Come dell’usignolo il canto ai campi
si spande e di Driadi alate selve,
per la sanguigna coppa di vendemmia
mèmore, tale incantato sonno
è alla terrestre sposa, esule
per i meandri verdi d’un’estate
antica, ora che autunno incede
e preme i corpi con desiosa angoscia.
Ora Beltà non ha luminosi occhi,
porte degl’inni, di Diòniso tigri
lacerano ogni amoroso accordo,
triste ricordo ove respira il mare
di aride glebe alla vedova valle.
Ma un cigno sorge sopra le acque immote,
l’ali vaste promana di profezia,
alta più del mio esule sogno,
alta più delle valli nebbiose,
quale alato iddio su verso vette
fra torrenti di luci raggianti;
oh, più splendente idea in sacra selva,
quale sia mai varcata, di sacra
acqua, d’aria e di fuoco invasa,
vedo io e canto tra i ridenti dei.
Oh, tu, dea immortale, non fuggire
o santa visione, o eterna
fonte di vita, o sublime madre
di tutte le forme, e nella grigia
nebbia non abbandonarmi dei giorni,
non posso vivere senza di te !
L’uomo che appare dietro le folgori
dell’ombra dell’alto monte ascende
fra le nubi al cielo tra gli Eroi
del padre Iddio. Così alato
aquila o genio fossi, dell’ampio
volo oltre folli a varcare tempeste !
Come sui prati del mare si volge
l’amata aurora verso le plaghe
nell’occidente azzurre e trae la veste
di luci scintillante, quali stormi
di liberi gabbiani ella plana
alle notturne rive, e all’apparire
si destano di lei, così rinata
di gioia l’anima mia si colma,
poi che vede l’alte nubi dorate
dai dardi colme del celeste Iddio,
e ardente auriga il suo viaggio sogna
al canto dorato dei ridenti dei
nell’ondeggiante scìa, bramosa
dell’Eternità.