G.
D'Annunzio, La Gloria (1899), in Tragedie, sogni e misteri,
Milano, Meridiani Mondadori, 2013
La
tragedia è ambientata a Roma, ma si tratta di una città immaginaria
che richiama la Roma imperiale o Costantinopoli, quindi il motivo già
rilevato da Mario Praz (1) della città mostruosa e decadente ( come
Cartagine nella Salammbô di Flaubert ). Nelle prime scene già
sentiamo alitare la fama della donna fatale, Elena Comnèna, il cui
cognome indica l'erede dell'antica dinastia bizantina dei sovrani di
Trebisonda. Ma la vicenda sembra fuori della storia, circondata da un
alone di leggenda.
Atto
I, scena III (p. 349-356). Continui richiami alla filosofia
superomistica di Nietzsche e al mito napoleonico. Secondo i Mèmoires
di Laure Junot, marchesa di Abrantes, Napoleone sarebbe stato
imparentato con la dinastia imperiale dei Comnèni ( vedi nota a p.
1164 ).
Atto
I, scena V, entra la Comnèna. Ecco la donna fatale in tutta la
potenza del suo fascino, ella incarna la Gloria ! E' una ripresa
della figura già delineata nel personaggio della Dogaressa Gradeniga
nel Sogno d'un tramonto d'autunno (1898), opera che rievoca le
tragedie senecane, caratterizzata da un'enfasi asiana e che risente
senza dubbio dell'influsso di Swinburne. Altro influsso certo è il
mito bizantino che vede in Teodora, sposa di Giustiniano, la femme
fatale perversa e crudele, dedita a pratiche di stregoneria e ai
veleni. La fonte di questo mito di Bisanzio, splendidamente
analizzato da Mario Praz, è Procopio di Cesarea con le sue Storie
segrete, ma il mito aveva avuto la sua divulgazione con Irène
et les Eunuques di Paul Adam e con Teodora di I.
Fiorentino, opere contemporanee a D'Annunzio e da lui conosciute.
P.
384, l'apparizione della madre di Elena, Anna Comnèna, richiama il
mito, rievocato da Flaubert, di Salomé ed Erodiade. A p. 385,
infatti, Cesare Bronte si rivolge ad Elena come alla donna fatale
simbolo di lussuria e di perfidia, vera e propria Lilith o Salomé,
che è ormai un tòpos culturale, basti pensare all'Apparition
di Gustave Moreau.
P.
396, atto III. Si delinea più chiaramente la prospettiva storica. Si
tratta certamente di un'epoca immaginaria ma vi sono riferimenti alla
situazione politica e ideologica attuale. Gli “Inviati delle
Federazioni rurali” sembrano alludere ai movimenti rivoluzionari
anarchici contemporanei. Tutta la trama politica del dramma
rispecchia la situazione storica del 1898, però sembra anticipare
gli avvenimenti e i protagonisti della prima metà del XX secolo.
Atto
III, p. 407. Tra i misfatti della Comnèna si riconoscono alcuni
attribuiti da Procopio a Teodora o, meglio, al suo protetto Pietro
Barsime, cioè il commercio fraudolento di grano marcio. D'Annunzio
vi allude con “putridume” e “merci avariate”.
P.
418. Superomismo della Comnèna tra Nietzsche e Oscar Wilde.
L'immagine del mezzogiorno, “l'ora della gran luce“, è
chiaramente di Nietzsche, ma la scena immediatamente seguente
richiama il sadismo di Salomé, esemplarmente rappresentato
nell'opera omonima di Wilde (1896) :
La
donna ha posato su gli omeri di lui le sue mani micidiali, e
s'inclina verso di lui con mollezza. A un tratto, con un gesto
appassionato, ella gli caccia le dita nei capelli, su le tempie, come
per baciarlo; ed egli si scolora rovesciando indietro la fronte.
LA
COMNENA
quasi
ebra, sommessamente, lentamente.
Ah
il tuo coraggio che canta ! Il tuo sangue è pieno di melodia …
Non hai ora in te tutta la melodia del mondo ? Nessuna cosa ha
tanta musica quanta il coraggio che sale. Io la sento, io la sento …
Ella
gli sorregge il capo e lo sfiora con l'alito. Una pausa.
Tu
tremi ?
RUGGERO
FLAMMA
con
la voce spenta
Di
te …
Come
si può notare, la scena rievoca immediatamente quella di Salomé,
quando bacia ebbra di voluttà la testa mozza del Battista (2).
Atto
IV, p. 427, l'espressione “un immenso desiderio di vivere tutta la
vita” riecheggia un pensiero di Nietzsche, il n. 249 del libro III
de La gaia scienza : “Oh, questa mia bramosia ! ... un io
che vorrebbe avere tutto, che vorrebbe vedere e afferrare per mezzo
di molti individui come fa con i suoi occhi e le sue mani,
anche un io che va a riprendersi tutto il passato, che non vuol
perdere niente di quanto potrebbe accadergli ! Oh, questa fiamma
della mia bramosia ! Oh, se potessi rinascere in cento esseri !”
( Nietzsche, Opere 1882/1895, Roma, Newton, 1993 ).
P.
434-438, ecco la donna fatale in tutta la sua potenza felina, ella è
“pieghevole e possente” e s'impadronisce facilmente di Ruggero
Flamma, lo domina, lo rende suo schiavo. Ella è del tutto priva di
sentimento, invasa com'è da un'ambizione sfrenata e dalla brama di
dominio. Anche il sesso è per lei un'arma al servizio della sua
tirannia. Ella non prova amore, ma suscita soltanto brame lussuriose.
Atto
V, p. 444. Ruggero Flamma in procinto di morire, pugnalato dalla
Comnèna, durante la rivolta del popolo di Roma, dice : “Sei
sterile. Tutta la vecchiezza del mondo è nel tuo grembo. Tu non puoi
generare se non la morte. …” Il motivo della sterilità della
donna fatale e dell'ovvia sua associazione all'immagine della morte è
un tòpos che si trova già perfettamente ne “La belle dame sans
merci” di J. Keats e che giunge sino e oltre l'Hérodiade di
Mallarmé. Lo svolgimento storico di questa figura peraltro è stato
mirabilmente delineato da Mario Praz.
Il
dramma è tutto incentrato sul tema della femmina dominatrice e del
maschio asservito dal suo fascino perverso, e in questo certo non c'è
molta originalità, ma l'opera riesce comunque suggestiva per la
magistrale forza evocativa e la ricchezza d'immagini, che seguono in
un indubbio dinamismo.
1)
Cfr. La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica,
Firenze, Sansoni, 1976, p. 216 ( e a p. 199, Praz dedica alcune righe
a questa tragedia e alla Comnèna “... una figura che diresti tolta
di peso dalla Décadence Latine del Péladan, mena alla
perdizione gli uomini che le si accostano, e finisce per dare,
insieme con l'ultimo bacio, la morte al vile Ruggero Flamma.” )
2)
Lo stato d'animo dal quale nacque la tragedia non era certo
momentaneo perché sembra scaturire dalla medesima vena anche il
sonetto “Il vulture del Sole” del 1903, compreso nella raccolta
Alcyone (1904), in particolare si notino i versi seguenti :
o
Gloria, o Gloria, vulture del Sole,
che
su me ti precipiti e m'artigli
sin
nel focace lito ove m'ascondo !
Levo
la faccia, mentre il cor mi duole,
e
pel rossore de' miei chiusi cigli
veggo
del sangue mio splendere il mondo.
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