Thomas Mann I Buddenbrook Milano, A. Barion, 1930
( Trad. di A. Lami )
“ La decadenza di una famiglia “ è la storia dei Buddenbrook, famiglia di ricchi borghesi di Lubecca con aspirazioni nobiliari. Tommaso Buddenbrook da console della repubblica diviene infatti senatore. Per l’impostazione d’ambiente e psicologica risente molto dell’insegnamento di Theodor Storm ( vedi Novelle di Th. Storm ) in particolare per il tono disincantato e malinconico. Personaggi decadenti in particolare sono Cristiano e Hanno Buddenbrook.
Pag. 108 : considerazioni sulla musica ( eseguita dal piccolo Hanno ) che risentono della concezione filosofica di A. Schopenhauer ( “ l’estrema tensione della volontà, la soddisfazione e la liberazione della quale era ancora negata, perché egli ben sapeva che la felicità non dura che un istante … “ ). Bellissimo l’episodio del giorno di scuola di Hanno, la presentazione dei suoi professori al Liceo, la vita in classe. E’ proprio vero che le cose si ripetono ! L’ultima sinfonia di Hanno e la sua morte sono un poema psicologico ( parte undecima, cap. II ).
Ecco la morte del vecchio console Buddenbrook :
XI
Ciò che segue accadde nella tarda estate del '55, una domenica pomeriggio. I Buddenbrook erano nella stanza dei paesaggi e aspettavano il console che, al piano di sotto, stava ancora vestendosi. Per quel giorno festivo si era combinata una gita con la famiglia Kistenmaker, una passeggiata fino ad un caffè fuori porta. Tranne Clara e Klothilde, che ogni domenica sera andavano in casa di un'amica a sferruzzare calze per i piccoli negri, tutti si ripromettevano di prendere il caffè laggiù e, se il tempo fosse stato buono, di fare magari una gita in barca sul fiume...
«Con papà è una cosa spaventosa,» disse Tony, scegliendo parole forti com'era sua abitudine. «Può mai esser pronto all'ora giusta? Se ne sta alla scrivania e non si muove... se ne sta lì... questo o quello deve essere finito... santo cielo, forse sarà davvero necessario, non voglio dire... ma non credo che faremmo fallimento se deponesse la penna un quarto d'ora prima. Bene... quando è già in ritardo di dieci minuti, si ricorda dell'appuntamento e corre su per le scale, fa sempre due gradini per volta, anche se sa che così arriva di sopra con la congestione e il batticuore... È sempre così tutte le volte che usciamo! Non può prenderseli con comodo? Non può muoversi in tempo e camminare tranquillamente? È pericoloso. Se fosse mio marito gli parlerei una volta sul serio, mamma...»
Vestita di seta cangiante, come voleva la moda, sedeva sul sofà di fianco a sua madre, che indossava un abito più severo di seta grigia, a righe, guarnito di pizzi neri. I lembi della cuffia di pizzo e tulle rigido, uniti sotto il mento con un nastro di raso, le ricadevano sul petto. I capelli lisci erano immutabilmente biondo-rossi. Fra le mani bianche e delicatamente venate d'azzurro teneva una borsetta pompadour. Accanto a lei, in poltrona, sedeva Tom e fumava una sigaretta, mentre Clara e Thilda sedevano vicino alla finestra, l'una di fronte all'altra. Era incomprensibile come facesse la povera Klothilde a mangiare ogni giorno cibi buoni e sostanziosi senza alcun profitto. Diventava sempre più magra, e il suo abito nero, tagliato nel modo più semplice, non poteva certo abbellirla. Nel suo lungo viso quieto, grigio sotto i capelli lisci color cenere, c'era un naso dritto e poroso che ingrossava in punta...
«Credete che non pioverà?» disse Clara. Aveva l'abitudine di non alzare mai la voce quando poneva una domanda; e guardava ciascuno in faccia con occhi decisi e piuttosto severi. Il suo abito marrone non aveva altro ornamento che un collettino bianco inamidato e i polsini uguali. Sedeva diritta, con le mani in grembo. La servitù la temeva più di tutti; erano affidate a lei le devozioni mattutine e serali, perché il console non poteva più leggere ad alta voce senza che gli venisse mal di testa.
«Prendi la mantellina per stasera, Tony?» domandò ancora Clara. «Pioverà. Peccato per la mantellina nuova. Credo che sarebbe meglio se rinunciaste alla passeggiata...»
«No,» rispose Tom; «vengono i Kistenmaker. Non è nulla... il barometro è sceso troppo all'improvviso... ci sarà un piccolo acquazzone, un rovescio... una cosa breve. Tanto, papà non è ancora pronto. Potremo aspettare tranquillamente che sia passata.»
La moglie del console sollevò una mano come per difendersi. «Credi che ci sarà un temporale, Tom? Oh, lo sai che mi fa paura.»
«No,» disse Tom. «Questa mattina al porto ho parlato con il capitano Kloot. Quello è infallibile. Ci sarà solo un po' di acquazzone... senza vento forte.»
Quella seconda settimana di settembre aveva portato una tardiva canicola. Col vento di sud-sudest, l'estate pesava sulla città peggio che in luglio. Uno strano cielo azzurro cupo aveva brillato sui frontoni, scialbo all'orizzonte, come nei deserti; e dopo il tramonto, nelle strade strette, le case e i marciapiedi avevano emanato un calore cupo, come stufe. Quel giorno il vento s'era voltato, da ponente, e il barometro era calato d'improvviso... Gran parte del cielo era ancora azzurra, ma vi si ammassava lentamente una folla di nuvole grigio azzurre, spesse e morbide come cuscini.
Tom soggiunse: «Io trovo, del resto, che se piovesse sarebbe un'ottima cosa. C'è da soffocare, se dobbiamo andare a passeggio con quest'aria. È un caldo innaturale. Non l'ho mai provato neanche a Pau...»
In quel momento entrò Ida Jungmann, con la piccola Erika per mano. La bimba venne avanti nel suo abitino di cotone inamidato di fresco, spandendo un profumo di amido e di sapone, ed era molto buffa. Aveva la carnagione rosea e gli occhi del signor Grünlich; ma il labbro superiore era quello di Tony.
La buona Ida era già tutta grigia, quasi bianca, benché avesse passato appena la quarantina. Ma era una cosa della sua famiglia; anche lo zio, quello morto di singhiozzo, aveva già a trent'anni tutti i capelli bianchi; gli occhi piccoli e marroni di Ida erano fedeli, vivaci e attenti. Stava con i Buddenbrook ormai da vent'anni e sentiva con orgoglio quanto fosse indispensabile. Sorvegliava la cucina, la dispensa, la biancheria e le porcellane, faceva le compere più importanti, leggeva alla piccola Erika, le cuciva i vestiti per le bambole, lavorava con lei, e a mezzogiorno, armata di un pacchetto di panini imbottiti, l'andava a prendere a scuola per portarla a passeggio sul Mühlenwall. Tutte le signore dicevano alla moglie del console o a sua figlia: «Che ragazza ha lei, cara! Vale tant'oro quanto pesa, glielo dico io! Vent'anni!... e a sessanta e più in là sarà ancora in gamba! È gente robusta... e poi quegli occhi fedeli! La invidio proprio, - cara!» Ma Ida Jungmann si teneva su. Sapeva chi era, e se sul Mühlenwall una qualsiasi domestica veniva a sedersi col bambino sulla sua stessa panchina e cercava di attaccar discorso, la signorina Jungmann diceva: «Erika, tesoro, qui c'è corrente,» e se ne andava.
Tony trasse a sé la figlioletta e la baciò sulle guancine rosee, poi la nonna le tese il palmo della mano con un sorriso un po' distratto... poiché stava osservando ansiosa il cielo che diveniva sempre più buio. Con la sinistra tamburellava nervosa sul cuscino del sofà, e i suoi occhi chiari si volgevano inquieti alla finestra.
Erika ebbe il permesso di sedere di fianco alla nonna, e Ida si pose su una seggiola, senza sfiorare lo schienale, e continuò a lavorare all'uncinetto. Così rimasero tutti, in silenzio, aspettando il console. L'aria era cupa. Di fuori, l'ultimo pezzo di azzurro era sparito e il cielo grigio pesava basso, scuro e gravido di pioggia. I colori della stanza, le tinte dei paesaggi sugli arazzi, il giallo dei mobili e delle tende erano spenti, non v'era più gioco cangiante di seta sull'abito di Tony e gli occhi delle persone erano senza splendore. E il vento, il vento di ponente che fino a un attimo prima aveva giocato tra gli alberi intorno alla chiesa di Santa Maria e sollevato la polvere in piccoli vortici per la strada buia, era caduto. Ci fu un istante di assoluto silenzio.
Allora, improvviso, giunse il momento... accadde qualcosa di muto, spaventoso. L'afa sembrò raddoppiata, l'atmosfera sembrò gravare con una pesantezza che, rapidamente crescente nello spazio di un secondo, angosciava il cervello, premeva sul cuore, toglieva il respiro... giù in strada una rondine volò così bassa che le ali toccarono il selciato... E quella pesantezza inesplicabile, quella tensione, quell'oppressione crescente dell'organismo sarebbe divenuta insopportabile se fosse durata ancora una frazione di secondo, se, raggiunto il culmine, la tensione non si fosse sciolta d'improvviso, se non fosse accaduto un subitaneo passaggio... una minuscola rottura liberatrice che in qualche luogo si compì, inudibile, e che tuttavia si credette di udire... se in quello stesso momento, senza quasi che alcuna goccia lo preannunziasse, non fosse scrosciata giù d'improvviso la pioggia, così che l'acqua spumeggiò nei rigagnoli e schizzò alta sui marciapiedi...
Thomas, che la malattia aveva abituato a cogliere attento i messaggi dei suoi nervi, in quello strano secondo s'era chinato, aveva portato la mano verso il capo e gettato via la sigaretta. Si guardò in giro: se mai anche gli altri avessero sentito e còlto. Gli parve di notare qualcosa in sua madre; gli altri non sembravano essersi accorti di nulla. Ora la moglie del console guardava la pioggia che cadeva fitta, velando completamente la chiesa di Santa Maria, e mormorò: «Dio sia ringraziato.»
«Ecco,» disse Tom. «In due minuti rinfrescherà. Non si potrà star fuori, adesso, gli alberi saranno tutti gocciolanti; prenderemo il caffè nella veranda. Thilda, per piacere, apri la finestra.»
Il rumore della pioggia entrò più forte. Era un vero fragore. Tutto scrosciava, frusciava, grondava e spumeggiava. Il vento s'era di nuovo levato e investiva allegro il fitto velo d'acqua, lacerandolo e scagliandolo intorno La frescura aumentava.
In quella arrivò di corsa dal vestibolo a colonne Line, Line la cameriera, e irruppe nella sala così a precipizio che Ida Jungmann esclamò piena di rimprovero e preoccupata della quiete turbata: «Ma dico!...»
Gli occhi azzurri e inespressivi di Line erano sgranati; mosse per un momento le labbra senza riuscire a parlare...
«Oh, signora, venga, venga subito per carità... o Dio, che spavento...!»
«Ma bene,» disse Tony, «ha di nuovo rotto qualcosa! Certo della porcellana più fine! No, mamma, il tuo personale di servizio...!»
Ma la ragazza proruppe atterrita: «Oh no, Madame Grünlich... fosse solo questo... è il signore, e io volevo portargli gli stivali, e il signor console è sulla poltrona e non può parlare e soffia soltanto, e credo che non stia bene, perché il signor console è tutto giallo...»
«Da Grabow!» esclamò Thomas e la spinse fuori.
«Dio mio! O Dio mio!» gridò la moglie del console, prendendosi il viso fra le mani e correndo via...
«Da Grabow... con una carrozza... subito!» ripeté Tony senza fiato. Si precipitarono giù per le scale, attraverso la saletta della colazione, nella camera da letto.
Ma Johann Buddenbrook era già morto.
Theodor Storm Novelle Milano, BUR, 2005
“Una confessione “ pag. 407 : interessante introduzione del tema dello spiritismo e dell’orrido ( vedi il riferimento al pittore svizzero Fussli ). Vedi anche “ Il cavaliere del cavallo bianco “; la scena finale della morte del protagonista, travolto dalla marea che ha distrutto la diga, assomiglia al racconto di Poe “ Metzengerstein “, salvo che qui si tratta di una morte eroica e di un eroe “ buono “.
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