Il piacere umano (così
probabilmente quello di ogni essere vivente, in quell’ordine di cose che noi
conosciamo) si può dire ch’è sempre futuro, non è se non futuro, consiste
solamente nel futuro. L’atto proprio del piacere non si dà. Io spero un
piacere; e questa speranza in moltissimi casi si chiama piacere. Io ho provato
un piacere, ho avuto una buona ventura: questo non è piacevole se non perchè ci
dà una buona idea del futuro; ci fa sperare qualche godimento più o meno
grande; ci apre un nuovo campo di speranze; ci persuade di poter godere; ci fa
conoscere la possibilità di arrivare a certi desideri; ci mette [533]in
migliori circostanze pel
futuro, sia riguardo al fatto e alla realtà, sia riguardo all’opinione e
persuasione nostra, ai successi, alle prosperità che ci promettiamo dietro
quella prova, quel saggio fattone. ec. Io provo un piacere: come? ciascuno
individuale istante dell’atto del piacere, è relativo agl’istanti successivi; e
non è piacevole se non relativamente agl’istanti che seguono, vale a dire al
futuro. In questo istante il piacere ch’io provo, non mi soddisfa, e siccome
non appaga il mio desiderio, così non è ancora piacere, ma ecco che senza fallo
io lo proverò immediatamente; ecco che il piacere crescerà, ed io sarò
intieramente soddisfatto. Andiamo più avanti: ancora non provo vero piacere, ma
ora (chi ne dubita?) sono per provarlo. Questo è il discorso, il cammino,
l’occupazione, l’operazione, e la sensazione dell’animo nell’atto di qualunque
siasi piacere. Giunto l’ultimo istante, e terminato l’atto del piacere, l’uomo
non ha provato ancora il piacere: resta dunque o scontento: o soddisfatto
comunque per una opinione debole, falsa, e poco, anzi niente persuasiva, [534]di
averlo provato; e va ruminando, e compiacendosi di quello che ha sentito, e
provando così un altro piacere, il di cui oggetto è bensì passato, ma non il
piacere (perchè come può esser passato quello che non è mai stato, e che è
sempre futuro?) e l’atto di questo nuovo piacere è composto di una successione
d’istanti della stessa natura che l’altro atto; e quindi parimente futuro: o
finalmente resta con una certa letizia e si rallegra, perchè quantunque non
possa il suo piacere riferirsi più agl’istanti successivi di quell’atto, ch’è
già finito, si riferisce ad altri atti; l’idea del così detto piacere provato,
gli dà un’idea di quelli ch’egli crede di poter provare; concepisce una
migliore idea del futuro, una speranza, un disegno, una risoluzione o di
proccurarsi altri piaceri, o qualunque ella sia. Così prova un piacere, ma
sempre ed ugualmente futuro. Così p.e. se tu sei stato lodato, o ti sei trovato
in una occasione di brillare, di gloria, ec. L’atto di quel piacere è stato
quale l’ho descritto: ma finito l’atto, lo vai ruminando a parte a parte, e
torna un altro atto di piacere composto alla stessa guisa, e fondato o sul
semplice gusto della [535]ricordanza,
o sulla relazione che quel preteso piacere ha col futuro, con quei piaceri o
beni che tu (come credi) puoi dunque o devi provare, coll’idea che ti dà della
futura vita, coi disegni, coll’idea di te stesso, delle tue forze ec. colle
speranze o reali, o rispetto all’opinione e immaginazione tua; insomma tutto
futuro, tanto riguardo all’atto del nuovo piacere presente, quanto agli oggetti
di esso piacere. Così il piacere non è mai nè passato nè presente, ma sempre e
solamente futuro. E la ragione è, che non può esserci piacer vero per un essere
vivente, se non è infinito; (e infinito in ciascuno istante, cioè attualmente)
e infinito non può mai essere, benchè confusamente ciascuno creda che può essere,
e sarà, o che anche non essendo infinito, sarà piacere: e questa credenza
(naturalissima, essenziale ai viventi, e voluta dalla natura) è quello che si
chiama piacere; è tutto il piacer possibile. Quindi il piacer possibile non è
altro che futuro, o relativo al futuro, e non consiste che nel futuro. (20.
Gen. 1821.). V. p.612. capoverso 1.
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