Orrida è questa notte,
come il mio destino,
dei casi un incomprensibile
nel baratro getto
di dadi,
e in alto una marea
di brame
contro lo scosceso scoglio, contro
la rupe invalicabile,
aspra amara,
sazia di vite spezzate.
S’erge l’alta torre
nella tempesta
cinta di fulmini,
solitaria nella landa desolata
ricolma di paludi,
qual vita
pullulante d’insidia.
La tenebra m’ammanta
del duplice terrore
del nulla
e d’una ridda di demoni.
Il fato
mi fu nemico e m’illuse,
ahi,
col peggior degli inganni, con il sogno
d’essere amato.
Non fu così, Lucia,
mio breve raggio di sole,
mia fonte
di gioia.
Tu mi guardasti
per un istante
un giorno lontano,
ma fu per sempre.
Presso l’antico fonte
tu sedevi e i capelli
fluivano con la corrente
al vento gaio e sinuoso
ed io a te una trama tessevo
d’oro e di gemme intorno
nel sogno, quale nei campi assolati
splendono le messi e ondeggiano
come vasto mare, e sorgeva
il sorriso e s’effondeva con l’ale azzurra
dell’aria. Di canti un arazzo
ondava nell’aria nella vampa
del meriggio d’oro, come i tuoi capelli
al vento si libravano fresco
spirante tra le selve.
Ombroso soffio il corpo tuo
fluitava dell’acque limpide
nel decorso e si fondeva nel cielo
dei frizzi colmo delle rondini, tu
dovunque eri, o dea, radiosa
effigie d’immortale bellezza cinta
d’un ampio manto di fiori.
Nella radura dell’ondeggiante foresta
al vento, ai raggi
del meriggio montano, tu sorridevi
per richiamarmi al tuo ricordo
un giorno, agli ineffabili istanti
che soltanto si svelano
nella memoria.
Poi che la vita umana
inavvertita scorre e il solo suo rimpianto
viva la rende e presente e quasi eterna.
Ma non è che un soffio breve
sulla gora del tempo e la rimuove
in un’onda che lieve espira
per una sponda ignota e poi si perde.
E tu non fosti per me
che il sogno d’un perduto paradiso,
una terra senza approdo.
Un’ignota terra lontana svanisce
all’orizzonte ora nel tramonto,
miraggio di promesse, vagheggiato
sogno nell’ombra dell’oblìo.
Viviamo solo per quel sogno
e sino all’ultimo
non vogliamo destarci
alla voce
della morte.
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