II
Mai
come in quel periodo della sua vita egli era stato sorpreso e
catturato dalla brama d'amore. Più volte si era immerso nei sogni
dell'arte, ma ahimé sembravano non bastare.
La
vita intorno a lui proseguiva il suo corso nell'indifferenza ed egli
sentiva la propria solitudine e l'esclusione da un mondo cui non
apparteneva.
Era
dentro di lui una forza misteriosa che lo spingeva a procedere
nell'oscurità, nel deserto dell'esistenza, senza una ragione, senza
un qualsiasi fine, senza alcuna gioia. Sul suo volto si scorgevano i
segni dell'inquietudine, come una febbre che accendeva i suoi occhi
di un'acuta ansia. Il suo pensiero s'aggirava intorno alle macerie
dei sogni e vorticava ossessivo, ingoiando nelle onde melmose gli
estremi fiori dell'illusione.
E
immagini grottesche lo assillavano talvolta, figure di disfacimento e
di morte che si intrecciavano in una ridda ossessiva con delicate
forme di bellezza. Il ricordo di rari incontri, di visi amati, di
avventure amorose vagheggiate ma vissute tutte dentro di sé, di vite
sognate, tornava continuamente alla memoria e lo tormentava. Spesso
aveva la sensazione di avere smarrito la via, e di essere come una
nave che ha perduto la rotta nel mezzo di una tempesta.
Lo
tormentava il rimpianto di una vita irrimediabilmente trascorsa, e la
fuga di giorni lontani, vissuti nell'attesa. Nell'attesa di cosa, o
di chi ? Forse nell'attesa del momento in cui sarebbero stati
rimpianti, quando la vecchiaia, anche se lontana, pure si avvicina a
lenti passi e tutta la perduta giovinezza si circonda d'un benevolo
alone di luce. Allora si rivela il destino beffardo e trasforma i
desideri della giovinezza in occasioni mancate, cambiando
semplicemente nella vita il punto di vista e la prospettiva, ma il
resto, l'anelito e la brama, non muta.
E
poiché siamo uomini, inevitabilmente soggetti alla tirannia delle
speranze e delle illusioni, non rimane che arrenderci.
Tra
le illusioni quella che più tormentava Mauro era senza dubbio la
bellezza. La bellezza in quanto armonia e giusta proporzione,
raffinatezza delle sensazioni, elevazione del gusto artistico e del
sentimento. La bellezza delle linee, delle forme, dei colori e dei
suoni ha il potere di riempire l'animo umano di dignità e di nobili
aspirazioni, di trasformarlo in una persona sensitiva, attenta ai
fenomeni che la circondano, attenta a se stessa e al proprio modo di
essere, in un uomo proteso alla conoscenza e al miglioramento di sé.
E
insieme a questa aspirazione cresceva in lui l'ideale dell'eroismo,
della vita protesa a nobili azioni colme di gloria, in cui ogni
istante della giornata fosse consacrato ad energici gesti. Lo aveva
affascinato la fiera educazione di Giugurta, del giovane africano che
tanto aveva amareggiato i Romani :
“ … equitare,
iaculari, cursu cum aequalibus certare; et cum omnis gloria anteiret,
omnibus tamen carus esse; … “
E
distogliendo la pupilla dalla pagina illuminata, si era volto a
sondare l'oscurità dell'animo e aveva con disappunto scorto il peso
della propria ignavia e la tristezza dei tempi. In un secolo che
sempre più pareva preludere ad una riviviscenza dell'antica bestia,
egli s'avvedeva con mestizia della sua stessa desolazione. E, innanzi
all'assoluta nullità della propria esistenza, pensava agli eroi
defunti eppure immortali di un'umanità archetipica e irripetibile,
che si stagliava all'orizzonte della storia quale una stirpe di
giganti rispetto a un mondo di nani.
E
ricordava vagamente il mito di Platone :
“ Una
volta nata la discordia ciascun gruppo di razze divenne procacciator
di guadagno, quello di ferro e di bronzo ad ammassare denaro e
possesso di terra e di casa e d'oro e d'argento, mentre al contrario
quello d'oro e d'argento, poi che non era povero ma ricco per natura,
le anime alla virtù e all'antica costituzione traeva; … “
E
così pensava agli eroi omerici la cui unica ragion d'essere è
l'aspirazione alla gloria, la cui vita è tutta protesa al
conseguimento di essa, per i quali sia la ricchezza che il potere non
sono nulla se non si accompagnano alla gloria.
E
così pensava anche alla grandezza della patria e all'assoluta
fedeltà ad essa. “ O cittadini d'Atene, due qualità deve avere il
buon cittadino, perseverare nella scelta per la città della dignità
e del suo primato, e in ogni circostanza e azione nella lealtà. “
Così aveva scritto il grande oratore. E tutti gli uomini della
Grecia avevano anche sempre fatto a gara per la grandezza della
propria patria nei divini giochi di Olimpia e nelle altre feste degli
eroi.
Né
tralignava da quei grandi l'ultimo dei Greci, l'italiano Foscolo, il
quale aveva detto ai giovani : “ O miei concittadini ! Quanto è
scarsa la consolazione d'esser puro e illuminato senza preservare la
nostra patria dagl'ignoranti e dai vili ! Amate palesemente e
generosamente le lettere e la vostra nazione, e potrete alfine
conoscervi tra di voi, ed assumerete il coraggio della concordia; né
la fortuna né la calunnia potranno opprimervi mai, quando la
coscienza del sapere e dell'onestà v'arma del desiderio della vera
ed utile fama. “
Ma
volgendo lo sguardo al proprio tempo Mauro osservava sgomento il
trionfo dell'ingordigia e della stupidità e si chiedeva : “ La
patria è la terra dei padri. Si, ma quali padri ? “ Poi che più
non vedeva intorno a sé nulla che continuasse il passato, ma tutto
mutato irrimediabilmente e senza speranza.
I
discorsi degli oratori s'erano ormai trasformati in frasi fatte,
semplici e brevi per non offendere lo scarso raziocinio del popolo,
ormai impantanato nella mollezza e nelle comodità, preoccupato del
proprio cagnolino come una vecchia zitella. Ormai aveva davanti agli
occhi una massa di snervati Sibariti, schiavi dei piaceri più
volgari e dei passatempi più insulsi, una vera massa di poltroni.
E
la patria, la nazione, il popolo erano solo i nomi venerandi di
un'età passata, parole vuote buone per riempire la bocca di qualche
rètore annoiato o di ancora qualche filosofo invecchiato nelle
biblioteche.
Il
mondo era cambiato, era grande, unico, universale e magnifico. Era il
mondo globale dei consumatori, la società ideale a cui per secoli
avevano mirato le menti sublimi dei politici. Ormai era fatta, non si
poteva più tornare indietro.
Risaltava
su questo sfondo assai fosco la nobile semplicità e la quieta
grandezza dell'arte antica e delle statue dei Greci, la cui scoperta
entusiasmava ancora o perlomeno incuriosiva la folla dei selvaggi.
Questi
avevano ancora in sé un barlume di umanità, né avevano del tutto
dimenticato che esiste qualcos'altro oltre al brillare dell'oro, sì
che ben si addiceva il detto del poeta :
“ Que
la beauté du corps est un sublime don
Qui
de toute infamie arrache le pardon. “
Era
senza dubbio l'unico valore rimasto in tanta miseria morale e sebbene
l'estetismo non fosse mai stato considerato prima un fondamento
dell'etica, ora invece lo era, in quanto unico segno distintivo nei
confronti della bestia.
Il
regno della bellezza, il regno di Venere lo seduceva ormai, lo
accomunava nella sorte a Tannhäuser,
dividendo il suo animo fra tensioni opposte, fra inclinazioni spesso
nemiche fra loro : l'eroismo e l'amore. Ma ormai l'amore era divenuto
una sorta di eroismo, in tanta volgarità e mancanza di sentimento,
sì che poteva ben abbandonarsi all'abbraccio delle sirene nel loro
richiamo : “ Qui alle beate – Piagge approdate. “
Spesso
lo confondeva proprio il sogno musicale, ed egli s'immaginava immerso
nell'atmosfera dell' Hörselberg,
nella vasta grotta rischiarata da una luce fantastica.
Egli
osservava spesso, in fotografia, la Venere del Tiziano, detta
dell'Amorino. Quell'opulenza carnale lo traeva in un vortice di
desiderio profano, lo ammaliava, ma lo empiva anche d'una malinconia
profonda per la consapevolezza d'un mondo perduto di verde gaiezza,
per una sensualità ancora vergine di aberrazioni dell'istinto. E
naturalmente pensava anche a Misandra, la cui bellezza indubbiamente
più spirituale sembrava un ammonimento a non godere troppo dei
piaceri della vita senza tuttavia negarne l'incantesimo, che anzi
veniva aumentato dal suo fascino, come Calipso sapeva irretire i
naufraghi.
Ma
da molto tempo non ne aveva sentito più nulla. Ora però gli
giungeva notizia della sua presenza non molto lontano, nel convento
sulla montagna. Evidentemente era sfuggita all'incendio e si era
salvata all'insaputa di tutti.
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