Nella
penombra egli non riusciva a vedere distintamente. E poi che sul lago
incombevano le lunghe braccia nere degli alberi, a poco a poco crebbe
in lui il timore. Ma, poi che era vicino alla riva, sentiva
avvincersi dalle lievi mani d'Amore, e le nari aspirarono avidamente
la brezza fresca.
Le
acque increspate insidiavano riflettendo il colore delle foglie
tremule, né svelavano il grembo torbido del lago silenzioso. Il
vello irto ed opaco degli abeti giaceva nell'inerte sopore, pigro
rabbrividendo agli spiri rari.
E
vide nel centro dell'acqua dalle onde serpentine una rosa rossa, una
gemma offerta alla spuma argentina.
Percepì
un nitrito e gli parve che neri cavalieri lo circondassero. Ma nulla
si mostrava. Un timore insano lo invase e s'inginocchiò come un
folle.
La
rosa rossa era nel centro del lago.
Lontano
discerneva il tetto d'una vasta dimora avvolta da ombrose piante e
avvertiva una eco di canti. Ed ecco che in un anfratto, un luogo
nascosto ad occhi distratti, ben protetto da scogli e da canne
chiomate, apparvero fanciulle liete coronate di narciso e di mirto.
Il
principe si era avvicinato, guidato dalla melodia.
Come
erano belle le fanciulle ! Quali limpidi sorrisi marini di un mattino
azzurro.
Ed
egli fu confitto da un'acre pena nel cuore. E gli pungeva il petto,
quasi fosse amente, una pervicace ansia.
E
scorgeva l'ampio padiglione vivente di luci e d'ombre. Fra i sospiri
delle foglie e il canto delle cicale con fruscìo d'agili gazzelle
disparvero le creature gentili, ma un viso egli colse sorridente
quale cielo d'un'estate stanca.
Come
una pigra corrente fra i giunchi fitti nella pianura, avanzò fra il
vasto giardino canoro.
Alti
archi dalle mobili ombre risonavano del roco richiamo di psittaci dal
piumaggio regale, verdi o gialli, dalla cresta imperiosa rossa o
turchina. Le lunghe code, strascichi di manti incomparabili, si
modellavano in arabeschi sulle frasche vellutate delle piante.
Trame
di coloquintidi e di liane s'inerpicavano ai vertici delle magnolie
odorose, agli aceri erti, e gli abeti comati, le araucarie
ondeggianti s'imponevano quasi pinnacoli di santuari silenti.
E
fra le ombre si perdeva il silenzio nel regolare respiro, ed egli
procedeva per lunghi corridoi arborei.
E
soffriva all'ombra del passato, dove in uno specchio fosco a fatica
distingueva immagini smarrite nel vacuo.
Entrò
per alti portici splendenti d'oro e d'argento.
Un
colonnato denso quale selva inviolata si precipitava congiungendosi
alle arcate, perdute in un manto di nube cilestrina e verde muschio.
Volitanti tappeti purpurei colmavano l'occhio come coppe di vino e
scrigni traboccanti di splendori fiorivano simili a inattese
orchidee. Il pavimento marmoreo luceva quale lido di corallo, e,
mentre egli meravigliato lentamente andava, scorgeva talvolta nella
penombra un pavone altiero che svaniva frusciando dietro i pilastri.
Come
un'onda s'effondeva e dilatava e si traeva indietro tra i tronchi
marmorei un ansimo quale di venti australi che raspa le pianure
azzurre, quando si sollevano nugoli di gocce, arene candide, alla
nera corsa di cavalli nei tramonti sopra gli oceani.
Tale
trascorreva una musica.
Tale
trascorreva una musica tra i soffi dei fauni nelle canne del flauto e
le loro bocche e le loro pupille e le loro ricciute chiome
riverberavano, gemme erranti, i lumi varii effusi dalle volte
istoriate. E le rose nei vasi colmi inebriavano, carnee e giovani
come fanciulle.
Lentamente
andava. E giunse ad un ampio balcone donde si tendeva lo sguardo
nella pianura. Grandi colonne si elevavano verso il cielo oscuro.
E
in lontananza ombre sorgevano dall'orizzonte, vapori della tempesta,
ed avanzarono nell'urlo del vento.
E
nitrivano i cavalli, e tintinnivano i dardi nelle faretre e le aste
sugli scudi risonanti crepitavano, e sibilava al vento lo stendardo
fiammeo e sovra un grande corsiero notturno, quasi per serpi crinito,
dagli occhi sanguinei, agitava un malleo di aculei un uomo imperioso,
avvolto in una pelle di lupo, e sulla testa le fauci della belva
biancheggiavano.
E
oltre l'echeggiante turbine, ai margini della selva, presso un rivo
limpido, su rigogliose sponde, una fanciulla dormiva, nel folto
dell'erba, tra il profumo dei fiori.
Allora
egli respirò l'aria luminosa e pari al vento si perdette il suo
sguardo nella pianura, come vento lieve di primavera.
E
si svolse per la distesa l'animo suo sconfinato. E nei palpiti
violacei del grembo marino si specchiò il suo tramonto.
L'ombra
sua lontana si confuse allora nel mormorio degli alberi.
Nel
frusciare delle foglie e sopra l'erba sfibrata dal suo passo
peregrinava come sogno disperso.
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