VI
Un'ala
del monastero era impenetrabile, e solo un massiccio portone sembrava
poter concedere l'accesso a chi ne avesse avuto la chiave. Tuttavia
al di là dell'alto muro di cinta sormontato da affilate punte di
metallo, si udivano talvolta delle strane voci, che certo non davano
l'impressione di essere né maschili né tanto meno di monaci.
Una
sera Mauro passeggiava nel giardino e osservava malinconico il
tramonto fra le montagne che imporporava della sua luce morente le
pendici boscose, le valli e i dirupi, quando scorse improvvisamente
una figura leggera di donna quasi volare nella sua corsa furtiva
verso il portone dell'ala misteriosa.
Con
il solo tocco della mano la donna aperse il portone ed entrò. Mauro,
notando che questo non si chiudeva ma restava spalancato, entrò pure
lui.
Si
ritrovò in un altro giardino colmo di piante d'ogni tipo e di fiori
che impregnavano l'aria del loro profumo. Qua e là fra i lauri
v'erano cespi di rose, ma al centro troneggiava un'immensa agave il
cui scapo s'inalzava con le sue corone d'oro a cogliere i raggi
purpurei.
Vicino
all'agave colpì la sua attenzione un lucore roseo e Mauro notò che
si trattava di una lapide di marmo illustrata dagli ultimi raggi del
giorno.
Si
avvicinò e lesse :
“ Qui
giace Misandra d'Ormengo
figlia
di Diana, morta nell'incendio
dell'anno
millenovecentonovantaquattro.
Requiescat
in pace “.
Rimase
alquanto turbato. Dunque Misandra non era più. E allora colei che
gli era apparsa chi era ?
Un
rumore proveniente dall'interno del chiostro lo sottrasse ai suoi
dubbi ed egli si diresse verso quel luogo. Cominciava a distinguere
un lamento di voci femminili che si perdeva nel buio dei corridoi e
risuonava sotto l'ampia volta, un lamento variato da voci
diversamente intonate ma tutte sorte a suscitare la pietà dal
profondo dell'animo.
La
stanza da cui giungeva quel misto di gemiti e pianti era in fondo
all'edificio, Mauro vi si diresse guidato dall'udito.
Giunto
sulla soglia vide una scalea smarrirsi in un complesso di archi
rampanti, di logge e colonnati, per i quali una folla di fanciulle
discorreva suonando su magici strumenti incantate armonie.
Non
dunque gemiti e lamenti ma suoni misteriosi e magiche melodie lo
avevano attratto, o così gli pareva, poi che aveva superato quella
soglia.
Giovani
donne bionde dalle vesti purpuree trapunte di fili d'argento
lanciavano tra loro una sfera dorata che ruotava leggera nell'aria,
una fanciulla si allontanava tra le colonne come in una foresta, la
veste si sollevava lievemente sopra i piedi rosei, che sfioravano il
suolo. E pareva anche che la circondasse il profumo di tutti i fiori.
Altre suonando arpe e liuti indossavano un candido peplo e avevano le
chiome intrecciate e coronate di lauro e un nastro di seta stringeva
loro la veste sotto il seno. Ed una di esse, la più splendente, dal
viso ambrato, dall'iride del colore dei capelli castanei e fulvi come
fili di rame, dal formoso aspetto, gentilmente gli si appressò,
reggendo nella sinistra uno scettro d'oro. E trasse Mauro sino al
lembi estremi della foresta di colonne e d'archi, umidi di nebbia e
di vapori mossi dal venticello.
Sulle
onde d'un lago sorgeva un castello, intessuto delle esalazioni e
delle nebule che veleggiavano sopra la ferma distesa. Era un miraggio
di vortici e correnti che erige la forza dell'estate, come un
labirinto di sogni sullo specchio dormente delle paludi.
Si
sentì una mano sulla spalla, voltandosi vide Misandra che gli
sorrideva affabilmente. Quindi lo condusse tra le colonne sino ad un
cerchio formato da grandi vasi dai quali esalava un fumo acre e
inebriante e intorno stavano sette giovani donne dall'aspetto
avvenente e tutte al di qua dei trent'anni.
La
più giovane doveva avere circa sedici anni, era alta, formosa, con i
biondi capelli sciolti morbidamente sulle spalle e gli occhi azzurri
e splendenti.
La
seconda sui vent'anni era minuta e graziosa, dagli occhi piccoli e
maliziosi e una corta chioma nera.
La
terza era molto carina, ma aveva un viso sfrontato avvezzo a ridere
sguaiatamente.
La
quarta, bionda e forse appena trentenne, aveva forme molto
pronunciate, un dorso imponente e larghi fianchi.
La
quinta, dal viso ovale e triste, era pallida e magra e sembrava
propensa alla malinconia.
La
sesta era bruna e olivastra, con folti capelli ricciuti, un corpo
atletico e nobile e uno sguardo penetrante.
La
settima era una rossa, dall'espressione sarcastica, dalla pelle
bianca come latte, l'attitudine sciolta e propria al movimento.
Erano
dunque queste le vere abitanti del luogo e quanto aveva prima veduto
altro non era se non il prodotto di quel vapore ingannevole. Mauro
però non sapeva spiegarsi perché stessero in quel luogo, né il
motivo di quella magica seduzione.
Esse
attorniavano Misandra con sguardi languidi da innamorate e parevano
da molto tempo unite in una comunità di sentimenti e in uno scambio
di complici sensazioni, e sembravano aver bevuto reciprocamente le
lacrime di notti solitarie e i rimpianti di vergini infeconde.
Avvinte da un'oscura brama d'amore, stavano ai suoi piedi, schiave
dei suoi voleri.
Intanto
una di esse, la rossa voluttuosa e maligna, prese un libro rilegato
in marocchino, dai fregi dorati, e cominciò a leggere ad alta voce.
E,
come ebbe letto, s'abbracciarono fra loro le fanciulle e sognarono le
lontane distese del mare attorno a un'isola cinta d'echi amorosi e di
languidi piaceri, e contemplarono il loro corpo virgineo, che ormai
vellicava il pallore lunare, come candido marmo.
Chi
di loro quella notte sarebbe stata offerta a Misandra ? A chi
sarebbe toccato l'onore di versare il proprio sangue ?
Misandra
attendeva presso la più giovane con occhi ardenti, come un forte
animale che sorveglia la sua preda, dopo averla segnata con gli
artigli. Superba ella aspirava voluttuosamente il profumo del suo
trionfo che sarebbe stato versato come vino ardente, e si protendeva
verso di lei quasi a cogliere il dolce dono.
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