Giuseppe
Tucci, Storia della filosofia indiana, Bari, Laterza, 2012
P.
7. Furono frequenti nell'antichità gli scambi di idee tra mondo
greco-romano e India. Apollonio di Tiana compì un viaggio in India a
quanto riferisce Filostrato e Plotino accompagnò Gordiano III nella
spedizione contro i Persiani, per il “desiderio di apprendere dalla
viva voce dei maestri orientali le dottrine religiose e filosofiche
dell'India e dell'Iran”.
P.
8, probabili influssi della medicina indiana sul Timeo di
Platone e sul trattato Malattie delle donne di Ippocrate.
P.
19, “il vero, l'essere, è nella coscienza pura senza pensiero e
quando quella coscienza comincia a pensare, è già sotto l'influsso
dell'errore, diventa altra da sé, pensiero concreto, divenire,
illusione.” Queste affermazioni, circa la mistica indiana, sono
in accordo con quanto deduce Colli dal sistema di Schopenhauer a
proposito del Dionisiaco e dell'Apollineo. L'interiorità, il
Dionisiaco, l'essenza è prima del pensiero che comunque è sua
espressione e quindi è altro e rientra nella sfera dell'Apollineo.
P.
22, singolare coincidenza dell'insegnamento delle varie scuole
filosofiche indiane ( Jainismo, Nyaya, Sankhya ecc. ) con quello di
Platone e del platonismo in genere : il mondo materiale non è quello
reale, vero, ma è il regno della mutevolezza, dell'impermanenza, del
dolore, del non essere. Il mondo vero, dell'Essere, è al di là.
P.
23, le idee appartengono al piano del mondo sensibile, la conoscenza
razionale ci avvicina alla verità, ma rimane nel campo del
molteplice, una è la Verità e non si coglie col pensiero. In questo
anche vi è coincidenza con la visione di Colli, per cui il
Dionisiaco, l'Essenza interiore non è esprimibile, né si può
cogliere col pensiero, però le idee per Colli hanno un valore
trascendente, come per Platone.
P.
24. Il principio è irrazionale : “La ragione serve solo a darci la
consapevolezza che il razionale è falso e illusione : il reale è
nel Brahman, nell'atman, nel purusa, nel jiva, intelligenza pura, ma
così pura che questa intelligenza inerte, questo pensiero senza
pensato e senza oggetto o rasenta la incoscienza o è lo specchio sul
quale, senza modificare la sua natura, si riflettono le immagini che
esso da se medesimo emana, in una illusoria obiettivazione.”
P.
29, caratteristica della filosofia indiana non è la conoscenza della
realtà esteriore ma “l'ansia dell'uomo di conoscere se medesimo. …
L'uomo è la misura di tutto, così come il macrantropo era stato
l'origine di tutto : l'omologia fra uomo e universo sovrasta lo
sviluppo del pensiero filosofico e teosofico dell'India. … E ciò
appunto spiega il prevalere del carattere psicologico di molta parte
della speculazione indiana.”
P.
33, a proposito delle Upanisad, si evidenzia il lungo percorso
di riflessione che nel corso di molte generazioni portò alla
tradizionale concezione dell'atman (anima) e del samsara
(reincarnazione).
P.
40. Mahavira muore circa nel 477 a. C., Buddha nel 478 a. C., si noti
la quasi contemporaneità con Pitagora (570-490 a. C.) e Platone
(427-347 a. C.).
P.
40 e sg., il Jainismo è un pluralismo dualistico basato sulla
contrapposizione tra le anime e la materia. Come per il platonismo si
tratta di liberare l'anima dal vincolo corporeo che la permea e le
impedisce la liberazione offuscandone l'intelligenza.
P.
52, Buddhismo. La differenza fondamentale con l'insegnamento delle
Upanisad e del Jainismo è che per il Buddhismo non esiste un
io permanente, un atman, un jiva, un purusa, la nostra personalità
si riduce a un fluire perenne, eterno e vero è soltanto il Nirvana.
Non esiste un io (atman o jiva) ma un principio cosciente (vijnana).
I problemi del Buddhismo si incentrano sulle domande : che cos'è il
soggetto ? Come si svolge l'operazione mentale ? Si tratta di
interessi prevalentemente psicologici che denotano un atteggiamento
critico e antimetafisico. Il problema essenziale è il superamento
del dolore, cioè l'arresto del carma, di quella forza cioè che
raduna intorno al vijnana aggregati di corporeità e sensazione per
vite ulteriori in continue nascite e morti. L'individuo dunque è
sostanzialmente un aggregato di elementi che fa capo ad un principio
cosciente anche questo mutevole e in continuo divenire. C'è una
certa somiglianza, per gli interessi di carattere psicologico ed
etico e quindi pratici, con la corrente di pensiero ellenistica
dell'epicureismo, il cui cosiddetto materialismo va certamente più
avvicinato a queste preoccupazioni di carattere psicologico ed etico
che non allo scientismo materialistico occidentale dell'Ottocento e
in genere della nostra epoca.
P.
58, molto interessante è la posizione filosofica di Nagarjuna che
getta le basi dottrinali del Grande Veicolo. Dopo aver demolito ogni
convinzione e aver negato ogni validità al pensiero e al pensato
arriva alla conclusione che oltre il velo delle apparenze c'è
l'inqualificato ed inqualificabile vuoto, l'identità assoluta, che
non è né soggetto né oggetto, né essere né non essere, al di là
di tutte le categorie logiche.
P.
60, le affermazioni della scuola seguente dei Vijnanavadin (o
Yogacara) sono quelle che devono forse avere affascinato
Schopenhauer. L'identità assoluta non è il vuoto ma il pensiero
cosmico, il Principio, l'Assoluto, esso si obiettiva nella coscienza
dalla quale poi si evolvono le serie individuali, “catene di
pensieri che reciprocamente condizionandosi si svolgono in apparenza
di realtà obiettiva e di personalità illusorie”. L'identità
assoluta è dunque coscienza, soggettività assoluta, il pensiero non
è relativo come per Nagarjuna ma creativo, però l'oggettivazione è
di per sé irreale, perché reale è solo la soggettività assoluta.
P.
64, le scuole materialiste sono varie, la principale caratteristica è
l'interesse mondano-politico e la tendenza al cavillo sofistico e
alla negazione del dogmatismo come della religione in genere. Il
carma non esiste, bene e male sono illusioni, tutto è regolato dal
destino, cioè dalla natura delle cose, alla morte del corpo gli
elementi che lo compongono tornano alla loro sede, l'intelligenza si
dissolve alla scomparsa del soffio vitale.
P.
67, Jayasri, il rappresentante più caratteristico dello scetticismo
indiano. Non si può dimostrare nulla, di nessuna cosa vi può essere
certezza logica. Nega la validità di ogni mezzo di conoscenza, anche
della percezione.
P.
73, la dottrina Sankhya prevede la dualità di essenze eterne
infinite o anime (purusa) e di una natura naturante (prakrti)
anch'essa eterna, non è postulata l'esistenza di Dio, evidentemente
perché si tratta di una pluralità di essenze divine infinite,
dotate di tutti gli attributi della perfezione. Queste essenze
perfette vengono catturate dalla prakrti, cioè la materia si unisce
all'intelligenza e ciò spiega tutto il reale, l'universo infinito.
Lo Yoga differisce dal Sankhya nel particolare che postula
l'esistenza di Dio, per il resto non c'è sostanziale differenza.
Esso è caratterizzato inoltre da una disciplina psicofisica di
antichissima origine.
Riguardo
al Sankhya è interessante che l'unione tra purusa e prakrti avvenga
attraverso la psiche o buddhi e che l'essere derivatone (jiva) sia
avviluppato da un corpo sottile (lingasarira) che precede quello
materiale. Quest'ultima circostanza ricorda il ka egizio o secondo
corpo o doppio, di cui gli antichi Egizi ed anche gli Etruschi
avevano gran cura ( pratiche imbalsamatorie, sepoltura accurata entro
sarcofaghi in tombe destinate a sfidare i millennii ).
P.
77, altro aspetto curioso è il carattere ciclico del processo
creativo che prevede un periodo di creazione e uno di riassorbimento
per iniziare di nuovo un altro ciclo che viene predisposto dalla
qualità delle esperienze collettive passate e per gli individui dal
fardello del loro carma. Questo dei periodi ciclici si trova anche in
Platone (Timeo) ma un po' dappertutto nelle antiche mitologie
( cfr. Il mulino di Amleto di de Santillana-von Dechend ).
P.
83, altra analogia con la cultura greca, il Vaisesika, corrente di
pensiero filosofico, propone una teoria atomica che indaga la natura
degli atomi. Ecco dunque che non solo i Greci con Democrito ed
Epicuro precedettero la scienza moderna, ma anche i filosofi
dell'India.
P.
94, rigido formalismo e ritualismo della Mimamsa, le parole del Veda
sono la verità indiscutibile, valore assoluto del sacrificio per
ottenere la liberazione ( c'è una certa somiglianza con il rigore
ritualistico ebraico ).
P.
106, la concezione di Sankara espressa nella dottrina Vedanta è
assai simile a quella di Parmenide di parecchi secoli anteriore :
l'essere è, il non essere non è; in questo caso l'essere è
l'Atman, il non essere è l'esistente cioè Maya, l'illusione.
L'Atman è l'Io universale, la sola realtà, tutto il resto, cioè il
divenire è illusorio. Gli individui non sono che il riflesso dell'Io
unico, il Brahman, cui conduce la liberazione, cioè la
consapevolezza della verità e l'esperienza della suprema realtà,
l'identificazione con il Brahman. Come si vede sono le stesse idee
espresse da Schopenhauer ne Il mondo come volontà e
rappresentazione, tolta la differenza costituita dal concetto di
Voluntas-Noluntas, perché qui l'Io assoluto è assai vicino
all'Essere di Parmenide. D'altra parte è pur vero che Schopenhauer
aveva presente nella composizione della sua opera maggiore la
filosofia Vedanta, come si può vedere al paragrafo 68 del libro IV
de Il mondo come volontà e rappresentazione ( Laterza, vol.
II, p. 508 ).
P.
109, con Ramanuja e Bhaskara si afferma una sorta di panteismo.
L'opera di Ramanuja fu molto studiata e commentata. Le innumerevoli
teorie del Vedanta, con i suoi maestri che spesso si contraddicono
fra loro, vengono esposte con chiarezza e minuzia. In sintesi si
oscilla fra il panteismo e una visione di Dio e del mondo di tipo
cristiano, Dio causa efficiente del mondo, anime differenti da Dio ma
eterne (non semplicemente immortali) ed inferiori per perfezione
all'Essere Supremo. Se la visione invece è panteista, Dio è
identificato con il mondo, che è sua manifestazione, anche se non
integrale in quanto l'Essere Supremo non manifesta che il proprio
essere e non la propria beatitudine e intelligenza.
P.
116, le scuole scivaite basano la loro dottrina sugli Agama e
non sui Veda. Pare che questa corrente religiosa sia la più
antica dell'India, precedente l'invasione ariana. Il più noto
rappresentante è Abhinavagupta, ma altri ne sono gli insigni
maestri. La dottrina è caratterizzata da un sostanziale panteismo
per cui il mondo è identico a Dio. Egli si rivela in una sorta di
risveglio nella manifestazione fenomenica per poi ritirarsi in una
specie di sonno alla fine dei tempi. La liberazione è conseguenza
della conoscenza (gnosi).
P.
123. Già all'inizio della presentazione dei problemi oggetto della
meditazione indiana si può notare che questa filosofia ha
un'impostazione decisamente idealistica e razionalistica oltre che
psicologica, il problema fondamentale è quello dell'io e del
rapporto tra l'anima e il mondo esterno. L'anima come in Platone è
prigioniera del corpo e sorge come per Cartesio il dubbio se la
nostra conoscenza corrisponda effettivamente ai dati fenomenici.
Notare
che non mancano i materialisti (Carvaka) secondo i quali la realtà e
l'uomo non sono che una pura combinazione di elementi naturali. Che
cosa manca a questa filosofia per essere completata da quella
occidentale ?
P.
131, per il Buddhismo del Piccolo Veicolo l'essere delle cose
coincide con il loro essere conosciute, una posizione non diversa
direi da quella di Berkeley, “esse est percipi”.
Le
teorie quanto più varie delle diverse scuole sull'errore sono la
dimostrazione dell'indagine a tutto campo degli Indiani, il loro non
fermarsi di fronte a nulla e soprattutto il loro rifiuto di una
scienza basata unicamente sull'esperienza o sull'esperimento, come
per l'Occidente. La loro indagine è essenzialmente logica e il dato
di fatto non ha mai un valore assoluto, ma sempre relativo, perché
non è la vera realtà.
P.
159-160, la lunga discussione sui mezzi di conoscenza e sulla
percezione, oltre ad aprire le porte all'indagine psicologica
avvicinano la speculazione indiana a quella occidentale dagli
empiristi a Kant. Anche qui si pone la domanda : donde i giudizi e le
idee, donde l'universale ? Posta la sensazione, da dove traggono
origine i mezzi che abbiamo per elaborarla e trasformarla in
conoscenza valida per tutti ?
E'
esposta poi la dottrina delle varie scuole di pensiero sull'argomento
e si tratta di una descrizione decisamente complessa che rivela la
straordinaria conoscenza di Tucci, oltre, naturalmente, la curiosa
abilità dialettica e sottigliezza logica degli Indiani.
P.
213-214, nella forma più alta della speculazione filosofica il
pensiero indiano circa l'Essere Supremo si avvicina moltissimo alla
concezione neoplatonica di Plotino . “... identità dell'Uno,
sostrato indefinibile di tutto ciò che è, realtà suprema senza
forma e senza nome oltre il fluire delle forme e dei nomi.”
La
sterminata moltitudine degli dei inoltre è riconducibile alla
tradizione religiosa popolare che a ogni forza della natura
attribuiva una potenza divina, e questo spiega il fatto che gli dei
siano un contraddittorio miscuglio di bene e di male, appunto perché
si tratta di semplici forze della natura.
P.
220-221, il Krsna-Vasudeva della Bhagavadgita ha molta
somiglianza con il Cristo della religione cristiana soprattutto nella
corrente protestante, data l'importanza attribuita all'efficacia
salvifica della grazia divina. L'anima salvata dalla grazia divina si
congiunge nella beatitudine eterna al Dio Supremo.
P.
222, processo di emanazione del divino nelle creature, come la luce
che è più forte o debole a seconda della distanza dal fuoco,
concezione identica nel neoplatonismo ellenistico. Sorprende la
somiglianza di questo pensiero con quello di Platone e di Plotino.
P.
233. Una particolarità della mentalità indiana è che anche i
negatori di Dio (Buddhisti ecc.) non negano però l'esistenza
dell'anima e la trascendenza. Non si tratta di atei e materialisti
radicali come nell'Occidente, ma di negatori che da noi sarebbero
considerati come dei mezzi credenti. Anche la concezione dell'Io
oscilla tra l'anima eterna individuale e un'illusoria e momentanea
coscienza dell'istante che poggia su una sostanza universale, ma ciò
che interessa è che anche il materialismo non nega l'Essere, la
Sostanza.
P.
299, le argomentazioni estremamente sottili delle varie scuole
vertono sostanzialmente sul problema se la realtà esista o sia un
sogno, dilemma, com'è noto, affrontato da Descartes con il Discorso
sul metodo, qui la dimostrazione non è meno persuasiva e
stringente da parte dei Vaisesika-Naiyayika contro gli idealisti
buddhisti che riducevano tutto a illusione. Dire infatti che tutto è
illusione è come dire che tutto è reale, se non c'è una pietra di
paragone che segni un discrimine tra l'illusorio e il reale, ma
allora non c'è neanche distinzione tra falso e vero, tra bene e
male.
P.
306, nella discussione tra l'esistenza o meno della realtà empirica
le scuole Yogacara ricorrono all'argomento dell'evidenza della
percezione per dimostrare che la realtà ha una sua esistenza anche
se relativa e non assoluta. Quello di evidenza è un altro concetto
che si ritrova nella filosofia di Descartes.
P.
312, la teoria atomica, simile a quella di Democrito ed Epicuro, è
presente in buona parte delle filosofie indiane (Buddhismo, Jainismo,
Vaisesika).
P.
315, si noti la curiosa coincidenza nell'immagine del raggio di sole
in cui volteggiano infiniti corpuscoli, per dimostrare l'esistenza
degli atomi da parte della dottrina Vaisesika, con la stessa immagine
presente nel De rerum natura dell'epicureo Lucrezio :
… cum
solis lumina cumque
inserti
fundunt radii per opaca domorum :
multa
minuta modis multis per inane videbis
corpora
misceri radiorum lumine in ipso,
et
velut aeterno certamine proelia […]
conicere
ut possis ex hoc, primordia rerum
quale
sit in magno iactari semper inani, …
(II,
114-122)
P.
327, a proposito della legge di causalità si cita un verso della
Bhagavadgita : “nulla
esiste che non sia già esistente e ciò che è esistente non può
diventare non esistente”.
P.
334, a proposito del concetto di causa si riferiscono le varie tesi
delle scuole, fra cui quella buddhista. Secondo i buddhisti
“l'universo è un fluire indefinito nel quale ogni momento
condiziona il successivo”, ma si tratta appunto di un momento per
cui la causa è già scomparsa quando sorge l'effetto. La concezione
del fluire continuo del tutto, come è noto, appartiene anche al
nostro Eraclito.
P.
337, si specifica il carattere essenziale della speculazione indiana,
“essa costituisce l'impalcatura logica di una soteriologia”, la
filosofia ha come scopo una giustificazione logica di idee proprie
della religione, come il samsara.
P.
338, contrariamente alla filosofia occidentale (aristotelica) non si
risale mai ad una causa prima produttrice del samsara (il divenire),
solo alcune scuole lo attribuivano alla volontà divina.
P.
341, nella considerazione degli universali, la posizione
Nyaya-Vaisesika si avvicina moltissimo alla dottrina di Platone : “la
generalità è immutabile come idea archetipo esistente ante rem.”
P.
362-364, la critica di Nagarjuna al concetto di spazio e di tempo è
basata sulla logica ma anche, prevalentemente, su giochi di parole, o
meglio su una logica tutta formale ma di poca sostanza. Il paradosso
greco di Zenone su Achille e la tartaruga sembra più ingegnoso.
P.
368, a proposito del carma si nota come la divisione in predestinati
alla salvezza o alla dannazione della trasmigrazione eterna sia
dovuta in parte a influssi dello gnosticismo ellenistico.
P.
371, la gnosi indiana stabilisce il primato della conoscenza sulla
morale che agisce solo nel modo samsarico e non può superarlo,
mentre la conoscenza lo travalica. Si pone così il fondamentale
dualismo di errore e conoscenza che appartiene anche alla filosofia
platonica.
P.
377. Somiglianza del Bodhisattva con la figura di Cristo. Egli assume
su di sé i peccati degli altri nel supremo sacrificio di sé che si
chiama parinamana, “trasferenza del carma”.
P.
381-382, continue analogie col Platonismo, in particolare il motivo
della gnosi come unica via per la liberazione dal samsara. La
Bhagavadgita riecheggia inoltre “gli stessi motivi che,
nella Cina, la scuola taoista aveva formulato nella sua famosa legge
del wei-wu-wei, agire come se non si agisse, senza cioè che
le passioni ne siano il riposto movente.”
NB,
l'assenza di passione, la non partecipazione all'azione ricorda
l'apatìa dello stoicismo, vedi Seneca e Marco Aurelio, quest'ultimo
soprattutto.
P.
395 e sg. Circa l'essenza e il valore della parola le teorie sono
varie e diversissime tra loro. La più interessante è quella
dell'apoha cioè dell'esclusione, formulata dai Buddhisti secondo i
quali essendo impossibile cogliere la realtà del punto-istante, la
parola non può riferirsi alla realtà vera ma essere soltanto una
costruzione mentale la cui fondatezza consiste nel dire quello che
non è e negare la sua identità con tutto il resto. Questa è la
teoria più interessante, assunta anche da Dinnaga. Le altre teorie
riportate nelle loro molteplici variazioni denotano una propensione
alla speculazione intellettuale molto accentuata e spesso
cervellotica.
P.
412-413. L'estetica indiana raggiunge la sua formulazione compiuta
con Bhatta Nayaka e poi con Abhinavagupta. Il godimento estetico,
fine a se stesso, è considerato una catarsi (vedi il nostro
Aristotele) e come una completa identificazione del soggetto (lo
spettatore o il lettore) con l'oggetto, che separato da qualunque
determinazione spazio-temporale, che non sia fittizia, è perciò
universale. L'esperienza estetica segna dunque una momentanea
interruzione del samsara e provoca una sorta di beatitudine “che è
uno dei caratteri della coscienza cosmica ipostatizzata in Siva”.
Questa identificazione del contemplante nel contemplato ricorda
un'analoga concezione de Il mondo come volontà e rappresentazione
di Schopenhauer (libro III, p. 38).
P.
419, la teoria dello dhvani, cioè delle qualità essenziali
dell'opera poetica è estremamente interessante, soprattutto in
questo che : “l'opera d'arte più espressiva è quella che contiene
maggiore capacità di misteriose risonanze, che scava più
profondamente nel'animo e dice molte più cose che le parole
apparentemente non dimostrino.” L'opera principale sull'argomento
è quella di Anandavardhana, Dhvanyaloka.
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