VII
Il
giorno dopo egli ricordava vagamente, o meglio era quasi convinto di
avere sognato. Era diretto verso la foresta non lontana dal convento,
tratto da un sentimento di malinconia e da un bisogno di solitudine.
Procedendo
di buon passo si trovò ben presto in un vallone in mezzo alle rocce
dove scorreva un ruscello le cui piccole onde spumeggiando
esprimevano mormorii gioiosi.
Era
un luogo selvaggio chiuso tra due ali di rupi e di scoscendimenti
rocciosi, il cui minaccioso aspetto veniva mitigato da una profusione
di cespugli d'un verde intenso e variamente coronati di fiori. Una
moltitudine di sassifraghe spuntava dalle rocce e contribuiva così a
donare alla valle un abito di rosea gaiezza.
Ma,
mentre i raggi del sole giocavano tra la vegetazione illuminando le
pareti calcaree e grigiastre, in mezzo alla valle sopra un'eminenza
rocciosa sorse come un'ombra una strana figura.
Immobile,
rigida, volgeva lo sguardo verso la corrente spumosa, scintillante di
luce, e il venticello le agitava e sollevava un poco la lunga veste
nera.
Avvicinatosi,
Mauro vide la donna bellissima, la cui fronte splendeva di una
luminosità pura, eburnea, come di cera, e i capelli, di colore
bruno, scendevano morbidi sulle spalle, gli occhi brillavano, grandi
e profondi e in essi l'iride mutava a seconda dei raggi che la
colpivano, intessuta di tre colori, una tinta scura verso il centro,
un alone castano chiaro e quindi un cerchio grigio. Egli,
affascinato, osservava quel viso così puro nelle sue linee, nelle
fattezze, così femminile nell'ovale della forma, e restava stupito
per la strana somiglianza che aveva con il suo volto, che, sebbene
più rude, pure ne manteneva l'impronta.
La
bocca di lei era lievemente intesa a un sorriso, che non era di
amabilità, ma di serena e sovrana indifferenza. I suoi occhi erano
profondi, ma freddi come la calma dei mari settentrionali, pervasi
dai ghiacci. Un orrore arcano si nascondeva dietro la sua bellezza e,
distinguendola dalla miriade delle donne mortali, le conferiva il
supremo e assoluto segreto dell'amore.
Era
dunque Misandra, colei che ora vedeva con sorpresa, ma in un
atteggiamento inconsueto, in tale immobilità !
La
donna mosse lievemente il capo, o così gli parve, e lo fissò
gelidamente.
E
allora come in un sogno egli scorse dietro di lei una prospettiva
illimitata di piane e di riviere serpeggianti e di rupi solitarie e
di ponti sovra precipizi e di selve nere sfiorate dalla pallida luna,
e l'occhio vi si perdeva e la fantasia volava come Astolfo sul carro
dell'Evangelista. E il sogno lo rapiva in un oblio senza confini, e
il tempo e lo spazio si diradarono quali nebbie fugate dai venti, e
il grande specchio della memoria lo inghiottì come un vasto oceano.
Restò
qualche minuto incantato e silenzioso. Poi si avvide che la donna non
mutava atteggiamento né gli rivolgeva la parola. Piano, piano si
mosse e con movimento rigido e meccanico iniziò a dirigersi verso il
folto della vegetazione, dove ben presto Mauro seguendola scorse in
una parete di roccia l'ampia entrata d'una caverna.
L'interno
era illuminato da torce e una lunga galleria pareva condurre sino
alle viscere della terra. Ma a un certo punto egli perse di vista la
sua momentanea guida e continuò a percorrere il corridoio, finché
giunse a una porta che introduceva direttamente nel cortile del
monastero.
Senza
essere notato, Mauro tornò nella cella che gli era stata assegnata,
e qui cominciò a riflettere sullo strano incontro.
VIII
Già
un'altra volta si era innamorato di Misandra. Ma era vero amore ? O
non era piuttosto un desiderio vago e vano d'innamorarsi, unicamente
dovuto alla noia ? Egli sapeva di essere avvinto dalle immagini, di
essere mutevole come la luna o come le onde del mare. Aveva mai amato
veramente una donna ? La risposta sincera l'aveva nel cuore, ed era
no. Ed ora di fronte a quella strana icona, il suo cuore era rimasto
stupito ed estatico. Aveva visto attraverso di lei in un baluginare
di luci, uno squarcio sull'infinito ch'era in lui stesso. Si era
meravigliato, perché in realtà non si conosceva.
L'amore
era stato per lui soltanto come lo specchio per le allodole, frantumi
di specchio insidiosi e tormentosi, talvolta una vera tortura, ma
sempre e solo specchi. Non era mai riuscito ad andare al di là della
superficie. E del resto, che cosa c'era al di là della superficie ?
Proprio niente. Tardi, e certo ormai disincantato, si rendeva conto
che l'essenza dell'amore è la semplice riproduzione degli individui,
cercare qualcos'altro è appunto mera illusione. Ormai accoglieva con
una sorta di rancore la lusinga delle donne, che, strano a dirsi, pur
col passare degli anni si faceva più insistente. Questa illusione
era davvero un crudele e inutile tormento. Eppure non poteva
sottrarsi ad esso, non poteva fare a meno di torturarsi. Era davvero
una triste situazione la sua, triste e senza uscita.
Misandra
sorgeva ancora dinanzi ai suoi occhi come l'ideale dell'adolescenza,
l'unica età della vita nella quale si ama veramente, d'un amore
puro, assoluto, incantato, l'amore che basta sognare per essere
felici.
Egli
s'avviava a diventare un sacerdote di Venere e delle Muse.
Nessun commento:
Posta un commento