Luigi
Pirandello Novelle per un anno 1922
Cos'è
la vita, cos'è la morte ?
Solo
un genitore può veramente capirlo o comunque una persona che
percepisca con chiarezza e senza illusioni la brevità
dell'esistenza.
Quando
si comprende
I
passeggeri arrivati da Roma col treno notturno alla stazione di
Fabriano dovettero aspettar l’alba per proseguire in un lento
trenino sgangherato il loro viaggio su per le Marche.
All’alba,
in una lercia vettura di seconda classe, nella quale avevano già
preso posto cinque viaggiatori, fu portata quasi di peso una signora
così abbandonata nel cordoglio che non si reggeva più in piedi.
Lo
squallor crudo della prima luce, nell’angustia opprimente di quella
sudicia vettura intanfata di fumo, fece apparire come un incubo ai
cinque viaggiatori che avevano passato insonne la notte, tutto quel
viluppo di panni, goffo e pietoso, issato con sbuffi e gemiti su
dalla banchina e poi su dal montatojo.
Gli
sbuffi e i gemiti che accompagnavano e quasi sostenevano, da dietro,
lo stento, erano del marito, che alla fine spuntò, gracile e
sparuto, pallido come un morto, ma con gli occhietti vivi vivi,
aguzzi nel pallore.
L’afflizione
di veder la moglie in quello stato non gl’impediva tuttavia di
mostrarsi, pur nel grave imbarazzo, cerimonioso; ma lo sforzo fatto
lo aveva anche, evidentemente, un po’ stizzito, forse per timore di
non aver dato prova davanti a quei cinque viaggiatori di bastante
forza a sorreggere e introdurre nella vettura il pesante fardello di
quella moglie.
Preso
posto, però, dopo aver porto scusa e ringraziamenti ai compagni di
viaggio che si erano scostati per far subito posto alla signora
sofferente, poté mostrarsi cerimonioso e premuroso anche con lei e
le rassettò le vesti addosso e il bavero della mantiglia che le era
salito sul naso.
– Stai
bene, cara?
La
moglie, non solo non gli rispose, ma con ira si tirò su di nuovo la
mantiglia – più su, fino a nascondersi tutta la faccia. Egli
allora sorrise afflitto; poi sospirò:
– Eh...
mondo!
E volle
spiegare ai compagni di viaggio che la moglie era da compatire perché
si trovava in quello stato per l’improvvisa e imminente partenza
dell’unico figliuolo per la guerra. Disse che da vent’anni non
vivevano più che per quell’unico figliuolo. Per non lasciarlo
solo, l’anno avanti, dovendo egli intraprendere gli studii
universitari, s’erano trasferiti da Sulmona a Roma. Scoppiata la
guerra, il figliuolo, chiamato sotto le armi, s’era iscritto al
corso accelerato degli allievi ufficiali; dopo tre mesi, nominato
sottotenente di fanteria e assegnato al 12° reggimento, brigata
Casale, era andato a raggiungere il deposito a Macerata, assicurando
loro che sarebbe rimasto colà almeno un mese e mezzo per
l’istruzione delle reclute; ma ecco che, invece, dopo tre soli
giorni lo mandavano al fronte. Avevano ricevuto a Roma il giorno
avanti un telegramma che annunziava questa partenza a tradimento. E
si recavano a salutarlo, a vederlo partire.
La
moglie sotto la mantiglia s’agitò, si restrinse, si contorse,
rugliò anche più volte come una belva, esasperata da quella lunga
spiegazione del marito, il quale, non comprendendo che nessun
compatimento speciale poteva venir loro per un caso che capitava a
tanti, forse a tutti, avrebbe anzi suscitato irritazione e sdegno in
quei cinque viaggiatori che non si mostravano abbattuti e vinti come
lei nel cordoglio, pur avendo anch’essi probabilmente uno o più
figliuoli alla guerra. Ma forse il marito parlava apposta e dava quei
ragguagli del figlio unico e della partenza improvvisa dopo tre soli
giorni, ecc., perché gli altri ripetessero a lei con dura freddezza
tutte quelle parole ch’egli andava dicendo da alcuni mesi, cioè da
quando il figliuolo era sotto le armi; e non tanto per confortarla e
confortarsi, quanto per persuaderla dispettosamente a una
rassegnazione per lei impossibile.
Difatti
quelli accolsero freddamente la spiegazione. Uno disse:
– Ma
ringrazii Dio, caro signore, che parta soltanto adesso il suo
figliuolo! Il mio è già su dal primo giorno della guerra. Ed è
stato ferito, sa? già due volte. Per fortuna, una volta al braccio,
una volta alla gamba, leggermente. Un mese di licenza, e via di nuovo
al fronte.
Un altro
disse:
– Ce
n’ho due, io. E tre nipoti.
– Eh,
ma un figlio unico... – si provò a far considerare il marito.
– Non
è vero, non lo dica! – lo interruppe quello sgarbatamente. –
S’avvizia un figlio unico; non si ama mica di più! Un pezzo di
pane, quando s’hanno più figliuoli, tanto a ciascuno, va bene; ma
non l’amore paterno; a ciascun figliuolo un padre dà tutto quello
di cui è capace. E s’io peno adesso, non peno metà per l’uno,
metà per l’altro; peno per due.
– È
vero, sì, quest’è vero, – ammise con un sorriso timido, pietoso
e impacciato, il marito. – Ma guardi... (siamo a discorso, adesso,
e facciamo tutti gli scongiuri) ma ponga il caso... non il suo, per
carità, egregio signore... il caso d’un padre ch’abbia più
figliuoli alla guerra: ne perde (non sia mai!) uno, gli resta l’altro
almeno!
– Già,
sì; e l’obbligo di vivere per quest’altro, – affermò subito,
accigliato, quello. – Il che vuol dire che se a lei... non diciamo
a lei, a un padre che abbia un solo figliuolo, capita il caso che
questo gli muoja, se della vita lui non sa più che farsene, morto il
figliuolo, se la può togliere, e addio; mentr’io, capisce? bisogna
che me la tenga io, la vita, per l’altro che mi resta; e il caso
peggiore dunque è sempre il mio!
– Ma
che discorsi! – scattò a questo punto un altro viaggiatore, grasso
e sanguigno, guardando in giro coi grossi occhi chiari acquosi e
venati di sangue.
Ansimava,
e pareva gli dovessero schizzar fuori, quegli occhi, dalla interna
violenza affannosa d’una vitalità esuberante, che il corpaccio
disfatto non riusciva più a contenere. Si pose una manona sformata
davanti la bocca, come assalito improvvisamente dal pensiero dei due
denti che gli mancavano; ma poi, tanto non ci pensò più e seguitò
a dire, sdegnato:
– O
che i figliuoli li facciamo per noi?
Gli
altri si sporsero a guardarlo, costernati. Il primo, quello che aveva
il figlio al fronte fin dal primo giorno della guerra, sospirò:
– Eh,
per la patria, già...
– Eh,
– rifece il viaggiatore grasso, – caro signore, se lei dice così,
per la patria, può parere una smorfia!
Figlio
mio, t’ho partorito
per
la patria e non per me...
Storie!
Quando? Ci pensa lei alla patria, quando le nasce un figliuolo? Roba
da ridere! I figliuoli vengono, non perché lei li voglia, ma perché
debbono venire; e si pigliano la vita; non solo la loro, ma anche la
nostra si pigliano. Questa è la verità. E siamo noi per loro; mica
loro per noi. E quand’hanno vent’anni... ma pensi un po’, sono
tali e quali eravamo io e lei quand’avevamo vent’anni. C’era
nostra madre; c’era nostro padre; ma c’erano anche tant’altre
cose, i vizii, la ragazza, le cravatte nuove, le illusioni, le
sigarette, e anche la patria, già, a vent’anni, quando non avevamo
figliuoli; la patria che, se ci avesse chiamati, dica un po’, non
sarebbe stata per noi sopra a nostro padre, sopra a nostra madre? Ne
abbiamo cinquanta, sessanta, ora, caro lei: e c’è pure la patria,
sì; ma dentro di noi, per forza, c’è anche più forte l’affetto
per i nostri figliuoli. Chi di noi, potendo, non andrebbe, non
vorrebbe andare a combattere invece del proprio figliuolo? Ma tutti!
E non vogliamo considerare adesso il sentimento dei nostri figliuoli
a vent’anni? dei nostri figliuoli che per forza, venuto il momento,
debbono sentire per la patria un affetto più grande che per noi?
Parlo, s’intende, dei buoni figliuoli, e dico per forza, perché
davanti alla patria, per essi, diventiamo figliuoli anche noi,
figliuoli vecchi che non possono più muoversi e debbono restarsene a
casa. Se la patria c’è, se è una necessità naturale la patria,
come il pane che ciascuno per forza deve mangiare se non vuol morir
di fame, bisogna che qualcuno vada a difenderla, venuto il momento. E
vanno essi, a vent’anni, vanno perché debbono andare e non
vogliono lagrime. Non ne vogliono perché, anche se muojono, muojono
infiammati e contenti. (Parlo sempre, s’intende, dei buoni
figliuoli!) Ora, quando si muore contenti, senz’aver veduto tutte
le brutture, le noje, le miserie di questa vitaccia che avanza, le
amarezze delle disillusioni, o che vogliamo di più? Bisogna non
piangere, ridere... o come piango io, sissignori, contento, perché
mio figlio m’ha mandato a dire che la sua vita – la sua,
capite? quella che noi dobbiamo vedere in loro, e non la nostra
– la sua vita lui se l’era spesa come meglio non avrebbe potuto,
e che è morto contento, e che io non stessi a vestirmi di nero, come
difatti lor signori vedono che non mi sono vestito.
Scosse,
così dicendo, la giacca chiara, per mostrarla; le labbra livide sui
denti mancanti gli tremavano; gli occhi, quasi liquefatti, gli
sgocciolavano; e terminò con due scatti di riso che potevano anche
esser singhiozzi.
– Ecco...
ecco.
Da tre
mesi quella madre, lì nascosta sotto la mantiglia, cercava in tutto
ciò che il marito e gli altri le dicevano per confortarla e indurla
a rassegnarsi, una parola, una parola sola che, nella sordità del
suo cupo dolore, le destasse un’eco, le facesse intendere come
possibile per una madre la rassegnazione a mandare il figlio, non già
alla morte, ma solo a un probabile rischio di vita. Non ne aveva
trovata una, mai, tra le tante e tante che le erano state dette.
Aveva ritenuto perciò che gli altri parlavano, potevano parlare a
lei così, di rassegnazione e di conforto, solo perché non sentivano
ciò che sentiva lei.
Le
parole di questo viaggiatore, adesso, la stordirono, la sbalordirono.
Tutt’a un tratto comprese che non già gli altri non sentivano ciò
che ella sentiva; ma lei, al contrario, non riusciva a sentire
qualcosa che tutti gli altri sentivano e per cui potevano
rassegnarsi, non solo alla partenza, ma ecco, anche alla morte del
proprio figliuolo.
Levò il
capo, si tirò su dall’angolo della vettura ad ascoltare le
risposte che quel viaggiatore dava alle interrogazioni dei compagni
sul quando, sul come gli fosse morto quel figliuolo, e trasecolò, le
parve d’esser piombata in un mondo ch’ella non conosceva, in cui
s’affacciava ora per la prima volta, sentendo che tutti gli altri
non solo capivano, ma ammiravano anzi quel vecchio e si
congratulavano con lui che poteva parlare così della morte del
figliuolo.
Se non
che, all’improvviso, vide dipingersi sul volto di quei cinque
viaggiatori lo stesso sbalordimento che doveva esser sul suo,
allorquando, proprio senza che ella lo volesse, come se veramente non
avesse ancora inteso né compreso nulla, saltò su a domandare a quel
vecchio:
– Ma
dunque... dunque il suo figliuolo è morto?
Il
vecchio si voltò a guardarla con quegli occhi atroci, smisuratamente
sbarrati. La guardò, la guardò e tutt’a un tratto, a sua volta,
come se soltanto adesso, a quella domanda incongruente, a quella
meraviglia fuor di posto, comprendesse che alla fine, in quel punto,
il suo figliuolo era veramente morto per lui, s’arruffò, si
contraffece, trasse a precipizio il fazzoletto dalla tasca e, tra lo
stupore e la commozione di tutti, scoppiò in acuti, strazianti,
irrefrenabili singhiozzi.
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