerca tra le mura del palazzo solitario altre anime da illudere, altre vite da ingannare. “
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