Da un romanzo inedito.
Quando giunse al cancello della villa, l’immenso giardino era immerso in una luce rosata e tenue, una nube di vapori nunzii d’estasi oltremarine.
Quando suonò il campanello, gli fu aperto. Un vecchio giardiniere lo condusse sino alla grande porta di legno lucido.
Entrò.
L’atrio era in penombra. Un profumo di fiori lo pervadeva. Scorse vicino a una finestra, attraversata dalla luce crepuscolare, un gran vaso di ranuncoli e gerbere, di colore violaceo e blu e rosso vivo.
Nella sala, sopra il pianoforte dalla cassa verticale, c’erano altri vasi di ceramica, colmi di gerbere rosse e dei pennacchi di canna della Pampa.
E su tutti quei fiori aleggiava l’alone del tramonto. Così un’unica tinta di cielo vespertino s’era posata magicamente anche sugli arredi, sopra le tappezzerie, sui mobili, sui tappeti.
E i quadri parevano rinnovati da quella luce consueta in quell’ora, eppure insolita per i paesaggi ch’essi presentavano o per i volti che esigevano una luminosità diversa. Pure, tutte le immagini sembravano avide di quel lucore fuggitivo, quasi lo chiamassero a loro pur di non rimanere oscurate.
E per una finestra intravvide nel giardino le rose rosse rampicanti che si sostenevano al venticello intrecciate alla rete sopra il muretto di cinta, e da un lato tra le foglie notò i piccoli e lucidi frutti del susino, brunicci, quasi scarlatti.
Si voltò a un improvviso, lieve rumore. Non era nulla. Ma, mentre percorreva il corridoio, oscuro, verso la stanza che sapeva essere stata preparata per il suo arrivo, lo assalì l’onda dei ricordi, dei ricordi più lontani, quando amava d’un amore infantile quella bambina, un’occasione per rammentare il viso di colei che più non aveva veduto, e che ora gli offriva un’ospitalità silente e misteriosa, come appunto per ricordargli che altro non restava se non il ricordo.
Come fu sulla soglia della camera, aperse lentamente la porta di legno scuro. Lentamente s’immerse nell’ombra.
La stanza appariva smisurata, i mobili sembravano vaghe masse fluttuanti nel fondo.
Il soffitto biancastro era pervaso da una strana e tenue luminosità. Pareva la superficie d’un’acqua immota, illustrata dal chiarore delle stelle e dalla pallida regina della notte.
E quando si coricò nel letto, i raggi di luna s’insinuarono per le imposte chiuse. E il bianco lenzuolo lo avvolse come un’acqua chiara.
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