Una donna ignuda, splendente nella pelle ambrata, stava ferma, in piedi. La lunga chioma fulva discendeva alle spalle a modo di criniera, e gli occhi scintillavano come verdi foglie appena nate, lustrate dal lume del giorno. Ella risaltava sullo sfondo bruno, in penombra, degli alberi secolari e della folta verdezza degli arbusti e dei rampicanti, mentre tra gli spiragli delle fronde s’intravedeva un roseo pallore aurorale smarrito tra le rupi di remote montagne.
La lunga chioma sollevavasi al vento con grazia selvaggia. E tramava il suolo d’ombre misteriose siccome le fluide rame delle piante efflorescenti. E s’effondevano i capelli copiosi nel vortice dei nodi, quasi un’onda. E s’udiva uno scalpitare nelle lontananze, oltre la zona arborata, verso le sabbie dei deserti.
Tra le dune aride alzando un turbine aureo, galoppava un corsiero bianco, dardeggiando con gli occhi ignei, mentre la giuba s’irradiava in un alone solare. Guizzava balzando nelle arene assillato da uno sprone invisibile. I muscoli risaltavano insieme alle vene gonfie sotto la pelle madida di sudore e lucida d’un candore marmoreo. La coda crinita gli fustigava i fianchi e dalle nari tumide e nere esciva il vapore dell’anelito. I denti lunghi ed eburnei stridevano contratti fra le mascelle, bramosi di mordere. Le zampe nerborute e magre imprimevano con forza rabbiosa l’orma nel suolo e lo zoccolo rimbombava nella terra similmente al tuono nel cielo.
Il cielo era coverto d’una vampa ardente, uno sfondo dorato di nubi, come un velo di vapori intorno al meriggio.
All’orizzonte le sabbie si fondevano in una striscia opaca di ceruleo metallo. Il mare pareva una lama immersa per ampio tratto in seno al deserto.
E correva il corsiero furiosamente e intorno la solitudine echeggiava dello scalpito e il cielo si copriva della polvere d’oro e il mare pareva ritrarsi.
E quella corsa era senza fine. Dove si dirigeva il destriero, dove ?
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