V
Presto
bussò alla porta un monaco che si mise a disposizione di Mauro per
l'intera giornata.
Era
alto, quasi nascosto dal cappuccio, solo s'intravedeva la punta d'un
grosso naso aquilino nell'ombra del volto.
Dapprima
visitarono l'immensa biblioteca, i cui scaffali invadevano le pareti
sino al soffitto.
Verso
l'alto un'ampia vetrata, investita dai raggi del sole, illuminava
l'ambiente.
Il
monaco informava Mauro sui più preziosi manoscritti che poteva
consultare, e la sua voce si perdeva nei meandri della sala, fra i
mobili carichi di libri polverosi. I volumi massicci ornati di
rilegature dorate attiravano lo sguardo, ma nel contempo lasciavano
Mauro confuso, stupefatto, smarrito in una crescente vertigine.
L'uomo parlava, sibilava, assordava, il suo eloquio pareva una
corrente vorticosa che fluisse incessante per la stanza immensa.
Si
diressero verso il giardino.
Al
centro di esso un'antica fontana di marmo, segnata dal tempo,
lasciava scaturire il suo mormorio quasi una melodia misteriosa, come
l'echeggiare d'un canto lontano, come un ricordo improvviso e
struggente.
Intorno
al bacino sorgevano diverse piante, proprie dei luoghi umidi, dalle
foglie gigantesche. C'era un cespuglio che reggeva una profusione di
fiori porporini chiari come gemme, altrove un altro cingeva nel suo
seno piccoli fiori azzurri.
Molti
vasi qua e là mostravano la loro antica presenza, venati talvolta
dall'impeto delle radici, e spesso ornati di rilievi, di intrecci di
serpenti mitologici, di volti di Meduse.
Pergolati
coperti di edera facevano una piacevole ombra e tutto il suolo
intorno alle aiuole e il passaggio era disseminato di pietruzze
bianche e rosate che scricchiolavano sotto i piedi.
Il
monaco era scomparso. Mauro si ritrovò solo nel giardino. E allora
scorse Misandra.
Camminava
lentamente, con un'andatura stranamente un po' rigida, e accarezzava
con la lunga veste i fiori che spuntavano dalle aiuole. La sua chioma
ondeggiava al venticello e si posava sulle morbide spalle e sulla
nuca lucente e bianca. Sembrava l'immagine irraggiungibile d'una dea,
l'icona inviolabile della bellezza, plasmata dalla mano d'un mago. I
suoi occhi, dal colore cangiante a seconda della luce, si fissarono
su Mauro. Ella lo guardò a lungo, quindi sorrise velatamente. Poi si
dileguò dietro un alto e frondoso albero, che cresceva presso il
muro del giardino.
La
mente di Mauro aveva preso a vagare nei meandri della fantasia, ma
non tanto da non scorgere dietro l'albero, una volta avvicinatosi,
una porta nel muro, circondata dall'edera. Si accorse che era stata
appena accostata, quindi l'aperse e si ritrovò all'inizio d'una
tortuosa discesa nel buio.
A
tastoni e dopo molti gradini giunse in una grotta.
Una
forma candida di donna si stagliava sotto la volta ombrata e giaceva
in un divano. Ai lati un alto recinto di rame modellato in intrecci
floreali offriva l'appiglio ad uccelli dal piumaggio variopinto, a
psittaci crestati, a fagiani regali. Ai suoi piedi due grifoni
sommessi aleggiavano. E come Mauro si avvicinò, la vide coricata
sopra stoffe di raso ricamato in trame d'oro, e la sua nudità era
solo velata dalle ciocche della chioma violacea, della quale egli
coglieva il sentore raro e selvaggio. Il suo corpo era mutevole ambra
che ora riluceva di luce marmorea, ora era irradiato d'un colore
fulvo, ora quasi si dissolveva in un'aura di glauco vapore. Così gli
appariva, avvolta dai giochi di luce nella penombra, ed intorno nelle
nicchie della grotta erano deposti disordinatamente rotoli di magiche
scritture, opera di qualche saturnio archimago, che insegnavano le
arti sublimi della felicità. In alambicchi e fiale e in coppe dorate
era il liquore dell'eterna giovinezza, l'elisir tanto ambito. In
volumi polverosi era racchiusa tutta la scienza d'Amore, e segreti
terribili erano celati in formule arcane. Di fronte a lei v'era un
grande specchio, ricoperto da un drappo rosso.
Così
nell'ombra, dove ondeggiavano fluide luci d'estati ormai fioche nella
memoria quali lumi siderei, ella appariva splendida, la dea della
luna vestita d'argento, nel fulvo fiume del tramonto. Pareva
specchiarsi come Diana sul mare quando sporgeva il viso sovra la
fonte, in una cavità nel suolo della grotta, tinta da rocce
smeraldine. E nel verde splendore della conca profonda giaceva
incantata. Vedeva mondi inaccessibili e le costellazioni perdute nei
sogni, e trascorreva le notti mutevole come cangianti languori di
luna.
Misandra
levò dallo specchio il rosso manto e apparve una pianura florida di
pomarii, di boschetti odorosi e di ombrose riviere. Fra questi
trottavano o brucavano l'erba liocorni dalla criniera lanuta,
dall'acuto corno d'avorio, dal collare d'oro guarnito di campanelle
che tinnivano ad ogni minima movenza. I loro occhi azzurri
rivolgevano le pupille caprine, lucide di devozione, a donne
bellissime che erano in un querceto, alcune giacenti sul prato, altre
a passeggio e a cogliere fiori.
Un
rivo ciarliero si tuffava nelle acque d'un laghetto limpido, ove
intatte conchiglie spuntavano dalle sabbie e sporgevano punte di
scoglio come minuscoli isolotti intorno a cui tremolava l'onda
scintillante, che giocava a sollevare i lunghi filamenti di alghe,
fini come capelli.
Presso
il fonte si colmava le mani la fata Eliana, in abito d'argento, e le
apriva lentamente facendo cadere una luminosa cascatella frusciante.
Mirinda, adagiata sul praticello, beveva la rugiada dal calice dei
fiori, accarezzando gli unicorni, i quali dondolando ritmicamente le
code flabellavano i gelsomini e i giacinti. Dietro il tronco d'una
quercia la vaga Melusina si guardava le squame, mutata la pelle in un
involucro cupreo che assorbiva il vermiglio fluttuare dell'aria,
conscia ormai della sua metamorfosi, al venir della luna, nel vello
lubrico. Grasinda pettinava le fluenti chiome bionde, prossima a
flettersi in figura di cetra, e i filamenti le si attorcevano alle
esili dita dei piedi rosei, chiudendosi in raggianti anelli minuti.
Oriana in un mortaio preparava misture d'erbe magiche, e pronunciava
formule arcane, per propiziarsi gli spiriti erranti nel plenilunio.
Con
un sorriso malizioso Misandra ricoperse lo specchio e ogni visione
scomparve. Quindi prese per mano Mauro e lo condusse per corridoi
appena illuminati a un'alta porta di bronzo. La toccò appena con le
dita che questa s'aperse e lasciò scorgere un'immensa pianura di
fiamme. Oltre il campo di fuoco la tenebra dominava incontrastata. E
sopra non era il cielo stellato né il volto pallido e stupito della
luna, ma uno spazio gelido e vuoto senza fine, un baratro
indiscernibile senza fondo. Il bagliore provocato dalle fiamme
riversava una penombra sazia di vapori di brace e nel vago lume
verdastro Mauro poté scorgere, sorpreso e sgomento, un teschio
eburneo e luccicante che roteava arrestandosi un istante per poi
ricominciare. Seguiva un percorso scandito dai battiti del tempo
intorno a fosse quadrate e scure quali pozzi di sentina, donde
esalavano miasmi ammorbanti. A migliaia le buche putride costellavano
la terra buia e ne uscivano lunghi vermi bianchi che strisciavano e
saltellavano a scatti. E parevano avidi di nuovi cadaveri e
accorrevano in massa, una torma biancastra, lucida e tremolante,
verso un gruppo di donne scarmigliate, danzanti attorno a un capro
bruno, dalle ritorte corna rosse. Le magiche baccanti rovesciavano
sopra i vermi, traendolo da un colossale paiolo bollente, un unguento
fetido. E in poco tempo avveniva la metamorfosi. Il verme si
dissolveva e larve di uomini e donne salivano dalla terra, spronate
dal tirso delle maghe, che, volando sopra loro, le abbagliavano con
giochi di vetri colorati. E una torma illimitata saliva dalla terra,
di vite future, di infanti che presto avrebbero udito la voce della
madre. Procedevano quali onde spinte da Libeccio, accalcandosi le une
sulle altre, urtandosi con i piccoli gomiti, scalciando irritate da
ogni lato. Una fretta imperiosa le assillava, le spingeva, anche se
gracili e deboli, alla prossima carriera della vita.
Un
miraggio di architetture bizzarre ergentisi a capriccio dinanzi a un
sole crepuscolare, come nuvole inalzantisi al cielo, come guglie
illustrate dai raggi violacei e talora violenti quasi scatti d'ira
dell'astro restio a scomparire oltre l'orizzonte, come un sogno di
castelli nei cieli incantati delle fiabe, si smarriva nelle
profondità dello spazio, misterioso oceano senza rive.
Davanti
all'astro, che si dipartiva da questa vita, un'altissima torre
incombeva a precipizio sull'insondata voragine dell'oscurità e
pareva attraversata nelle sue volute vorticose da bagliori più
rapidi del pensiero.
Occhi
di miriadi di teste mozze la pervadevano scintillanti, riflettendo
l'ultima luce, e s'aprivano e si chiudevano ininterrottamente, su,
su, fino a perdersi nelle altezze irraggiungibili.
E
gli embrioni di vite future si allontanavano nella vasta pianura fra
i vapori delle nebbie, simili a stormi di neri alati sotto una
distesa di nuvole bianche qua e là trapassate da fasci luminosi, che
aprendosi si confondevano nel mare.
La
porta di bronzo si chiuse. Mauro volse intorno lo sguardo e si vide
in un'ampia caverna, illuminata da torce fumanti. La cavità era
umida e nel suo vasto giro cinta di nicchie, il soffitto concavo era
occupato da una ragnatela simile a un lieve e mobile cortinaggio,
alcuni pipistrelli s'agitavano da una parete all'altra.
Un
lieve lamento all'improvviso catturò la sua attenzione. Veniva da
una delle nicchie. Egli s'avvicinò e notò che al di là della
stretta apertura s'apriva un'ampia stanza. Una luce fioca ed argentea
permeava del suo pallore l'ambiente. Sul pavimento sconnesso era
cresciuto uno strato di muschio e attorno si scorgevano figure
d'affresco, nonostante la muffa, sirene volteggianti fra le onde,
mentre una mano ignota cercava di afferrarne le chiome fluitanti e
rilucenti di raggi d'oro. Ma da una parete un lupo gigantesco con le
fauci aperte e gli occhi di fuoco sembrava pronto a balzare sulla
preda e a farne scempio.
Nel
centro della sala sopra un lungo tavolo nero era legata una povera
fanciulla che gemeva pietosamente. Un raggio di luna, che filtrava da
un pertugio in alto rischiarava come luce fioca negli abissi marini
una bionda capigliatura arruffata intorno a una fronte imperlata di
sudore e un viso bellissimo ma stravolto dall'angoscia, gli occhi
azzurri, come il cielo limpido sulle alte montagne, fissavano pieni
di terrore qualcosa di invisibile su di lei.
Dov'era
Misandra ? Egli ora la cercava, contagiato da un'ansia
inesprimibile. Ma la donna era scomparsa. E mentre si voltava
intorno, ecco che una belva nera dagli occhi di fiamma balzò sulla
vittima legata e le si attaccò al collo con le zanne sibilando.
Terrorizzato
e sconvolto dall'orrore, Mauro uscì precipitosamente dall'avello e
nel buio cercò spasmodicamente la scala che sola gli consentiva
l'uscita.
Fortunatamente
i suoi piedi urtarono nel primo scalino, ed egli iniziò la salita
verso la libertà, più velocemente che poté. Quando ormai aveva
quasi raggiunto la porta d'ingresso, resa visibile dai raggi del
giorno che entravano per la fessura del battente, sentì dietro di sé
l'anelito pesante e ardente del mostro, e folle di paura si slanciò
fuori con un balzo, quindi chiuse la porta spingendo con forza.
Questa rimase come sigillata anche senza saliscendi e Mauro traendo
un sospiro di sollievo si trovò di nuovo nel giardino del convento.
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