Pietro Cossa Nerone (1871) Milano, Barbini, 1872
L’opera contiene una prefazione dell’autore, alla fine del dramma seguono delle note storiche dello scrittore stesso. L’autore afferma di aver voluto riprodurre sulla scena non tanto Nerone imperatore quanto Nerone artista. Infatti giustamente nota Cossa che Nerone in punto di morte esclamò : “ Qualis artifex pereo ! “ e non disse : “ Qualis imperator pereo ! ”. “ Segno evidente ch’egli teneva più all’arte, che all’imperio “, dice Cossa. Nel suo Nerone lo scrittore romano vuole mettere in risalto soprattutto la crudeltà e il suo amore per l’arte, poiché queste sono “ le due sole qualità che costituiscono il suo carattere “. Ecco, con le parole di Cossa stesso, il suo Nerone : “ Crudele assai meno di Caligola, perché in questo la crudeltà era indole, voluttà; in Nerone paura : vile più d’un fanciullo, superstizioso quanto una femminetta del volgo, buon poeta, buon pittore, migliore scultore, nell’edificare magnifico, vanaglorioso tanto da voler dare il suo nome a Roma, nelle libidini nuovo, bestia, sotto la bestia “.
Atto I, scena I e II. Nerone viene rappresentato come un megalomane, dedito solo ai piaceri e ai divertimenti, propenso a subordinare ad essi anche gli affari dello Stato. Cossa basa il proprio dramma, come risulta dalle sue note storiche, soprattutto sulle Vite dei Cesari di Svetonio, attinge anche da Plutarco, autore delle Vite parallele.
Nerone è uno spensierato e maniaco ammiratore del mondo ellenico e dell’arte. Il suo temperamento è istrionico :
“ Va dunque
buon Rufo, e sappia il popolo ch’io stesso
oggi darò spettacolo cantando
nel pubblico teatro … ammireranno
l’ Edipo Re. Che artista sovrumano
quel Sofocle ! Che limpida armonia
di concetti e di versi ! “
Sempre nell’atto I, nella scena IV, Nerone, a proposito della bellezza della fanciulla Egloge, dice :
“ Tu pure Greca ! Amabile paese
è il tuo, bionda fanciulla : ha il privilegio
della bellezza. In quella terra tutto
è bello dall’Illiade al Partenone.
Fin Leonida re co’ suoi trecento
quando morì, creava la più bella
delle battaglie. Oh benedetto il suolo
dove natura artistica produce
statue divine, e più divine donne ! “
Nella stessa scena si dichiara afflitto da una sorta d’ennui romantico e da un desiderio imperioso di creare e di essere pari a un dio :
“ Anche Giove s’annoia, e in que’ momenti
sovverte le città, sveglia tempeste,
e par che pensi a scardinare il mondo.
E’ doppia voluttà : chi crea, distrugge,
ed io Giove terreno, imitai l’altro
ch’abita nell’Olimpo. Ardea la lampa
monotona d’innanzi agli occhi miei
che cercavano il sonno; arda una luce
più vasta, io dissi, e sorsi, e bruciai Roma. “
Sempre nella stessa scena Nerone si rivela un esteta :
“ D’ora innanzi i tuoi
biondi capelli spargerai d’unguenti
preziosi, e le morbide carole
moverai col tuo piè sopra i tappeti
alessandrini; plaudirò sol io,
io che m’intendo nell’arte di Fidia
il tuo compatriota, e questa molle
voluttà delle giovani tue forme
eternerò fingendola nel marmo.
Tu mi piaci, o fanciulla. “
Atto secondo, scena VII. Nerone assume atteggiamenti e fa dichiarazioni da bohémien :
“ … Corsi
come briaco per le vie di Roma,
e in quelle oscurità quanti terrori
lasciai dietro i miei passi, e quanto sdegno
ne’ mariti gelosi ! Intanto pensa
lo stoico vigilando arcigno e chiuso
nella sua stanza. Ed a che pensa ? Io rido.
Cosa sarebbe priva d’ogni errore
questa noia che i più nomano vita ? “
Atto secondo, scena VIII. Nerone fa dichiarazioni da vero bohémien :
“ Che da questo nappo
come dai labbri d’una cara donna
mi sia dato di suggere l’obblio
d’ogni umano fastidio ! Il nappo pieno
è il maggior dei poeti, e dagli acuti
effluvi della magica bevanda
si crea nell’aria il sogno dilettoso
ch’inebria la mente, e ingiovanita
l’eleva al regno della poesia ! “
Atto terzo, scena prima. Nerone uomo fatale. L’amore di Atte per lui è voluto da una forza ineluttabile, dal destino, ed ella non può sottrarsi, anche se Nerone non ha mai dato prova di amarla davvero. Dice Atte :
“ Oh quanto è mai nefanda
la mia fortuna ! Io sento che disprezzo
questo tiranno, e nondimeno l’amo
d’amor che m’impaura, e a lui son tratta
da ineluttabil fato.”
Atto terzo, scena IV. Per Nerone la vera sapienza è la follia :
“ … ho creduto sempre
che sapienza somma è nel cervello
de’ pazzi. … ”
Nella scena V appare l’astrologo Babilio ( di solito in questi drammi di argomento antico l’elemento magico è sempre inserito ).
Atto terzo, scena VIII. Nerone è veramente un fanciullo, come lo chiama Atte. Alla notizia dell’elezione a imperatore di Galba da parte delle sue truppe Nerone si getta nelle braccia dell’amata Egloge :
“ Amiamoci, o mia bella,
finché le nostre vene abbrucia il sangue
di giovinezza; Galba è ancor lontano ! “
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