giovedì 31 maggio 2012

Charles Baudelaire, Petits poèmes en prose




XXV

LA BELLE DOROTHÉE



Le soleil accable la ville de sa lumière droite et terrible ; le sable est éblouissant et la mer miroite. Le monde stupéfié s’affaisse lâchement et fait la sieste, une sieste qui est une espèce de mort savoureuse où le dormeur, à demi éveillé, goûte les voluptés de son anéantissement.
Cependant Dorothée, forte et fière comme le soleil, s’avance dans la rue déserte, seule vivante à cette heure sous l’immense azur, et faisant sur la lumière une tache éclatante et noire.
Elle s’avance, balançant mollement son torse si mince sur ses hanches si larges. Sa robe de soie collante, d’un ton clair et rose, tranche vivement sur les ténèbres de sa peau et moule exactement sa taille longue, son dos creux et sa gorge pointue.
Son ombrelle rouge, tamisant la lumière, projette sur son visage sombre le fard sanglant de ses reflets.
Le poids de son énorme chevelure presque bleue tire en arrière sa tête délicate et lui donne un air triomphant et paresseux. De lourdes pendeloques gazouillent secrètement à ses mignonnes oreilles.
De temps en temps la brise de mer soulève par le coin sa jupe flottante et montre sa jambe luisante et superbe ; et son pied, pareil aux pieds des déesses de marbre que l’Europe enferme dans ses musées, imprime fidèlement sa forme sur le sable fin. Car Dorothée est si prodigieusement coquette, que le plaisir d’être admirée l’emporte chez elle sur l’orgueil de l’affranchie, et, bien qu’elle soit libre, elle marche sans souliers.
Elle s’avance ainsi, harmonieusement, heureuse de vivre et souriant d’un blanc sourire, comme si elle apercevait au loin dans l’espace un miroir reflétant sa démarche et sa beauté.
À l’heure où les chiens eux-mêmes gémissent de douleur sous le soleil qui les mord, quel puissant motif fait donc aller ainsi la paresseuse Dorothée, belle et froide comme le bronze ?
Pourquoi a-t-elle quitté sa petite case si coquettement arrangée, dont les fleurs et les nattes font à si peu de frais un parfait boudoir ; où elle prend tant de plaisir à se peigner, à fumer, à se faire éventer ou à se regarder dans le miroir de ses grands éventails de plumes, pendant que la mer, qui bat la plage à cent pas de là, fait à ses rêveries indécises un puissant et monotone accompagnement, et que la marmite de fer, où cuit un ragoût de crabes au riz et au safran, lui envoie, du fond de la cour, ses parfums excitants ?

Peut-être a-t-elle un rendez-vous avec quelque jeune officier qui, sur des plages lointaines, a entendu parler par ses camarades de la célèbre Dorothée. Infailliblement elle le priera, la simple créature, de lui décrire le bal de l’Opéra, et lui demandera si on peut y aller pieds nus, comme aux danses du dimanche, où les vieilles Cafrines elles-mêmes deviennent ivres et furieuses de joie ; et puis encore si les belles dames de Paris sont toutes plus belles qu’elle.
Dorothée est admirée et choyée de tous, et elle serait parfaitement heureuse si elle n’était obligée d’entasser piastre sur piastre pour racheter sa petite sœur qui a bien onze ans, et qui est déjà mûre, et si belle ! Elle réussira sans doute, la bonne Dorothée ; le maître de l’enfant est si avare, trop avare pour comprendre une autre beauté que celle des écus !


http://www.youtube.com/watch?v=-QMAlGAoiuQ&feature=colike
 

lunedì 28 maggio 2012

da Novalis, Canti spirituali, II

Lontano a Oriente si fa chiaro,
tempi grigi si fanno giovani;
quale profondo e lungo abbeverarsi
alla luminosa fonte dei colori!
Santo esaudirsi di antica nostalgia,
dolce amore in divina apoteosi!
Finalmente il beato fanciullo
di tutti i cieli scende sulla terra,
e col suo canto soffia di nuovo
sul mondo un creatore vento di vita,
per nuove fiamme lucenti in eterno
aduna scintille da tempo disperse.
Scaturisce dovunque dai sepolcri
nuova vita e nuovo sangue;
per edificarci una pace eterna
s'immerge nell'onda della vita;
sta nel mezzo con le mani colme,
pieno d'amore attende ogni preghiera.
Lascia che il suo mite sguardo
ti penetri in fondo all'anima,
e vedrai come ti illumina
la sua eterna beatitudine.
Tutti i cuori, gli spiriti e i sensi
daranno inizio a una nuova danza.
Senza timore afferra le sue mani
e il suo volto imprimi in te,
devi sempre rivolgerti a lui
come un fiore al raggio del sole;
ed egli sarà tuo, come una sposa
fedele, se gli mostri tutto il cuore.
Ora infine la divinità che spesso
ci ha spaventati, è divenuta nostra,
nel Sud e nel Nord ha risvegliato
come in un lampo germogli di cielo.
Nel ricco giardino di Dio, noi fedeli
curiamo che sbocci ogni gemma, ogni fiore.



sabato 26 maggio 2012

Come nel primo giorno




Come nel primo giorno anelo
all’attimo fuggente, e il respiro
d’ali è un frullo al limpido cielo,
che si perde lontano ovunque miro.

Come nel primo giorno la mente
s’immerge nel bel sogno della vita
e l’anima mia canta irretita
nel vorticoso fiume risplendente.

E invano come sempre di sentire
il solare tepore si rallegra,
presente sempre e caldo nel morire

dell’ora breve, ch’è frigida ed egra
per l’occhio suo, avido e ferito
nel rimembrare il remoto Infinito.


Scheda Thomas Mann





Thomas Mann              I Buddenbrook             Milano, A. Barion, 1930
                                 ( Trad. di A. Lami )

“ La decadenza di una famiglia “ è la storia dei Buddenbrook, famiglia di ricchi borghesi di Lubecca con aspirazioni nobiliari. Tommaso Buddenbrook da console della repubblica diviene infatti senatore. Per l’impostazione d’ambiente e psicologica risente molto dell’insegnamento di Theodor Storm ( vedi Novelle di Th. Storm ) in particolare per il tono disincantato e malinconico. Personaggi decadenti in particolare sono Cristiano e Hanno Buddenbrook.
Pag. 108 : considerazioni sulla musica ( eseguita dal piccolo Hanno ) che risentono della concezione filosofica di A. Schopenhauer ( “ l’estrema tensione della volontà, la soddisfazione e la liberazione della quale era ancora negata, perché egli ben sapeva che la felicità non dura che un istante … “ ). Bellissimo l’episodio del giorno di scuola di Hanno, la presentazione dei suoi professori al Liceo, la vita in classe. E’ proprio vero che le cose si ripetono ! L’ultima sinfonia di Hanno e la sua morte sono un poema psicologico ( parte undecima, cap. II ).
Ecco la morte del vecchio console Buddenbrook :    

XI

Ciò che segue accadde nella tarda estate del '55, una domenica pomeriggio. I Buddenbrook erano nella stanza dei paesaggi e aspettavano il console che, al piano di sotto, stava ancora vestendosi. Per quel giorno festivo si era combinata una gita con la famiglia Kistenmaker, una passeggiata fino ad un caffè fuori porta. Tranne Clara e Klothilde, che ogni domenica sera andavano in casa di un'amica a sferruzzare calze per i piccoli negri, tutti si ripromettevano di prendere il caffè laggiù e, se il tempo fosse stato buono, di fare magari una gita in barca sul fiume...
«Con papà è una cosa spaventosa,» disse Tony, scegliendo parole forti com'era sua abitudine. «Può mai esser pronto all'ora giusta? Se ne sta alla scrivania e non si muove... se ne sta lì... questo o quello deve essere finito... santo cielo, forse sarà davvero necessario, non voglio dire... ma non credo che faremmo fallimento se deponesse la penna un quarto d'ora prima. Bene... quando è già in ritardo di dieci minuti, si ricorda dell'appuntamento e corre su per le scale, fa sempre due gradini per volta, anche se sa che così arriva di sopra con la congestione e il batticuore... È sempre così tutte le volte che usciamo! Non può prenderseli con comodo? Non può muoversi in tempo e camminare tranquillamente? È pericoloso. Se fosse mio marito gli parlerei una volta sul serio, mamma...»
Vestita di seta cangiante, come voleva la moda, sedeva sul sofà di fianco a sua madre, che indossava un abito più severo di seta grigia, a righe, guarnito di pizzi neri. I lembi della cuffia di pizzo e tulle rigido, uniti sotto il mento con un nastro di raso, le ricadevano sul petto. I capelli lisci erano immutabilmente biondo-rossi. Fra le mani bianche e delicatamente venate d'azzurro teneva una borsetta pompadour. Accanto a lei, in poltrona, sedeva Tom e fumava una sigaretta, mentre Clara e Thilda sedevano vicino alla finestra, l'una di fronte all'altra. Era incomprensibile come facesse la povera Klothilde a mangiare ogni giorno cibi buoni e sostanziosi senza alcun profitto. Diventava sempre più magra, e il suo abito nero, tagliato nel modo più semplice, non poteva certo abbellirla. Nel suo lungo viso quieto, grigio sotto i capelli lisci color cenere, c'era un naso dritto e poroso che ingrossava in punta...
«Credete che non pioverà?» disse Clara. Aveva l'abitudine di non alzare mai la voce quando poneva una domanda; e guardava ciascuno in faccia con occhi decisi e piuttosto severi. Il suo abito marrone non aveva altro ornamento che un collettino bianco inamidato e i polsini uguali. Sedeva diritta, con le mani in grembo. La servitù la temeva più di tutti; erano affidate a lei le devozioni mattutine e serali, perché il console non poteva più leggere ad alta voce senza che gli venisse mal di testa.
«Prendi la mantellina per stasera, Tony?» domandò ancora Clara. «Pioverà. Peccato per la mantellina nuova. Credo che sarebbe meglio se rinunciaste alla passeggiata...»
«No,» rispose Tom; «vengono i Kistenmaker. Non è nulla... il barometro è sceso troppo all'improvviso... ci sarà un piccolo acquazzone, un rovescio... una cosa breve. Tanto, papà non è ancora pronto. Potremo aspettare tranquillamente che sia passata.»
La moglie del console sollevò una mano come per difendersi. «Credi che ci sarà un temporale, Tom? Oh, lo sai che mi fa paura.»
«No,» disse Tom. «Questa mattina al porto ho parlato con il capitano Kloot. Quello è infallibile. Ci sarà solo un po' di acquazzone... senza vento forte.»
Quella seconda settimana di settembre aveva portato una tardiva canicola. Col vento di sud-sudest, l'estate pesava sulla città peggio che in luglio. Uno strano cielo azzurro cupo aveva brillato sui frontoni, scialbo all'orizzonte, come nei deserti; e dopo il tramonto, nelle strade strette, le case e i marciapiedi avevano emanato un calore cupo, come stufe. Quel giorno il vento s'era voltato, da ponente, e il barometro era calato d'improvviso... Gran parte del cielo era ancora azzurra, ma vi si ammassava lentamente una folla di nuvole grigio azzurre, spesse e morbide come cuscini.
Tom soggiunse: «Io trovo, del resto, che se piovesse sarebbe un'ottima cosa. C'è da soffocare, se dobbiamo andare a passeggio con quest'aria. È un caldo innaturale. Non l'ho mai provato neanche a Pau...»
In quel momento entrò Ida Jungmann, con la piccola Erika per mano. La bimba venne avanti nel suo abitino di cotone inamidato di fresco, spandendo un profumo di amido e di sapone, ed era molto buffa. Aveva la carnagione rosea e gli occhi del signor Grünlich; ma il labbro superiore era quello di Tony.
La buona Ida era già tutta grigia, quasi bianca, benché avesse passato appena la quarantina. Ma era una cosa della sua famiglia; anche lo zio, quello morto di singhiozzo, aveva già a trent'anni tutti i capelli bianchi; gli occhi piccoli e marroni di Ida erano fedeli, vivaci e attenti. Stava con i Buddenbrook ormai da vent'anni e sentiva con orgoglio quanto fosse indispensabile. Sorvegliava la cucina, la dispensa, la biancheria e le porcellane, faceva le compere più importanti, leggeva alla piccola Erika, le cuciva i vestiti per le bambole, lavorava con lei, e a mezzogiorno, armata di un pacchetto di panini imbottiti, l'andava a prendere a scuola per portarla a passeggio sul Mühlenwall. Tutte le signore dicevano alla moglie del console o a sua figlia: «Che ragazza ha lei, cara! Vale tant'oro quanto pesa, glielo dico io! Vent'anni!... e a sessanta e più in là sarà ancora in gamba! È gente robusta... e poi quegli occhi fedeli! La invidio proprio, - cara!» Ma Ida Jungmann si teneva su. Sapeva chi era, e se sul Mühlenwall una qualsiasi domestica veniva a sedersi col bambino sulla sua stessa panchina e cercava di attaccar discorso, la signorina Jungmann diceva: «Erika, tesoro, qui c'è corrente,» e se ne andava.
Tony trasse a sé la figlioletta e la baciò sulle guancine rosee, poi la nonna le tese il palmo della mano con un sorriso un po' distratto... poiché stava osservando ansiosa il cielo che diveniva sempre più buio. Con la sinistra tamburellava nervosa sul cuscino del sofà, e i suoi occhi chiari si volgevano inquieti alla finestra.
Erika ebbe il permesso di sedere di fianco alla nonna, e Ida si pose su una seggiola, senza sfiorare lo schienale, e continuò a lavorare all'uncinetto. Così rimasero tutti, in silenzio, aspettando il console. L'aria era cupa. Di fuori, l'ultimo pezzo di azzurro era sparito e il cielo grigio pesava basso, scuro e gravido di pioggia. I colori della stanza, le tinte dei paesaggi sugli arazzi, il giallo dei mobili e delle tende erano spenti, non v'era più gioco cangiante di seta sull'abito di Tony e gli occhi delle persone erano senza splendore. E il vento, il vento di ponente che fino a un attimo prima aveva giocato tra gli alberi intorno alla chiesa di Santa Maria e sollevato la polvere in piccoli vortici per la strada buia, era caduto. Ci fu un istante di assoluto silenzio.
Allora, improvviso, giunse il momento... accadde qualcosa di muto, spaventoso. L'afa sembrò raddoppiata, l'atmosfera sembrò gravare con una pesantezza che, rapidamente crescente nello spazio di un secondo, angosciava il cervello, premeva sul cuore, toglieva il respiro... giù in strada una rondine volò così bassa che le ali toccarono il selciato... E quella pesantezza inesplicabile, quella tensione, quell'oppressione crescente dell'organismo sarebbe divenuta insopportabile se fosse durata ancora una frazione di secondo, se, raggiunto il culmine, la tensione non si fosse sciolta d'improvviso, se non fosse accaduto un subitaneo passaggio... una minuscola rottura liberatrice che in qualche luogo si compì, inudibile, e che tuttavia si credette di udire... se in quello stesso momento, senza quasi che alcuna goccia lo preannunziasse, non fosse scrosciata giù d'improvviso la pioggia, così che l'acqua spumeggiò nei rigagnoli e schizzò alta sui marciapiedi...
Thomas, che la malattia aveva abituato a cogliere attento i messaggi dei suoi nervi, in quello strano secondo s'era chinato, aveva portato la mano verso il capo e gettato via la sigaretta. Si guardò in giro: se mai anche gli altri avessero sentito e còlto. Gli parve di notare qualcosa in sua madre; gli altri non sembravano essersi accorti di nulla. Ora la moglie del console guardava la pioggia che cadeva fitta, velando completamente la chiesa di Santa Maria, e mormorò: «Dio sia ringraziato.»
«Ecco,» disse Tom. «In due minuti rinfrescherà. Non si potrà star fuori, adesso, gli alberi saranno tutti gocciolanti; prenderemo il caffè nella veranda. Thilda, per piacere, apri la finestra.»
Il rumore della pioggia entrò più forte. Era un vero fragore. Tutto scrosciava, frusciava, grondava e spumeggiava. Il vento s'era di nuovo levato e investiva allegro il fitto velo d'acqua, lacerandolo e scagliandolo intorno La frescura aumentava.
In quella arrivò di corsa dal vestibolo a colonne Line, Line la cameriera, e irruppe nella sala così a precipizio che Ida Jungmann esclamò piena di rimprovero e preoccupata della quiete turbata: «Ma dico!...»
Gli occhi azzurri e inespressivi di Line erano sgranati; mosse per un momento le labbra senza riuscire a parlare...
«Oh, signora, venga, venga subito per carità... o Dio, che spavento...!»
«Ma bene,» disse Tony, «ha di nuovo rotto qualcosa! Certo della porcellana più fine! No, mamma, il tuo personale di servizio...!»
Ma la ragazza proruppe atterrita: «Oh no, Madame Grünlich... fosse solo questo... è il signore, e io volevo portargli gli stivali, e il signor console è sulla poltrona e non può parlare e soffia soltanto, e credo che non stia bene, perché il signor console è tutto giallo...»
«Da Grabow!» esclamò Thomas e la spinse fuori.
«Dio mio! O Dio mio!» gridò la moglie del console, prendendosi il viso fra le mani e correndo via...
«Da Grabow... con una carrozza... subito!» ripeté Tony senza fiato. Si precipitarono giù per le scale, attraverso la saletta della colazione, nella camera da letto.
Ma Johann Buddenbrook era già morto.

Theodor Storm              Novelle              Milano, BUR, 2005


“Una confessione “ pag. 407 : interessante introduzione del tema dello spiritismo e dell’orrido ( vedi il riferimento al pittore svizzero Fussli ). Vedi anche “ Il cavaliere del cavallo bianco “; la scena finale della morte del protagonista, travolto dalla marea che ha distrutto la diga, assomiglia al racconto di Poe “ Metzengerstein “, salvo che qui si tratta di una morte eroica e di un eroe “ buono “.


domenica 13 maggio 2012

Scheda Théophile Gautier







Théophile Gautier      Le capitaine Fracasse             Paris, Nelson, s. d.
                                           ( 1863 )



La descrizione del castello del barone di Sigognac ricorda quello di lord Ravenswood ne La sposa di Lammermoor di Walter Scott, così come il personaggio del servitore di Sigognac ricorda il maggiordomo dello stesso lord.
La donna fatale ( malvagia ) è qui la nobile e bellissima Yolande de Foix : ( pag. 88 ) “ … la jeune Yolande de Foix apparut au milieu du chemin dans toute sa splendeur de Diane chasseresse. “ Il suo carattere è decisamente sadico, ella ci appare come un’amazzone che per farsi ammirare non esita a frustare inutilmente il proprio cavallo e a fargli compiere varie acrobazie tra il plauso dei cavalieri. In seguito, ospite del marchese de Bruyères insieme al barone di Sigognac, ella mostra la perfidia del proprio animo nella gelosia mista a invidia che concepisce nei confronti dei due innamorati Sigognac e la commediante Isabelle.
Cap. X “ Una testa nella finestrella “ ( UNE TÊTE DANS UNE LUCARNE ), scena d’amore da manuale ( ma in verità abbastanza commovente e sicuramente affascinante per il lettore comune ) tra Sigognac e Isabelle : lui in atto di adorazione ai piedi di lei, e lei in atteggiamento pudico, nobile e compassionevole nei confronti dell’innamorato che desidera sia casto ma appassionato sempre.
“ Bien que timide, Sigognac était jeune. Ces charmants aveux qui n’eussent rien appris à un fat, le remplissaient d’une ivresse délicieuse et le troublaient au dernier point. Une vive rougeur montait à ses joues ordinairement si pâles ; il lui semblait que des flammes passaient devant ses yeux ; les oreilles lui tintaient et il sentait jusque dans sa gorge les palpitations de son cœur. Certes, il ne mettait point en doute la vertu d’Isabelle, mais il croyait qu’un peu d’audace triompherait de ses scrupules ; il avait entendu dire que l’heure du berger une fois sonnée ne revient plus. La jeune fille était là devant lui dans toute la gloire de sa beauté, rayonnante, lumineuse pour ainsi dire, âme visible, ange debout sur le seuil du paradis d’amour ; il fit quelques pas vers elle et l’entoura de ses bras avec une ardeur convulsive. Isabelle n’essaya pas de lutter ; mais, se penchant en arrière pour éviter les baisers du jeune homme, elle fixa sur lui un regard plein de reproche et de douleur. De ses beaux yeux bleus jaillirent des larmes pures, vraies perles de chasteté qui roulèrent le long de ses joues subitement décolorées jusque sur les lèvres de Sigognac ; un sanglot comprimé gonfla sa poitrine, et tout son corps s’affaissa comme si elle eût été près de s’évanouir. Le Baron éperdu la posa sur un fauteuil et, s’agenouillant devant elle, lui prit les mains qu’elle lui abandonnait, implorant son pardon, s’excusant sur une fougue de jeunesse, sur un moment de vertige dont il se repentait et qu’il expierait par la soumission la plus parfaite. “
II vol. pag. 37, riappare Yolande de Foix in tutto lo splendore della donna fatale.
Pag. 98 : ritratto di Jacquemin Lampourde. Decisamente Gautier è inimitabile, la sua penna, che è come il pennello d’un ritrattista, è di un’efficacia irraggiungibile. I suoi imitatori italiani, ad es. Barrili e lo stesso De Amicis, sono apprendisti di fronte all’insuperabile maestro.
“ Ce n’était point un Adonis que Jacquemin Lampourde, bien qu’il se prétendît favorisé des femmes autant que pas un, et même, à l’entendre, des plus hautes et mieux situées. Sa grande taille dont il tirait fierté, ses maigres jambes héronnières, son échine efflanquée, sa poitrine osseuse et cardinalisée à la boisson, qu’on voyait en ce moment par sa chemise entr’ouverte, ses bras de singe assez longs pour qu’il pût nouer ses jarretières sans presque se baisser, ne composaient pas un physique bien agréable ; quant à sa figure, un nez prodigieux qui rappelait celui de Cyrano de Bergerac, prétexte de tant de duels, y occupait la place la plus importante. Mais Lampourde s’en consolait avec l’axiome populaire : "Jamais grand nez n’a gâté visage." Les yeux, quoique brouillés encore d’ivresse et de sommeil, avaient dans leurs prunelles de froids éclairs annonçant le courage et la résolution. Sur les joues décharnées deux ou trois rides perpendiculaires, pareilles à des coups d’épée, dessinaient leurs lignes rigides qui n’étaient pas précisément des nids d’amours. Une tignasse de cheveux noirs fort emmêlée pleuvait autour de cette physionomie bonne à sculpter sur un manche de violon et dont personne cependant n’avait envie de se moquer tant l’expression en était inquiétante, narquoise et féroce.
Pag. 129 : il gusto per la descrizione che domina tutto il romanzo avvicina lo stile di Gautier a quello dei romanzieri ellenistici, ad es. Achille Tazio ed Eliodoro. Anche il romanzo di Tazio è un seguito assai copioso di quadri e di varie immagini.
Pag. 154-155, il duca di Vallombreuse è un energumeno apollineo agitato da una passione vulcanica, terribile come una fiera, non è un dongiovanni mediocre e pusillanime come don Rodrigo ne I promessi sposi, pertanto è decisamente un personaggio da romanzo mentre quello di Manzoni è senza dubbio più vicino alla realtà. Come don Rodrigo, predispone il rapimento di Isabelle, ma con un trasporto assai più fiero e deciso. Egli è il don Giovanni invincibile, che ha già avuto quasi infinite prove della sua potenza irresistibile, cosa che non si può certo dire di don Rodrigo, che appare in confronto a lui decisamente un conquistatore da strapazzo. Direi che per il suo ardimento e ostinazione si può avvicinare al Tersandro del romanzo di Achille Tazio. D’altronde egli è “ beau comme un ange et méchant comme un diable “ ( pag. 169 ).
Cap. XV, pag. 185, segg. : rapimento d’Isabelle. Altro topos del romanzo classico, basti pensare a I promessi sposi. Il romanzo ellenistico ne fornisce numerosi esempi ( Leucippe viene rapita più volte nell’opera di Achille Tazio ).
La descrizione del castello dove Isabelle è prigioniera, assai accurata, risulta tuttavia meno efficace di quella del castello dell’Innominato ne I promessi sposi. Anche se i particolari come al solito sono evidenziati con tratti di pittore, il tutto risulta appunto meno pittoresco.
“ Isabelle, restée seule dans cette chambre inconnue où le péril pouvait surgir d’un moment à l’autre sous une forme mystérieuse, se sentait le cœur oppressé d’une inexprimable angoisse, quoique sa vie errante l’eût rendue plus courageuse que ne le sont ordinairement les femmes. Le lieu n’avait pourtant rien de sinistre dans son luxe ancien mais bien conservé. Les flammes dansaient joyeusement sur les énormes bûches du foyer ; les bougies jetaient une clarté vive qui, pénétrant jusqu’aux moindres recoins, en chassait avec l’ombre les chimères de la peur. Une douce chaleur y régnait, et tout y conviait aux nonchalances du bien-être. Les peintures des panneaux recevaient trop de lumière pour prendre des aspects fantastiques, et, dans son cadre d’ornementations au-dessus de la cheminée, le portrait d’homme remarqué par Isabelle n’avait pas ce regard fixe et qui cependant semble vous suivre, si effrayant chez certains portraits. Il paraissait plutôt sourire avec une bonté tranquille et protectrice, comme une image de saint qu’on peut invoquer à l’heure du danger. Tout cet ensemble de choses calmes, rassurantes, hospitalières ne détendait point les nerfs d’Isabelle, frémissants comme les cordes d’une guitare qu’on vient de pincer ; ses yeux erraient autour d’elle, inquiets et furtifs, voulant voir et craignant de voir, et ses sens surexcités démêlaient avec terreur, au milieu du profond repos de la nuit, ces bruits imperceptibles qui sont la voix du silence. Dieu sait les significations formidables qu’elle leur attribuait ! Bientôt son malaise devint si fort qu’elle se résolut à quitter cette chambre si éclairée, si chaude et si commode pour s’aventurer par les corridors du château, au risque de quelque rencontre fanstasmatique, à la recherche de quelque issue oubliée ou de quelque lieu de refuge. Après s’être assurée que les portes de sa chambre n’étaient point fermées à double tour, elle prit sur le guéridon la lampe que le laquais y avait laissée pour la nuit, et l’abritant de sa main elle se mit en marche.
Pag. 204 ( cap. XVI ) : l’esplorazione del castello da parte di Isabelle ricorda la fiaba di Barbablù.
Pag. 209 : semplice coincidenza, ma i nomi dei rapitori di Isabelle rammentano i nomignoli dei bravi ne I promessi sposi : “ Piedgris, Tordgueule, la Rapée et Bringuenarilles “ rispondono a soprannomi grotteschi come lo Sfregiato, il Tiradritto, il Grignapoco, il Nibbio. E’ evidente che nonostante la sua polemica contro il romanzesco, il Manzoni vi ricorre proprio come a una risorsa indispensabile e tipica ovviamente dei romanzi di cappa e spada. Naturalmente il suo modello è Walter Scott.
Pag. 223 : sempre nel castello dove Isabelle è stata rapita, mentre ella dorme nella stanza ove è prigioniera, si parla del duca di Vallombrosa. Egli ha le caratteristiche morali di don Giovanni : “ … il éprouvait, en dehors de la volupté, un certain plaisir pervers à se jouer de toute loi divine et humaine “.
Pag. 233 : Isabelle ricorda un po’ l’atteggiamento e la situazione di Elena a Troia : “ … elle s’en voulait d’être la cause de ces conflits, et maudissait presque sa beauté, origine de tout le mal.
Pag. 237 : Malartic e compagni sono figure grottesche e comiche. Vedi la battuta umoristica di Malartic all’esclamazione di La Râpée (“ J’aimerais mieux, répondit l’ivrogne, deux balles dans la tête qu’une pinte d’eau sur l’estomac. “ )
Pag. 239 : il duca di Vallombrosa è un don Rodrigo superdotato, la sua morale però è quella dell’Innominato.
Le soir était venu. Les laquais allumèrent les bougies, et bientôt le majordome parut annonçant la visite du duc de Vallombreuse. Il entra sur les pas du valet et salua sa captive avec la plus parfaite courtoisie. Il était vraiment d’une beauté et d’une élégance suprêmes. Son visage charmant devait inspirer l’amour à tout cœur non prévenu. Une veste de satin gris de perle, un haut-de-chausses de velours incarnadin, des bottes à entonnoir en cuir blanc remplies de dentelles, une écharpe de brocart d’argent soutenant une épée à pommeau de pierreries faisaient merveilleusement ressortir les avantages de sa personne, et il fallait toute la vertu et constance d’Isabelle pour ne point en être touché.
E’ il malvagio superuomo, assai simile al faraone nel Roman de la momie : “ Eh bien, fit le duc avec un geste d’insouciance hautaine, je me passerai de l’espoir et me contenterai de la réalité. Vous ne savez donc pas, pauvre enfant, ce que c’est que Vallombreuse, vous qui essayez de lui résister. Jamais désir inassouvi n’est rentré dans son âme ; il marche à ce qu’il veut sans que rien le puisse fléchir ou détourner : ni larmes, ni supplications, ni cris, ni cadavres jetés en travers, ni ruines fumantes ; l’écroulement de l’univers ne l’étonnerait pas, et sur les débris du monde il accomplirait son caprice. N’augmentez pas sa passion par l’attrait de l’impossible, imprudente qui faites flairer l’agneau au tigre et le retirez.
Per lui sarebbe perfettamente calzante l’ironico paragone a Catilina che noi troviamo ne I promessi sposi a proposito della fuga a Milano di don Rodrigo. Ricordiamo Cicerone, In Catilinam prima, 9, 22 : “ Neque enim is es, Catilina, ut te aut pudor a turpitudine aut metus a periculo aut ratio a furore revocarit. “
Cap. XVII : “ La bague d’améthyste “, pag. 245 : entrata in scena di Sigognac tipica dei romanzi d’appendice. La donzella grida il suo nome e l’eroe dicendo “ eccomi “ si presenta fulmineamente a liberarla.
Pag. 268 : arrivo del principe, padre del duca di Vallombrosa, al castello. Il suo aspetto richiama la figura dell’Innominato de I promessi sposi, segno evidente che si tratta di una figura “ standard “, quella dell’eroe ormai anziano, ma che mantiene intatta la sua dignità e autorità ( NB : veste di nero come l’Innominato ) :
“ Bientôt parurent quatre laquais à grande livrée, portant des cires allumées avec cet air impassible et cet empressement muet qu’ont les valets de noble maison. Derrière eux, montait un homme de haute mine, vêtu de la tête aux pieds d’un velours noir passementé de jayet. Un ordre, de ceux que se réservent les rois et les princes, ou qu’ils n’accordent qu’aux plus illustres personnages, brillait à sa poitrine sur le fond sombre de l’étoffe. Arrivés au palier, les laquais se rangèrent contre le mur, comme des statues portant au poing des torches, sans qu’aucune palpitation de paupière, sans qu’un tressaillement de muscles indiquât en aucune façon qu’ils aperçussent le spectacle assez singulier pourtant qu’ils avaient sous les yeux. Le maître n’ayant point encore parlé, ils ne devaient pas avoir d’opinion.
Le seigneur vêtu de noir s’arrêta sur le palier. Bien que l’âge eût mis des rides à son front et à ses joues, jauni son teint et blanchi son poil, on pouvait encore reconnaître en lui l’original du portrait qui avait attiré les regards d’Isabelle en sa détresse, et qu’elle avait imploré comme une figure amie. C’était le prince père de Vallombreuse. Le fils portait le nom d’un duché, en attendant que l’ordre naturel des successions le rendît à son tour chef de famille.
Pag. 276 : L’espressione “ chose étrange que le coeur humain “ ricorda quella manzoniana del guazzabuglio del cuore umano, altra evidente espressione stereotipata.
Pag. 281 : come nei romanzi ellenistici abbiamo un esempio di ekfrasis nella descrizione della camera da letto del duca di Vallombrosa ( ferito ). Il soggetto mitologico rappresentato sulla parete è la leggenda di Medea e Giasone, con i vari episodi ricordati soprattutto da Ovidio nelle sue Metamorfosi : “ … entrons dans la chambre où les domestiques ont déposé Vallombreuse. Un chandelier à plusieurs branches, posé sur un guéridon, l’éclairait d’une lumière dont les rayons tombaient sur le lit du jeune duc, immobile comme un cadavre, et qui semblait encore plus pâle sur le fond cramoisi des rideaux et aux reflets rouges de la soie. Une boiserie d’ébène, incrustée de filets en cuivre, montait à hauteur d’homme et servait de soubassement à une tapisserie de haute lice représentant l’histoire de Médée et de Jason, toute remplie de meurtres et de magies sinistres. Ici, l’on voyait Médée couper en morceaux Pélias, sous prétexte de le rajeunir comme Eson. Là, femme jalouse et mère dénaturée, elle égorgeait ses enfants. Sur un autre panneau, elle s’enfuyait, ivre de vengeance, dans son char traîné par des dragons vomissant le feu. Certes, la tenture était belle et de prix, et de main d’ouvrier ; mais ces mythologies féroces avaient je ne sais quoi de lugubre et de cruel qui trahissait un naturel farouche chez celui qui les avait choisies. Dans le fond du lit, les rideaux relevés laissaient voir Jason combattant les monstrueux taureaux d’airain, défenseurs de la Toison d’or, et on eût dit que Vallombreuse, gisant inanimé au-dessous d’eux, fût une de leurs victimes.
Cap. XX, pag. 337 : si cita Margherita di Navarra e il supplizio del De La Mole e Coconnas : l’episodio era evidentemente assai romanzesco se costituisce uno dei motivi di fondo dell’amore di Mathilde de la Mole per Julien Sorel ( Le rouge et le noir di Stendhal ) e il titolo del romanzo di Dumas La regina Margot.
Il finale del romanzo è scontato : Sigognac e Isabelle si sposano e vissero felici e contenti. La nota curiosa è la morte del gatto Béelzébuth per indigestione e il ritrovamento di un tesoro durante lo scavo per il suo seppellimento.

martedì 1 maggio 2012

L’amato sogno





L’amato sogno d’un tempo di nuovo
tra questo bosco sorge e corre lieve
ninfa nell’aria, sì che più mi trovo
preso da laccio malioso e breve,

e gli alberi ondeggianti sopra i monti
e il vento e il cielo luminoso e terso
suscitano anche, quali fresche fonti,
l’animo antico, che non è mai perso.

L’animo antico, alto e luminoso,
soave e rapito in estasi arcane,
l’animo bello, nobile, radioso,

che di speranze si diletta vane,
ma vi permane, e non ha riposo,
solo si regge, forte e generoso.


Ora vedo con gli occhi del passato
un viso di fanciulla e un corpo antico
di grazia e di bellezza, tanto amato
non sapevo da me, per me non dico.

Taccio come tacqui inconscio allora,
forse mentendo a lei ed a me stesso,
ché nel rapido correre dell’ora
fuggì pubertà nel viso riflesso.

Fugaci occhi di fanciulla ignara,
occhi colmi d’un cruccio onnipotente,
dolce fu bere la bevanda amara,

dolce è berla ancora nel presente.
Ah, tu non sai, non saprai mai … serrato
fu il cuore e volò muto il fiato.


Come sei bella, fanciulla, chiusa
ancora nel tuo intimo serio, greve
di futuri abbandoni, ma schiusa
già al raggio d’Amore più lieve.

Com’è tenero e candido il viso,
rosee le guance e le pupille nere
timide e ardite, a volte fiere
splendono, a volte celano il sorriso.

Pudica e dolce guardi e non osi,
non osi ancora eleggere l’amante
che in sogno baci quando ti riposi.

Ma sei tu al mio cuore vagante
causa ignara di palpiti amorosi;
a me che vago sono ed ora errante.


Un viso scorsi ( ora certo deliro )
nella più dolce età d’un dolce Maggio,
quando ero assai più forte e ancora saggio,
tenendole la mano in un sospiro.

Silenti selve intorno al fresco prato
florido d’erbe e rorido trifoglio …
( ora non è se non cosa che voglio
disacerbare in un raro passato ).

Rivo fra giunchi avido corrente,
ed ebra gioia sulla landa estiva,
fra rade nubi una sete ardente

di baci e alla bocca la fonte viva
d’errante insidia, melodiosamente;
ma il sogno nega ch’altri lo descriva.


Dolce ricordo è del passato, quando
la vita è una musica ascoltata
e i suoni sono immagini di fata,
quali vengono e vanno, danzando.

La musica soave ammaliando
reca il sospiro ignaro dell’amata
ignota, come melodia ispirata
misteriosamente fluttua, sognando.

E vaga entro una valle ombrosa
dove scorre sinfonia di cori
d’acque e di api, piana o lamentosa,

ed ove il vento sperde antichi amori;
e quindi rifiorisce fresca rosa
nei petali raggiante e odorosa.