sabato 12 luglio 2014

Il sogno del principe

Nella penombra egli non riusciva a vedere distintamente. E poi che sul lago incombevano le lunghe braccia nere degli alberi, a poco a poco crebbe in lui il timore. Ma, poi che era vicino alla riva, sentiva avvincersi dalle lievi mani d'Amore, e le nari aspirarono avidamente la brezza fresca.
Le acque increspate insidiavano riflettendo il colore delle foglie tremule, né svelavano il grembo torbido del lago silenzioso. Il vello irto ed opaco degli abeti giaceva nell'inerte sopore, pigro rabbrividendo agli spiri rari.
E vide nel centro dell'acqua dalle onde serpentine una rosa rossa, una gemma offerta alla spuma argentina.
Percepì un nitrito e gli parve che neri cavalieri lo circondassero. Ma nulla si mostrava. Un timore insano lo invase e s'inginocchiò come un folle.
La rosa rossa era nel centro del lago.
Lontano discerneva il tetto d'una vasta dimora avvolta da ombrose piante e avvertiva una eco di canti. Ed ecco che in un anfratto, un luogo nascosto ad occhi distratti, ben protetto da scogli e da canne chiomate, apparvero fanciulle liete coronate di narciso e di mirto.
Il principe si era avvicinato, guidato dalla melodia.
Come erano belle le fanciulle ! Quali limpidi sorrisi marini di un mattino azzurro.
Ed egli fu confitto da un'acre pena nel cuore. E gli pungeva il petto, quasi fosse amente, una pervicace ansia.
E scorgeva l'ampio padiglione vivente di luci e d'ombre. Fra i sospiri delle foglie e il canto delle cicale con fruscìo d'agili gazzelle disparvero le creature gentili, ma un viso egli colse sorridente quale cielo d'un'estate stanca.
Come una pigra corrente fra i giunchi fitti nella pianura, avanzò fra il vasto giardino canoro.
Alti archi dalle mobili ombre risonavano del roco richiamo di psittaci dal piumaggio regale, verdi o gialli, dalla cresta imperiosa rossa o turchina. Le lunghe code, strascichi di manti incomparabili, si modellavano in arabeschi sulle frasche vellutate delle piante.
Trame di coloquintidi e di liane s'inerpicavano ai vertici delle magnolie odorose, agli aceri erti, e gli abeti comati, le araucarie ondeggianti s'imponevano quasi pinnacoli di santuari silenti.
E fra le ombre si perdeva il silenzio nel regolare respiro, ed egli procedeva per lunghi corridoi arborei.
E soffriva all'ombra del passato, dove in uno specchio fosco a fatica distingueva immagini smarrite nel vacuo.
Entrò per alti portici splendenti d'oro e d'argento.
Un colonnato denso quale selva inviolata si precipitava congiungendosi alle arcate, perdute in un manto di nube cilestrina e verde muschio. Volitanti tappeti purpurei colmavano l'occhio come coppe di vino e scrigni traboccanti di splendori fiorivano simili a inattese orchidee. Il pavimento marmoreo luceva quale lido di corallo, e, mentre egli meravigliato lentamente andava, scorgeva talvolta nella penombra un pavone altiero che svaniva frusciando dietro i pilastri.
Come un'onda s'effondeva e dilatava e si traeva indietro tra i tronchi marmorei un ansimo quale di venti australi che raspa le pianure azzurre, quando si sollevano nugoli di gocce, arene candide, alla nera corsa di cavalli nei tramonti sopra gli oceani.
Tale trascorreva una musica.
Tale trascorreva una musica tra i soffi dei fauni nelle canne del flauto e le loro bocche e le loro pupille e le loro ricciute chiome riverberavano, gemme erranti, i lumi varii effusi dalle volte istoriate. E le rose nei vasi colmi inebriavano, carnee e giovani come fanciulle.
Lentamente andava. E giunse ad un ampio balcone donde si tendeva lo sguardo nella pianura. Grandi colonne si elevavano verso il cielo oscuro.
E in lontananza ombre sorgevano dall'orizzonte, vapori della tempesta, ed avanzarono nell'urlo del vento.
E nitrivano i cavalli, e tintinnivano i dardi nelle faretre e le aste sugli scudi risonanti crepitavano, e sibilava al vento lo stendardo fiammeo e sovra un grande corsiero notturno, quasi per serpi crinito, dagli occhi sanguinei, agitava un malleo di aculei un uomo imperioso, avvolto in una pelle di lupo, e sulla testa le fauci della belva biancheggiavano.
E oltre l'echeggiante turbine, ai margini della selva, presso un rivo limpido, su rigogliose sponde, una fanciulla dormiva, nel folto dell'erba, tra il profumo dei fiori.
Allora egli respirò l'aria luminosa e pari al vento si perdette il suo sguardo nella pianura, come vento lieve di primavera.
E si svolse per la distesa l'animo suo sconfinato. E nei palpiti violacei del grembo marino si specchiò il suo tramonto.
L'ombra sua lontana si confuse allora nel mormorio degli alberi.
Nel frusciare delle foglie e sopra l'erba sfibrata dal suo passo peregrinava come sogno disperso.




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