venerdì 30 dicembre 2016

Edipo e l'enigma

Ora ella appariva sulla terrazza, al chiarore lunare, volta all'orizzonte stellato e al mare infinito.
Il suo viso era un opale velato dall'ombra, la sua chioma la nera brezza aspra, ella respirava profondamente, lentamente, il fresco alito notturno. Inviolata, come un fiore negli abissi, ella appariva, irraggiungibile.
A un tratto, ella lo colse in un bagliore, e gli occhi avvamparono come un rogo, e un'onda impetuosa, vasta e furente lo abbatté invadendolo, scuotendo e sradicando tutto il suo essere. Come una fiera lo avvinse tra i suoi artigli ed egli restò pietrificato, preda senza scampo.
Rimase innanzi all'immagine di Medusa, colto da un terrore dolcissimo.
Poi le ombre si distesero, l'onda si ritrasse, il buio si chiuse. Ed egli non vide più nulla se non il deserto del silenzio e del mare e del cielo nero sparso di fuochi, come un'immensa pianura costellata dai bivacchi e dalle veglie, prima d'una battaglia.
Ma udì allora la sua voce librarsi sulle onde, dilatarsi entro l'ampia conca del lido come l'eco murmureo nelle conchiglie, come il fluitare armonioso della sua chioma vibrante nel buio lucido dell'aria salmastra ed ebbra dell'effluvio salino. E ne echeggiavano i colli intorno e le piane silenti nel sonno, e ne echeggiava l'anima di lui, mentre la contemplava.
Ed era bella della bellezza della notte, il suo corpo avvolto dal profumo dei suoi capelli.
Ma egli aveva visto ciò che non doveva vedere, intuito ciò che non doveva sapere. Era ormai indegno di ogni rivelazione e inutilmente avrebbe tentato l'oracolo.

giovedì 29 dicembre 2016

Patria

Nella città una sola casa,
fra tante strade un solo sentiero,
di molte montagne una sola vetta,
una sola patria c'è nel grande mondo
tra tanti uomini forse un solo amico,
ed ogni gente parla la sua lingua,
nella diversità c'è l'uguaglianza
che ci accomuna ed anche ci distingue.
Non separare quello che riunisce
non unire quello che separa
è un consiglio saggio, attecchisce
non ogni pianta sotto i vari cieli.
Di molti opposti è fatta l'unità
ed una storia di molti destini,
e il tempo passa sopra molte storie
e molte tombe sotto vari fiori,
e s'apre nella morte anche la vita.

giovedì 8 dicembre 2016

Sete

J'ai tant fait patience
Qu'à jamais j'oublie.
Craintes et souffrances
Aux cieux sont parties.
Et la soif malsaine
Obscurcit mes veines.

A. Rimbaud
Chanson de la plus haute tour “




I

E, piangendo, vidi l'oro
e non potei bere.
Sognai la bella nel bosco dormente
un'ancella del respiro nascente,
mi colse il suo sorriso
nell'attimo di là dalla riva
nella notte che non s'avvera
fra la schiera delle fuggenti forme,
come una morta innamorata
mi lasciò, regina dolce amara.


II

O gelata effigie della vita,
tempio dell'inetto pianto,
come duomo su colle solitario
s'innalza nero nella pioggia,
entro scintilla di lumi,
ed ella vaga in una danza
d'incantesimi colma ed estasi.

Così sempre un diluvio crescente,
l'acqua fluisce, scaturita
dalle ferite aperte del cielo.

venerdì 25 novembre 2016

Prévost, Manon Lescaut

Prévost       Manon Lescaut ( 1731 )        Paris, Flammarion, 1995



Nella prefazione l'autore afferma che l'opera ha un chiaro intento moralistico e si prefigge di insegnare la virtù mediante la narrazione delle avventure d'un uomo dotato di ogni virtù, ma propenso al disordine e al vizio.
P. 51-65, prèmiere partie. Incontro con la donna fatale in catene e il suo amante che la segue dovunque nonostante la presenza delle guardie che la sorvegliano.
La donna è bellissima anche se malvestita ed è dotata di un fascino straordinario, nonostante il contegno umile.
La storia dell'amore del cavaliere Des Grieux per Manon viene narrata in un secondo incontro anni dopo. L'amore fulmineo dei due, la loro fuga da Amiens dove la ragazza era destinata al convento e la loro vita insieme a Parigi tradiscono la vera natura di Manon che si rivela a poco a poco inquietante. A Parigi Des Grieux viene prelevato dal fratello maggiore e da uno stuolo di servi.
P. 73. Il padre cerca di convincerlo della doppiezza di Manon che lo ha tradito e denunciato a un suo amante il quale a sua volta ha riferito tutto a lui stesso, ma il ragazzo non può rassegnarsi. “ Ma la sua immagine, i tratti graziosi che io portavo in fondo al cuore, vi rimanevano sempre. Lo sentivo bene. Posso morire, mi dicevo; anzi dovrei, dopo tanta onta e tanto dolore; ma soffrirei mille morti senza poter dimenticare l'ingrata Manon. “ ( “ Mais son image, ses traits charmants que je portais au fond du cœur, y subsistaient toujours. Je le sentais bien. Je puis mourir, disais-je; je le devrais même, après tant de honte et de douleur; mais je souffrirais mille morts sans pouvoir oublier l'ingrate Manon. “ )
In seguito il giovane cavaliere decide di proseguire i suoi studi in seminario e di attendere alla carriera ecclesiastica, ma un bel giorno, durante un saggio dei suoi progressi in teologia tenuto dinanzi al pubblico, viene avvicinato da Manon che lo distoglie dai suoi propositi e lo induce a vivere di nuovo con lei. I due si ritirano a Chaillot, contando sulla rendita di Manon, che ha accumulato una certa fortuna prostituendosi a un ricco signore. Ma un incendio della casa, mentre la coppia è a Parigi, getta nello sconforto il protagonista, che ha perso tutto il denaro durante lo scompiglio dell'incidente. E la soluzione, suggerita proprio dal fratello di Manon, è ancora quella di ricorrere alla prostituzione.
Ma i rovesci della fortuna non danno tregua. Des Grieux viene iniziato all'arte di barare al gioco ed accumula una discreta fortuna. Ma i due servi della coppia giocano a loro volta un brutto tiro ai due amanti. In loro assenza rubano ogni cosa e fuggono via dall'appartamento. Manon come rimedio decide di ricorrere ancora una volta alla prostituzione. Così, dopo aver tentato di ingannare un ricco e vecchio libertino, il protagonista finisce al riformatorio di Saint Lazare e Manon in un carcere femminile.
A Saint Lazare il suo rango e il comportamento esemplare gli procurano le simpatie del Padre Superiore che gli permette di incontrare gente di fuori. Dapprima Des Grieux incontra Tiberge ( l'amico del cuore ) che dopo una predica è alquanto sconcertato dal suo discorso in difesa dell'amore e del piacere secondo il punto di vista libertino. In seguito ottiene la visita del fratello di Manon e con lui medita la fuga. Si fa consegnare una pistola. Riesce ad evadere così dal riformatorio, ma durante l'azione è costretto a sparare a un inserviente, uccidendolo. La sua situazione ora è nettamente peggiorata, ma sembra non avvedersene, tutto preso dal desiderio di liberare Manon. Infatti viene a conoscenza del figlio di un amministratore del carcere femminile in cui si trova Manon. Riesce a fare amicizia con questo giovane gentiluomo propenso alle avventure e insieme a costui progetta la liberazione della giovane donna. Ella infatti viene facilmente liberata e i due si rifugiano a Chaillot dove vivono di espedienti. In questo periodo s'innamora di Manon un vecchio e brutto principe italiano che, dopo essere stato illuso, viene messo praticamente alla porta da Manon con un insolente stratagemma, non senza però avere gettato nuovamente in Des Grieux il seme torturante della gelosia ( p. 150 ).
P. 152-161. Non è finita. Fa la conoscenza di Manon il figlio del ricco libertino che aveva rinchiuso i due amanti in prigione, e si rivela subito un buon amico, soprattutto di Manon. Costui viene presentato dal figlio dell'amministratore del carcere, il giovane M. de T. già amico dei due, e dopo poco comincia a fare la corte a Manon. Des Grieux se ne accorge e prega Manon di allontanarlo, ma Manon, lusingata dalle sue offerte di denaro e di beni di lusso, escogita uno stratagemma per spillargli dei soldi. Tuttavia il progetto, che comporta la visita di lei al palazzo del giovane gentiluomo, il quale lo ha compreso tra i doni offerti alla donna, si tramuta in un vero e proprio tradimento nei confronti di Des Grieux, che viene lasciato ad attendere invano il suo ritorno in una via di Parigi. Qui viene raggiunto da una giovane e bella donna, inviata da Manon, per recapitargli una lettera di spiegazione. La rabbia, il dolore, la disperazione ne sono l'ovvia conseguenza.
Si reca allora da M. de T. per trovare una soluzione. I due decidono di allontanare temporaneamente il nuovo amante di Manon con un sotterfugio e Des Grieux può penetrare segretamente ( o quasi ) nel palazzo della sua ex maîtresse . La incontra e la trova sorpresa; dopo una scenata però è di nuovo succube di lei e ascolta ormai rapito la sua lunga, contorta e ipocrita giustificazione, degna di un personaggio di Machiavelli.
P. 170. Il comportamento di Manon in seguito alla richiesta di fuggire con lui da parte di Des Grieux è quello di una puttana, ella non vuole andarsene senza un po' di bottino. I due concertano di spassarsela a spese del giovane G. M. ma la cosa s'imbroglia e vengono così sorpresi insieme a letto dal vecchio G. M. venuto in soccorso del figlio, momentaneamente rapito per ordine di Des Grieux. Il vecchio G. M. li manda ambedue in prigione, al Châtelet. Qui Des Grieux corrompe il portinaio e fa assegnare a sé e alla sua bella due celle ben arredate.
P. 182. In prigione Des Grieux riceve la visita di suo padre, che, nonostante tutto, riesce ancora a commuovere e disporre in suo favore.
Il padre ottiene la sua liberazione, pregando di ciò il vecchio G. M. ma per Manon si dispone la partenza coatta per le Americhe. Allora Des Grieux si reca prima da Tiberge a chiedere una somma di denaro che ottiene subito ( tanto è buono l'amico ) e poi da M. de T. che, oltre a dargli altro denaro, gli consiglia di persuadere suo padre a intercedere in favore di Manon per impedirne la partenza di lì a due giorni.
P. 190-192. Des Grieux cerca di convincere suo padre a intercedere in favore di Manon presso il vecchio G. M., ma egli rifiuta. Al giovane non resta altro che tentare di liberare l'amata con un colpo di mano.
P. 196-198. Raduna una squadra di quattro soldati, ma il tentativo fallisce per la fuga di tre di loro. Rassegnatosi, Des Grieux decide di accompagnarsi alle guardie che scortano Manon ed altre prigioniere per l'imbarco verso l'America, dietro ovviamente il versamento d'una ingente somma di denaro. Corrotti i militi, può avvicinarsi a Manon e constatare le tristi condizioni nelle quali è stata ridotta, incatenata al carro.
P. 199. Immaginando la vita in America Des Grieux abbellisce i propri pensieri grazie al mito del buon selvaggio.
P. 203-204. I due giungono in America dopo l'imbarco e il viaggio sotto la protezione del capitano che li ha presi in simpatia. Il governatore di Nouvel Orléans li accoglie con benevolenza e favore, grazie alle raccomandazioni del capitano; i due amanti ricevono un alloggio ( misera capanna tra altre capanne ! ).
P. 208-210. In America sembra che la vita sorrida ai due amanti, ben voluti dal governatore e dai coloni. Ma a Des Grieux viene in mente purtroppo di regolarizzare con le nozze la loro unione e a questo punto le cose precipitano. Infatti erano stati ricevuti e creduti come marito e moglie e perciò la loro unione non era stata turbata, ma adesso tutto cambia e il nipote del governatore, innamorato di Manon da quando l'ha vista la prima volta, ardisce chiedere allo zio, che ha potere di vita e morte su tutti i membri della colonia, la mano di Manon. Il governatore, dal momento che Des Grieux e Manon sono solo amanti, acconsente al desiderio del nipote, e qui incominciano o meglio continuano i soliti guai. Des Grieux, mentre sta tornando alla capanna, incontra il nipote del governatore che lo sfida a duello e, apparentemente, ha la peggio e muore. I due amanti sono costretti alla fuga.
Durante la fuga nella solitudine d'una pianura selvaggia Manon soccombe alla fatica e muore dopo aver espresso per l'ultima volta il suo amore a Des Grieux. Il giovane disperato è costretto a procedere alla sua sepoltura per salvarla dall'oltraggio delle fiere e si determina a lasciarsi morire presso di lei. Viene ritrovato tuttavia dai coloni francesi messisi alle sue calcagna in seguito al duello, che, contrariamente a quanto pensava, non aveva condotto a morte il nipote del governatore. Quest'ultimo, con un atto di generosità, ne ottiene la grazia e, dopo lunga malattia, Des Grieux può continuare la sua vita nella colonia, anche se ossessionato per sempre dal ricordo di Manon. In seguito sbarca a Nuova Orléans l'amico Tiberge in cerca del giovane e i due si incontrano rinnovando la loro antica amicizia. Quindi Des Grieux decide di tornare con l'amico in Francia dove apprende con dolore la morte del padre. A Calais, a qualche lega dalla città si incontrerà con il fratello. Qui finisce il romanzo.

martedì 1 novembre 2016

Fuoco







E sorse Aurora dalle dita di rosa, diffuse il candido velo, e venne quale sposa dell'Oriente, come la regina dell'Austro curiosa di mirare l'inaudita sapienza di Salomone.
E fremettero i pini carichi di fronde al fresco effluvio d'aromi, quale un'ampolla preziosa che sparga alchimiche essenze. Candida e fresca come fonte cristallina, l'aria del mattino rise fra i rami degli ulivi argentei, tralucendo.
Gli alati stormirono nell'azzurro, e un lontano rumoreggiare, misto al tocco di campane, avvertì del risveglio del villaggio.
E i dardi del sole riscaldarono la terra, e i prati esalarono i vapori della rugiada, e le farfalle e le api si librarono a volo nel profumo dei fiori.
Il saggio, destatosi, mirò il disco del sole, rosso di sangue puro, e disse : “ Non esiste altra realtà. “
Ma il principe si allontanò dai fidati compagni e si incamminò verso oriente, fuggendo il tempo e le ombre.
Mentre saliva il sentiero della montagna, e il suo cuore si ostinava a salire, vide levarsi del vapore misto a brandelli di arso fogliame. Non comprendeva donde provenisse quel monito.
Quando giunse alla meta cui il suo cuore anelava e fu nella radura radiosa presso l'ombra degli alti pini, dove stridivano le cicale nell'ora sacra al grande dio Pan, allora s'accorse che il sentiero appena percorso era minacciato da voraci lembi di fuoco crepitanti, e crescevano e colmavano il cielo in un ampio boato.
Tentò quindi di scendere per il declivio e di tornare, ma le fiamme, ormai molto elevate, stavano già divorando gli alberi sulla via e i cespi di ginestra selvatica.
Il vento rinforzava, empiendo le lingue vermiglie, vaste vele correnti sovra la selva arida. L'incendio saliva velocissimo, un'ondata rombante, inondando il versante del monte in forma d'un braciere inesausto.
Si vide perduto, e si precipitò in corsa, ansimando, in preda al panico. Ma poi scorse una via di scampo, che conduceva ad un altro pendio della montagna.
Non cessò di correre, poi che le fiamme incalzavano. E tuttavia gli parve essere pervaso anch'egli da quelle fiamme cui sfuggiva in un balzo d'agile animale, e che quelle fiamme così alte e terrificanti e onnipotenti gli trasmettessero la propria forza e la vigoria della divinità.
E quando fu in salvo, giù per un altro sentiero, dopo una corsa ansiosa, e si volse a contemplare le torri di fumo denso e rossastro che empivano il cielo quasi estese nubi di tempesta, capì che per lui erano sorte e da quelle era stato purificato, ostia risparmiata dal sacrificio, e un dio gli aveva offerto quella gioia, serbata ai pochi, di sentirsi così vicino alla morte.
Vide levarsi dalla montagna l'assalto del dio vittorioso sul destriero splendido di crini accesi, asceso dalla terra alle folgori della tempesta, e il suo volto si perdeva nelle altezze.

giovedì 13 ottobre 2016

La battaglia




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Un'arena immensa era divorata su un fianco da maree incanutite che si squamavano sul pietrisco con croscii scissi.
Le sabbie, arse dal sole, barbagliavano accecanti. Il calore invetriava l'aria.
Molto lontano su di una collina si discerneva una casa bianca.
Un cavaliere montava un destriero d'ignota razza, dall'orbite di fuoco, che nitriva agitando il fortissimo collo velloso. Il cavaliere, ammantato d'una pelle di lupo montano, faceva roteare una mazza ferrata, serrandone l'impugnatura nella destra. Sulla sella era cinghiata saldamente una spada pesante.
Dietro lui rompeva le dune, ammorbando di fiotti di polvere, un esercito interminato, irto di picche e di bandiere, che sprigionava un frastornìo metallico.
Giovani dai biondi cimieri e dalle corazze scintillanti agitavano gli scudi, che ondavano come per i venti i campi di messi d'oro, in tutta la schiera gridando, e colpendoli con le aste impennacchiate presso la punta o annodate di orifiamme. Essi gridavano e inneggiavano al sole, e gioivano di forza, eccitandosi all'acre escrezione del sudore equino, che si mesceva al respiro salso del mare, e alla vista dell'interminabile legione di rossi vessilli crepitanti.
Essi avanzavano al rullo dei tamburi e allo squillo delle trombe che annunciavano la prossima battaglia. I loro cavalli, bianchi o fulvi o pezzati o neri, innitrivano e scotevano le criniere lanose e dilatavano le froge umide, gli oculi oscuri, lucidi e venati di sangue, indovinavano lo scontro devastatore.
Di fronte già si profilava una selva di picche, negra sovra le sabbie, e ormai un manto di morte si propagava con nubi grigie sospinte dal vento.
Sovra una rupe, che svettava come un pinnacolo, una donna contemplava gli eserciti avversi.
Da lontano i suoi occhi tenevano la sterile piana e si posavano sui gonfaloni di guerra. Ella era triste come avesse perduto per sempre un incanto di sogni e di gioia.
Una bianca stola aveva indosso e fluenti capelli fiammei, innanzi a lei ardeva un tripode ove bruciavano essenze. E mentre recitava preghiere in una lingua sconosciuta, rivolta al cielo minaccioso, le schiere nemiche s'affrontarono.
Un urlo insostenibile rimbombò sotto la volta funerea e uno schianto atroce straziò l'aria, un urto di lame squarcianti e di spietati arnesi bellici, mossi da mani bramose di vendetta.
Le file serrate sobbalzavano, s'arrestavano, assaltavano, cozzavano fra loro quali onde eccitate da spiri contrari, e tutta la pianura era invasa da un'alluvione assordante di colpi di maglio, di fragore di scudi, di grida orribili, un boato simile a quello d'un mare in tempesta.
E su quella tempesta traspariva, dietro il velo mortuario della nuvolaglia plumbea, il disco del sole, puro nel suo giro perfetto, in un candore lunare, quasi un sole notturno che sorga su regioni di tenebra, quasi un sole maligno che nutra dei suoi effluvi una terra di male.

E le apparve il principe sul cavallo nero.
Il suo volto dal rilievo marcato non sembrava rivelare alcuna emozione. Il sangue della vita non colorava il suo volto, pallido, dalle labbra serrate e violacee, dagli occhi grandi e impassibili quali d'un alato rapace, immobili, fissi nell'orizzonte infinito. Ogni passione era trascorsa senza infine mutare quella espressione aspra, implacabile e granitica, donde soltanto le pupille parevano dardeggiare un fuoco interiore, inestinguibile.
Egli brandì la rutilante spada insanguinata ergendo le braccia, e calò un fendente che sibilando sfiorò le ciocche castane riposanti sulla spalla della fanciulla.
E come il principe vide se stesso in lei ed ella si specchiò nell'oscurità dei suoi occhi, la luce pallida della luna attraversò la notte entro la sua pupilla senza fine.
La fanciulla era innanzi a lui, nella luminosità della bellezza. Egli guardò a lungo il corpo giovane e forte e ricco di vita, avvolto dalla tunica che aderiva alle forme nel soffio dei venti. Il petto si sollevava nel respiro, i capelli le ricadevano sovra le spalle robuste. Negli occhi egli scorse la sottomissione alla sua volontà e la fermezza dell'adempimento, vide la forte madre della progenie, non una femmina ribelle e proterva, invida della virilità, ma una donna degna di stare al suo fianco.
Ed egli ricordò d'averla già vista nel tempo della giovinezza trascorrere veloce, le chiome al vento, quando si era dileguata nell'ora del sole.
E vide la forte madre delle generazioni, la partoriente nel dolore, e chinò il volto.
E lo invase una grande pace, e l'oblìo calava sopra di lui come le ali della notte. E il suo cuore dolente lo allontanava.
E vide sovra il mare tempestoso, sovra l'innito delle ondate dilaniantisi, sull'oscuro ventre dell'abisso, la forte madre delle generazioni che lo chiamava a sé, e i suoi capelli erano aspidi nella tormenta.
E sotto il piede suo vide il serpente che s'attorceva in infinite spire, e tutte le vite umane prese dagli artigli del drago.
E pronunciò il santo nome di Proserpina, e s'appressò alla notte.

sabato 1 ottobre 2016

La via








Tutto passò. E seduto ammiravo
dall'avita campagna il verde dorso
del mare verso sera, già sognavo
d'una vita futura il dolce corso,

sedotto da una musica ascoltata
mi cullava quell'ora in un miraggio
d'incanto, una visione obliata
mai, sospiro eterno in un breve viaggio.

Ma non sapevo, non sapevo il nulla
che m'attendeva dopo, era brulla
la via ed un lento camminare,

le buche della strada ed occhi amenti,
la polvere che asseta labbra amare
ed il dispregio degli indifferenti.

martedì 6 settembre 2016

G. D'Annunzio, Il Fuoco






G. D'Annunzio                     Il Fuoco                  Milano, Mondadori, 1996

                                                ( 1898 )









Pag. 34, Stelio guardando nel pozzo vede il proprio Sé, l'immagine della Verità ( influsso del Buddismo e della religione indiana, cfr. Bhagavat-gita ) :



“ Stelio si soffermò al pozzo indicato dalla Foscarina; si chinò sul margine di bronzo, sentendo contro le sue ginocchia i rilievi delle piccole cariatidi, e scorse nel cupo specchio interiore il riflesso vago delle lontane stelle. Per qualche attimo la sua anima si isolò, si fece sorda ai rumori circostanti, si raccolse in quel cerchio di ombra donde saliva un tenue gelo che rivelava la muta presenza dell′acqua; e sentì la fatica della sua tensione e il desiderio d′essere altrove e il bisogno indistinto di trascendere pur quell′ebrezza che le ore notturne gli promettevano e, nell′ultima profondità del suo essere, un′anima segreta che a simiglianza di quello specchio d′acqua rimaneva immota estranea ed intangibile.

 – Che vedi? – gli chiese Piero Martello chinandosi anch′egli sul margine consunto dalle funi delle secchie secolari.

 – Il volto della Verità – rispose il maestro. “



Pagg. 48-49, Stelio, parlando alla folla radunata nel palazzo dei dogi, ha la rivelazione della “misteriosa volontà”, dell' “Idea eterna”, è chiaro l'influsso di Schopenhauer e del valore catartico dell'Arte attraverso la quale l'individuo trova l'oblio completo della propria effimera individualità e l'annullamento nella contemplazione della Volontà universale, della Voluntas-Noluntas.

La lettura del testo è faticosa, nondimeno attrae se centellinata, come affascina la voce di Tucidide, pure tanto diversa, ma colma dell'azione, della forza e del mistero del destino.



Pag. 51, I Centauri : cita un frammento di Pindaro sui centauri e la virtù del vino ( fr. 166 ). NB : influsso di Walter Pater, Il Rinascimento ( La scuola di Giorgione ), vedi Mario Praz, “ D'Annunzio e l'amor sensuale della parola “ in La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica.



‟ Tal sembra veramente a me la creazione d′arte compresa tra la giovinezza di Giorgione e la vecchiezza del Tintoretto. Essa è purpurea, dorata, opulenta ed espressiva come la pompa della terra sotto l′ultima fiamma del sole. Se io considero i creatori impetuosi di sì forte bellezza, mi si presenta allo spirito l′imagine che sorge da quel frammento pindarico: – Quando i Centauri conobbero la virtù del vino soave come il miele, che vince gli uomini, subito respinsero dalle lor mense il bianco latte; e s′affrettarono a bere il vino in corni d′argento.... – Nessuno al mondo conobbe e assaporò meglio di loro il vino della vita. Essi ne traggono una lucida ebrietà che moltiplica il lor potere e comunica alla loro eloquenza una energia fecondatrice. E nelle loro creature più belle il battito violento dei loro polsi sembra persistere a traverso i secoli come il ritmo stesso dell′arte veneziana. “



Pag. 94 e seg. : considerazioni sul teatro e sull'opera di Wagner. Contrapposizione tra lo spirito germanico e il genio latino. Seguono considerazioni e descrizioni a proposito del “Parsifal”.



“ – L′opera di Riccardo Wagner – egli rispose – è fondata su lo spirito germanico, è d′essenza puramente settentrionale. La sua riforma ha qualche analogia con quella tentata da Lutero. Il suo drama non è se non il fiore supremo del genio d′una stirpe, non è se non il compendio straordinariamente efficace delle aspirazioni che affaticarono l′anima dei sinfoneti e dei poeti nazionali, dal Bach al Beethoven, dal Wieland al Goethe.

Se voi imaginaste la sua opera su le rive del Mediterraneo, tra i nostri chiari olivi, tra i nostri lauri svelti, sotto la gloria del cielo latino, la vedreste impallidire e dissolversi. Poiché – secondo la sua stessa parola – all′artefice è dato di veder risplender della perfezione futura un mondo ancora informe e di gioirne profeticamente nel desiderio e nella speranza, io annunzio l′avvento d′un′arte novella o rinnovellata che per la semplicità forte e sincera delle sue linee, per la sua grazia vigorosa, per l′ardore de′ suoi spiriti, per la pura potenza delle sue armonie, continui e coroni l′immenso edifizio ideale della nostra stirpe eletta. Io mi glorio d′essere un latino; e – perdonatemi, o sognante Lady Myrta, perdonatemi, o delicato Hoditz – riconosco un barbaro in ogni uomo di sangue diverso.

– Ma anch′egli, Riccardo Wagner, sviluppando il filo delle sue teorie, si parte dai Greci – disse Baldassare Stampa che, reduce da Bayreuth, era ancor tutto pieno dell′estasi.

 – Filo ineguale e confuso – rispose il maestro. – Nulla è più lontano dall′Orestiade quanto la tetralogia dell′Anello. Penetrarono assai più profondamente l′essenza della tragedia greca i Fiorentini di Casa Bardi. Omaggio alla Camerata del Conte di Vernio!

 – Io ho sempre pensato che la Camerata fosse un′adunanza oziosa di eruditi e di retori – disse Baldassare Stampa.

 – Hai udito, Daniele? – esclamò Stelio rivolgendosi al dottor mistico. – Quando mai vi fu al mondo un focolare d′intelligenza più fervido? Essi cercavano nell′antichità greca lo spirito di vita: essi tentavano di sviluppare armoniosamente tutte le energie umane, di manifestare con tutti i mezzi dell′arte l′uomo integro. Giulio Caccini insegnava che all′eccellenza del musico non servono solo le cose particolari ma tutte insieme le cose. La capellatura fulva di Jacopo Peri, dello Zazzerino, fiammeggiava nel canto come quella di Apollo. Nel discorso preposto alla Rappresentazione di Anima et di Corpo Emilio del Cavaliere espone intorno alla formazione del teatro novello le medesime idee che furono attuate a Bayreuth, compresi i precetti del perfetto silenzio, dell′orchestra invisibile e dell′ombra favorevole. Marco da Gagliano, nel celebrare lo spettacolo di festa, fa l′elogio di tutte le arti che vi concorrono ‟di maniera che con l′intelletto vien lusingato in uno stesso tempo ogni sentimento più nobile dalle più dilettevoli arti ch′abbia ritrovato l′ingegno umano”. Non basta?

 – Il Bernino – disse Francesco de Lizo – fece rappresentare a Roma un′opera per la quale egli stesso costruì il teatro, dipinse le scene, scolpì le statue ornamentali, inventò le macchine, scrisse le parole, compose la musica, regolò le danze, ammaestrò gli attori, danzò, cantò, recitò.

 – Basta, basta ! – gridò il principe Hoditz ridendo. – Il barbaro è vinto.

 – Non basta ancora – disse Antimo della Bella. – Bisogna glorificare il più grande degli innovatori, che la passione e la morte consacrarono veneziano, colui che ha il sepolcro nella chiesa dei Frari, degno d′un pellegrinaggio: il divino Claudio Monteverde.

 – Ecco un′anima eroica, di pura essenza italiana! – assentì Daniele Glàuro con reverenza.

 – Egli compì l′opera sua nella tempesta, amando, soffrendo, combattendo, solo con la sua fede, con la sua passione e col suo genio – disse la Foscarina lentamente, come assorta nella visione di quella vita dolorosa e coraggiosa che aveva nutrito del più caldo suo sangue le creature della sua arte. – Parlateci di lui, Èffrena.

Stelio vibrò come se ella lo avesse toccato all′improvviso. Ancora una volta la virtù espressiva di quella bocca divulgatrice evocò da una indefinita profondità una figura ideale che risorse come da un sepolcro dinanzi agli occhi dei poeti assumendo il colore e il soffio dell′esistenza. L′antico sonator di viola, vedovo ardente e triste come l′Orfeo della sua favola, apparve nel cenacolo.

Fu un′apparizione di fuoco assai più fiera e più abbagliante di quella che aveva acceso il bacino di San Marco: una infiammata forza di vita, espulsa dall′imo grembo della natura verso l′ansia delle moltitudini; una veemente zona di luce, erotta da un cielo interiore a rischiarare i fondi più segreti della volontà e del desiderio umano; un inaudito verbo, emerso dal silenzio originario a esprimere quel che v′è di eterno e di eternamente indicibile nel cuore del mondo. “



Pag. 102, si parla di Volontà cosmiche, con un cenno al pastore Arya, per questo vedi Schuré, I grandi iniziati.



“ Stelio Èffrena taceva, sconvolto da forze vorticose che lo travagliavano con una sorta di furor cieco, simili alle energie sotterranee che sollevano squarciano trasfigurano i paesi vulcanici creandovi i nuovi monti e i nuovi abissi. Tutti gli elementi della sua vita interiore, investiti da quell′impeto, parevano nel tempo medesimo dissolversi e moltiplicarsi. Imagini grandiose e terribili passavano su quel tumulto accompagnate da nembi di musiche. Concentrazioni e dispersioni rapidissime di pensieri si succedevano come le scariche elettriche nell′uragano. A tratti, era come s′egli udisse clamori e canti per una porta che si spalancasse e si richiudesse di continuo; era come se le raffiche gli recassero le grida di una strage e di un′apoteosi lontana alterne. Vide all′improvviso, con l′intensità delle visioni febrili, la terra arsa e fatale dove egli voleva far vivere le anime della sua tragedia; ne sentì tutta la sete in sè. Vide la fonte mitica che sola interrompeva l′arsura, e sul palpito delle polle il candore della vergine che quivi doveva morire. Vide la maschera dell′eroina sul volto di Perdita, composta nella bellezza di un dolore straordinariamente calmo. Poi l′antica arsura del piano d′Argo si convertì in fiamme; la fonte Perseia fluì come un fiume volubile. Il fuoco e l′acqua, i due elementi primordiali, passarono su tutte le cose, cancellarono ogni segno, si diffusero, errarono, lottarono, trionfarono, favellarono, ebbero un verbo, ebbero un linguaggio per rivelare la loro intima essenza, per raccontare i miti innumerevoli ch′eran nati dalla loro eternità. La sinfonia espresse il drama delle due Anime elementari su la scena dell′Universo, la lotta patetica dei due grandi Esseri viventi e mobili, delle due Volontà cosmiche, quale se la fingeva il pastore Arya su gli altipiani contemplando gli spettacoli con occhi puri. “



Pag. 104, nell'argomentazione di Effrena ritorna il motivo platonico del corpo carcere dell'anima. E' ribadito il concetto della funzione liberatrice e purificatrice dell'Arte.



‟Verso la Gioia, verso l′eterna Gioia!”, pensava Stelio Èffrena. ‟Il popolo consiste di tutti coloro i quali sentono un oscuro bisogno di elevarsi, per mezzo della Finzione, fuor della carcere cotidiana in cui servono e soffrono.” Scomparivano gli angusti teatri urbani ove, nel calore soffocante e pregno di tutte le impurità, dinanzi a una schiera di crapuloni e di meretrici, gli attori fanno ufficio di spintrie. Egli vedeva su le gradinate del novo teatro la folla vera, l′immensa folla unanime di cui aveva sentito l′odore e udito il clamore dianzi nella conca marmorea sotto le stelle. Nelle anime rudi e ignare la sua arte, pur non compresa, per il potere misterioso del ritmo recava un turbamento profondo, simile a quello del prigioniere che sia sul punto di essere liberato dai duri vincoli. “



Pag. 113, di nuovo il motivo platonico del corpo carcere dell'anima, “ la pesante carcere umana “.



Pag. 114, “ l'amplesso intero del mio amore ti farà divino “ ricorda esclamazioni simili di Kundry nel Parsifal di Wagner, così come a pag. 115 è presente il motivo del filtro d'amore che ricorda la vicenda di Tristano e Isotta ( Wagner ).



Pag. 115, la donna viene paragonata a Persefone ( mito del melagrano ). La pagina evoca parole simili del Pater nella famosa celebrazione della Gioconda di Leonardo.



“ Ella stava sotto l′arbusto ornato di monili e carico di frutti, vivamente inarcata a guisa delle sue labbra, partendosi da tutte le sue membra la febbre come dalle labbra si parte il respiro. La bellezza repentina che l′aveva illuminata nel cenacolo, fatta di mille forze ideali, si rinnovellava in lei ma ancor più intensa, fatta della fiamma che non appassisce, del fervore che non langue. I frutti magnifici pendevano sul suo capo, recanti in sommo la corona d′un re donatore. Il mito del melagrano riviveva nella notte come al passaggio della barca ricolma su l′acqua vespertina. – Chi era ella? Persefone signora delle Ombre? Aveva ella vissuto là dove tutte le agitazioni umane sembrano un gioco di vènti nella polvere d′un cammino senza termine? Aveva ella guardato il mondo delle sorgenti, numerato nella terra sotterranea le radici dei fiori immote come le vene in un corpo impietrito? Era ella stanca o ebra delle lacrime e delle risa e delle lussurie umane, e dell′aver toccato a una a una tutte le cose mortali per farle fiorire, per farle perire? Chi era mai? Aveva colpito le città come un flagello? chiuso per sempre col suo bacio le labbra che cantavano, arrestato i battiti di un′anima tirannica, attossicato i giovinetti col suo sudore salso come la schiuma del mare? Chi era? Chi era? Quale passato la faceva così smorta, così cocente e così perigliosa? Aveva ella già detto tutti i suoi segreti e donato tutti i suoi doni? O poteva ella ancora meravigliare con nuove opere il suo nuovo amante, pel quale la vita il desiderio e la vittoria erano una cosa sola? – Tanto, e più e più, davano al sogno le esili vene delle sue tempie, l′ondulazione delle sue gote, la possa dei suoi fianchi, l′ombra glauca e quasi marina che era l′elemento in cui viveva quel volto come l′occhio nella sua propria umidità. “

E Pater :

" The presence that rose thus so strangely beside the waters, is expressive of what in the ways of a thousand years men had come to desire. Hers is the head upon which all “the ends of the world are come,” and the eyelids are a little [125] weary. It is a beauty wrought out from within upon the flesh, the deposit, little cell by cell, of strange thoughts and fantastic reveries and exquisite passions. Set it for a moment beside one of those white Greek goddesses or beautiful women of antiquity, and how would they be troubled by this beauty, into which the soul with all its maladies has passed! All the thoughts and experience of the world have etched and moulded there, in that which they have of power to refine and make expressive the outward form, the animalism of Greece, the lust of Rome, the mysticism of the middle age with its spiritual ambition and imaginative loves, the return of the Pagan world, the sins of the Borgias. She is older than the rocks among which she sits; like the vampire, she has been dead many times, and learned the secrets of the grave; and has been a diver in deep seas, and keeps their fallen day about her; and trafficked for strange webs with Eastern merchants; and, as Leda, was the mother of Helen of Troy, and, as Saint Anne, the mother of Mary; and all this has been to her but as the sound of lyres and flutes, and lives only in the delicacy with which it has moulded the changing lineaments, and tinged the eyelids and the hands. The fancy of a perpetual life, sweeping together ten thousand experiences, is an old one; and modern philosophy has conceived the idea of humanity as wrought upon by, and summing up in itself, all modes of thought and life. Certainly [126] Lady Lisa might stand as the embodiment of the old fancy, the symbol of the modern idea. "



Pag. 116, “ La vita e il sogno erano una cosa sola “ . motivo romantico dell'evasione dalla realtà.



Pag. 117, unione del mito di Persefone con la leggenda wagneriana di Parsifal.



“ La donna si chinò a raccogliere su l′erba la melagrana. Era matura, s′era aperta cadendo, versava il succo sanguigno; che bagnò la mano arida, macchiò la chiara veste. Con la visione della barca onusta e dell′isola pallida e della prateria d′asfodelo, tornarono allo spirito amante le parole dell′animatore: ‟Questo è il mio corpo.... Prendete e mangiate! ”



Pag. 136 ( II, “ L'impero del silenzio “ ), la libidine della Foscarina ( “ Le sue narici palpitarono. Una forza spaventosa s'agitò nella sua cintura “ ecc. ) richiama la lussuria di Pasifae ( pag. 612, vv 433-436 ) del Ditirambo IV di Alcyone.



Pag. 148, la musica come la più alta manifestazione della Volontà : “ Il suo bisogno musicale non si tendeva verso colei che cantava e trasfigurava col suo canto l'Universo ? “ Tutte le arti tendono alla condizione della musica, secondo Pater.

E Paul Verlaine aveva scritto nell' “Art poétique” :



De la musique avant toute chose,

Et pour cela préfère l’Impair

Plus vague et plus soluble dans l’air,

Sans rien en lui qui pèse ou qui pose.



Il faut aussi que tu n’ailles point

Choisir tes mots sans quelque méprise :

Rien de plus cher que la chanson grise

Où l’Indécis au Précis se joint.



C’est des beaux yeux derrière des voiles,

C’est le grand jour tremblant de midi,

C’est, par un ciel d’automne attiédi,

Le bleu fouillis des claires étoiles !



Car nous voulons la Nuance encor,

Pas la Couleur, rien que la nuance !

Oh ! la nuance seule fiance

Le rêve au rêve et la flûte au cor !



Fuis du plus loin la Pointe assassine,

L’Esprit cruel et le Rire impur,

Qui font pleurer les yeux de l’Azur,

Et tout cet ail de basse cuisine !



Prends l’éloquence et tords-lui son cou !

Tu feras bien, en train d’énergie,

De rendre un peu la Rime assagie.

Si l’on n’y veille, elle ira jusqu’où ?



Ô qui dira les torts de la Rime !

Quel enfant sourd ou quel nègre fou

Nous a forgé ce bijou d’un sou

Qui sonne creux et faux sous la lime ?



De la musique encore et toujours !

Que ton vers soit la chose envolée

Qu’on sent qui fuit d’une âme en allée

Vers d’autres cieux à d’autres amours.



Que ton vers soit la bonne aventure

Éparse au vent crispé du matin

Qui va fleurant la menthe et le thym...

Et tout le reste est littérature.



Pag. 149, sadismo ( dionisismo ? ) : “ … l'istinto di ferocia bestiale che si celava in fondo alla sua sensualità possente “, la frase è riferita a Stelio Effrena e richiama l'idea dei satiri ne La nascita della tragedia di Nietzsche.



Pag. 153, si avverte un salto logico nella narrazione. All'improvviso da una camera in un palazzo siamo su un battello nella laguna. Ma la tematica è la stessa : l'antica anima tragica, il sentimento eroico di Lord Byron. Notare a pag. 152 : “ … uno stato di mistero musicale ove l'opera inespressa risorse e s'illuminò. “ Più avanti : “ L'antica anima tragica era presente nell'anima novella. Con la parola e con la musica il poeta ricomponeva l'unità della vita ideale. “

Pag. 153, alla vista di Wagner : “ … solo rimase il sentimento di sovrumana potenza suscitato da quel nome … “



Pag. 154 e seg., pagine ispirate al superomismo, “ supreme apparizioni della natura eroica “, l' “eroe che pativa il fato umano”, il poema sinfonico di Liszt ( 1848 ) che esprime “ quel che si ode su la montagna “ ( da Victor Hugo, V poesia delle Feuilles d'automne ). Le espressioni tra virgolette richiamano il motivo conduttore dell'opera di Nietzsche Così parlò Zarathustra, compendio di tutta questa mitologia eroica.



Pag. 161 : pagina fondamentale di poetica. Posto che musica, poesia e danza non possono più essere fuse in un solo corpo, data l'evoluzione di ciascuna per diverse vie verso una singola potenza d'espressione, solo la Parola in quanto Idea può racchiudere in sé l'unità originaria. Si cita il Coro dell'Edipo re di Sofocle, precisamente il terzo stasimo ( vedi ed. Oscar Mondadori, pag. 115, v. 1086 e seg., i versi riportati n. 1089, 1090 non sono tradotti letteralmente ). Notare l'espressione a pag. 162 : “ … l'apparizione consolatrice della grande Madre comune … “

Notare che a pag. 161, laddove l'autore scrive “ … stato fugace d'inconsapevolezza “, “ … sorgente eterna, dal mistero stesso della Natura, dall'anima stessa delle cose universe ! “ si sente l'influsso indiretto della filosofia di Schelling.

Ecco i versi di Sofocle :



Χορός

εἴπερ ἐγὼ μάντις εἰμὶ καὶ κατὰ γνώμαν ἴδρις,

οὐ τὸν Ὄλυμπον ἀπείρων, ὦ Κιθαιρών,

οὐκ ἔσει τὰν αὔριον

πανσέληνον, μὴ οὐ σέ γε καὶ πατριώταν Οἰδίπουν

καὶ τροφὸν καὶ ματέρ᾽ αὔξειν,

καὶ χορεύεσθαι πρὸς ἡμῶν, ὡς ἐπὶ ἦρα φέροντα τοῖς ἐμοῖς τυράννοις.

ἰήϊε Φοῖβε, σοὶ δὲ ταῦτ᾽ ἀρέστ᾽ εἴη.



E nella traduzione di Ettore Romagnoli :



CORO: Strofe prima

Se buon profeta io sono - né sottil me a torto reputo -,

Alpe del Citerone, tu, per l'Olimpo, ci vedrai dimani

festeggiarti al plenilunio,

quale madre d'Èdipo, quale nutrice e patria,

e con danze onorarti: poiché tu di lieta sorte i signor nostri gratifichi.

E a te grato il voto giunga, Febo re, che i morbi sani.



Il brano di D'Annunzio :



–“ Hai tu mai pensato quale potesse essere la musica di quella specie d′ode pastorale che il Coro canta nell′Edipo re quando Giocasta fugge inorridita e il figlio di Laio è tuttavia illuso da un′ultima speranza? Te ne ricordi? ‟O Citerone, sia testimonio l′Olimpo, prima che un altro plenilunio si compia....” L′imagine delle montagne interrompe per alcuni attimi l′orrore del drama; la serenità agreste dà una tregua allo spavento umano. Te ne ricordi? Cerca di rappresentarti la strofe in guisa d′una cornice, entro le cui linee si svolga una serie di movimenti corporei, una espressiva figura di danza, che la melodia animi della sua vita perfetta. Ecco evocato dinanzi a te lo spirito della Terra nel disegno essenziale delle cose; eccoti l′apparizione consolatrice della grande Madre comune su la sventura dei suoi figli percossi e tremanti; eccoti, infine, una celebrazione di ciò che è divino ed eterno, su gli uomini trascinati alla demenza e alla morte dal Fato crudele. Cerca ora di intuire in qual modo quel canto mi abbia aiutato a trovare per la mia tragedia i mezzi della più alta e della più semplice espressione.... “



Pag. 166, si parla del dramma per musica e Daniele Glauro afferma : “ … la musica è il principio e la fine del verbo umano. “ Motivo tòpico della celebrazione della Musica come madre di tutte le arti.



Pag. 167, motivo romantico della poesia primitiva quale vera poesia :



“ – Io avvicino così le persone del drama allo spettatore. Ti ricordi tu di quella figura che Federico Schiller, nell′ode da lui composta a celebrare la traduzione goethiana del Maometto, adopera, per significare che su le scene non può aver vita se non un mondo ideale? Il Carro di Tespi, come la Barca d′Acheronte, è così lieve da non poter sopportare se non il peso delle ombre o delle imagini umane. Su la scena comune quelle imagini sono distanti così che qualunque contatto con loro ci sembra impossibile come il contatto con i fantasmi mentali. Esse sono distanti ed estranee. Ma facendole apparire nel silenzio ritmico, facendole accompagnare dalla musica alla soglia del mondo visibile, io le avvicino meravigliosamente poiché rischiaro i fondi più segreti della volontà che le produce. Intendi? La loro intima essenza è là, discoperta e messa in comunione immediata con l′anima della folla che sente sotto le Idee significate dalle voci e dai gesti la profondità dei Motivi musicali che a quelle corrispondono nelle sinfonie. Io mostro insomma le imagini dipinte sul velo e ciò che accade di là dal velo. Intendi? E per mezzo della musica, della danza e del canto lirico creo intorno ai miei eroi un′atmosfera ideale in cui vibra tutta la vita della Natura così che in ogni loro atto sembrino convergere non soltanto le potenze dei loro destini prefissi ma pur anche le più oscure volontà delle cose circostanti, delle anime elementari che vivono nel gran cerchio tragico; poiché vorrei che, come le creature di Eschilo portano in loro qualche cosa dei miti naturali ond′escirono, le mie creature fossero sentite palpitare nel torrente delle forze selvagge, dolorare al contatto della terra, accomunarsi con l′aria, con l′acqua, col fuoco, con le montagne, con le nubi nella lotta patetica contro il Fato che deve esser vinto, e la Natura fosse intorno a loro quale fu veduta dagli antichissimi padri: l′attrice appassionata di un eterno drama. “



Pag. 194, ritorna il motivo della “bestialità primitiva” :



“ Ed ella medesima, con i piedi nella terra calda, sotto i soffii del cielo, simile nel color della veste al predatore fulvo, sentiva sorgere dalle radici della sua sostanza uno strano senso di bestialità primitiva, quasi l′illusione di una lenta metamorfosi in cui ella perdesse una parte della sua consapevolezza umana e ridivenisse una figlia della natura, una forza ingenua e breve, una vita selvaggia. “



Ricorda la “ Pioggia nel pineto “ di Alcyone. Più sotto “ il senso dionisiaco della natura naturante “ è un altro motivo dominante del decadentismo, frutto dell'insegnamento di Nietzsche e di Swinburne :



“ Non toccava egli così in lei il più oscuro mistero dell′essere? non le faceva sentire così la profondità animale da cui erano scaturite quelle rivelazioni del suo genio tragico inattese che avevano scosso e inebriato la moltitudine come gli spettacoli del cielo e del mare, come le aurore, come le tempeste? Quando egli le aveva parlato dello sloughi tremante, non aveva egli divinato da quali analogie naturali traesse ella le potenze d′espressione che meravigliavano i poeti e i popoli? Per aver ritrovato il senso dionisiaco della natura naturante, l′antico fervore delle energie istintive e creatrici, l′entusiasmo del dio multiforme emerso dal fermento di tutti i succhi, ella appariva nel teatro così nuova e così grande. Ella aveva sentito in sè talvolta, quasi l′imminenza di quel prodigio che faceva gonfiare d′un latte divino il seno delle menadi all′appressarsi delle piccole pantere avide di nutrimento. “



Pag. 204, solita icona della “bellezza medusea”, vedi M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica :



“ Si appressò al pozzo. Com′ella lo considerava, ogni particolarità le s′imprimeva nello spirito e assumeva una strana forza di vita fatale: il solco delle funi nel metallo, l′ossido verde che rigava la pietra della base, le mammelle delle cariatidi consunte dalle ginocchia delle donne che un tempo le premettero nello sforzo dell′attingere, e quel profondo specchio interiore che l′urto delle secchie non turbava più, quel breve cerchio sotterraneo che rifletteva il cielo divino. Si chinò su la sponda, vide la sua faccia, vide il suo spavento e la sua perdizione, vide la Medusa immobile ch′ella portava nel centro della sua anima. “



Pag. 208, il quadro ricorda l'alleanza di tutte le arti ne Le Grazie di Foscolo, inoltre si apre sullo scenario di una Firenze primaverile ( il padre di Donatella Arvale scultore, Donatella cantatrice, Foscarina attrice ) :



“ Ella ritrovò la sua bontà profonda. Ritrovò la sua tenerezza per la bella creatura in cui ella aveva illuso un giorno il suo bisogno di amare Sofia, la buona sorella. Ripensò le ore passate nella villa solitaria su la collina di Settignano, dove Lorenzo Arvale creava le sue statue nella pienezza della forza e del fervore, ignaro della folgore che stava per colpirlo. Rivisse in quel tempo, rivide quei luoghi: – ella stava dinanzi al famoso artefice che la ritraeva nella creta, e Donatella cantava qualche canzone antica, e lo spirito del canto animava il modello e l′effigie, e i suoi pensieri e la pura voce e il mistero dell′arte componevano quasi una parvenza di vita divina in quel grande studio aperto da ogni parte al giorno, onde si scopriva nella valle primaverile Firenze e il suo fiume. “



Pag. 213, misticismo sensuale. La sensazione come mezzo per raggiungere l'estasi poetica, immergendosi nella “ Vita dai mille volti “ :



“ Il battello toccò la riva di Fusina. Riscossi, si guardarono con gli occhi abbacinati; e provarono entrambi una specie di smarrimento che somigliava alla delusione, quando posero il piede a terra, quando videro quella riva squallida ove crescevano pallide erbe rade. E il muovere i primi passi fu ad entrambi increscioso perchè sentirono il peso della loro carne ch′era parso alleviarsi nel fluido tragitto.

‟Mi ama, dunque?” Nel cuore della donna si ravvivava la pena con la speranza. Ella non dubitava che l′ebrezza dell′amato fosse sincera, che le sue parole rispondessero a un interno fervore. Ella sapeva com′egli s′abbandonasse interamente ad ogni onda della sua sensibilità e fosse incapace di simulazione e di menzogna. Ella lo aveva udito più d′una volta proferire le verità crudeli con quella medesima grazia pieghevole e felina che hanno nel mentire certi uomini dati alla seduzione. Ella conosceva bene quello sguardo limpido e diritto, che diveniva talora glaciale o tagliente e non mai obliquo. Ma conosceva anche le meravigliose rapidità e diversità del sentire e del pensare che rendevano quello spirito inafferrabile. Eravi in lui sempre qualche cosa di ondeggiante, di volubile e di possente, che le suscitava l′imagine duplice e diversa della fiamma e dell′acqua. Ed ella voleva fermarlo, tenerlo, possederlo! Eravi in lui sempre un ardore di vivere smisurato, quasi che ogni attimo gli sembrasse il supremo ed egli stesse per dipartirsi dalla gioia e dalla doglia dell′esistenza come dalle carezze e dalle lacrime di un commiato d′amore. Ed ella voleva attrarre al suo solo cibo quell′avidità insaziabile !

Che era ella dunque per lui se non un aspetto di quella ‟Vita dai mille e mille volti” verso di cui il desiderio, secondo un′imagine della sua poesia, scoteva di continuo ‟tutti i suoi tirsi?” Ella era per lui un motivo di visioni e d′invenzioni come le colline, come i boschi, come le piogge. Egli beveva da lei il mistero e la bellezza come da tutte le forme dell′ Universo. Ed ecco, egli era già discosto, era già a una ricerca nuova: i suoi occhi ingenui e mobili cercavano intorno il miracolo per meravigliarsi e per adorare. “



Pag. 216, allusione, riguardo al sorriso di Foscarina, al sorriso della Gioconda :



“ – Taci! – ella disse con un fievole soffio, come se andasse per un sepolcreto; e le apparve a fior della bocca un sorriso tenuissimo, eguale a quello ch′era diffuso nelle campagne, e vi si fermò, vi rimase immobile come su le labbra d′un ritratto. “



Pag. 221, la descrizione della villa Pisani, ove aveva soggiornato anche Napoleone I, ha tutte le caratteristiche dell'edificio prediletto dai decadenti, lo stesso pittore citato ( Tiepolo ) è l'esponente del settecento sensuale e morente ( vedi Marcel Brion, Pittura romantica ) :



“ Traversarono la stanza in un bagliore vermiglio. Il sole batteva su un canapè di cremisi, svegliava l′iride in un gracile lampadario a gocciole di cristallo pendente dalla volta, accendeva le strisce rosse perpendicolari nella parete. Stelio si soffermò su la soglia, si rivolse indietro, evocò in quel sangue splendente la figura pensosa del giovine arciduca dagli occhi cerulei, il bel fiore d′Asburgo caduto su la terra barbarica in un mattino d′estate.

 – Andiamo! – pregò di nuovo la Foscarina che lo vide indugiarsi.

Ella fuggiva attraverso la sala immensa istoriata dal Tiepolo, mentre dietro di lei il bronzo corintio del cancello nel chiudersi dava un suono chiaro come un tintinno che propagavasi per la concavità in lunghe vibrazioni. Ella fuggiva sbigottita, quasi che tutto stesse per crollarle addosso e la luce fosse per mancare ed ella temesse di ritrovarsi sola nelle tenebre con quei fantasmi di sventura e di morte. Camminando nell′aria mossa da quella fuga tra quelle pareti gravi di reliquie e di larve, dietro l′attrice famosa che su tutte le scene del mondo aveva simulato il furore delle passioni mortali, gli sforzi disperati della volontà e del desiderio, il contrasto violento delle sorti superbe, Stelio Èffrena perdeva il calore delle sue vene come se camminasse in un vento gelido, sentiva il suo cuore agghiacciarsi, il suo coraggio affievolirsi, la sua ragione di vivere perdere ogni forza, i suoi legami con gli esseri e con le cose allentarsi, vacillare e dileguare le illusioni magnifiche ch′egli aveva date alla sua anima per incitarla a sorpassar sé medesima e il suo destino. “



Pag. 231 : “ … la comunione della sua vita con la vita arborea … “, “ … l'industria del primo fabbro di ali, il mito del mostro nato da Pasifae e dal Toro … “ sono un evidente richiamo ad Alcyone.



“ Carponi egli s′era insinuato nel cespuglio, a capo scoperto. Sentiva sotto i ginocchi le foglie macere, il musco molle. E come egli respirava nei rami e palpitava in essi e aveva tutti i sensi presi da quel piacere, la comunione della sua vita con la vita arborea si fece più stretta e l′incanto della sua imaginazione rinnovò in quel viluppo di vie dubbie l′industria del primo fabbro di ali, il mito del mostro nato da Pasifae e dal Toro, la favola attica di Teseo in Creta. Tutto quel mondo si fece reale per lui. Sotto la sera purpurea d′autunno egli si trasfigurava, secondo gli istinti del suo sangue e i ricordi del suo intelletto, in una di quelle forme ancipiti tra bestiali e divine, in uno di quei genii agresti la cui gola era gonfia delle glandule stesse che pendono dal collo delle capre. Una salacità ilare gli suggeriva atti e gesti strani, sorprese, insidie; gli figurava l′allegrezza d′un inseguimento, d′un abbattimento, d′un congiungimento rapido sul musco o contro il busso inculto. Egli desiderò allora una creatura che gli somigliasse, un petto fresco a cui egli potesse comunicare le sue risa, due gambe veloci, due braccia pronte alla lotta, una preda da ghermire, una verginità da sforzare, una violenza da compiere. Donatella dalle reni falcate gli riapparve. “



Pag. 273, il personaggio di Dante Alighieri è concepito secondo una visione eroica dell'esistenza. Si sente l'influsso de Gli Eroi ( 1841 ) di Carlyle.



“ – Imaginate, Fosca, se potete, senza sbigottirvi, l′empito e l′ardore della smisurata anima nel mescolarsi alle energie elementari per concepire questi suoi mondi! Imaginate l′Alighieri, pieno già della sua visione, su le vie dell′esilio, pellegrino implacabile, cacciato dalla sua passione e dalla sua miseria di terra in terra, di rifugio in rifugio, a traverso le campagne, a traverso le montagne, lungo i fiumi, lungo i mari, in ogni stagione, soffocato dalla dolcezza della primavèra, percosso dall′asprezza dell′inverno, sempre vigile, attento, aperto gli occhi voraci, ansioso del travaglio interiore ond′era per formarsi l′opera gigantesca. Imaginate la plenitudine di quell′anima nel contrasto delle necessità comuni e delle infiammate apparizioni che gli si facevano incontro di repente allo svolto di un cammino, sopra un argine, nella cavità di una roccia, pel declivio di una collina, nel folto di una selva, in una prateria canora di allodole. Per i tramiti dei sensi la vita molteplice e multiforme gli si precipitava nello spirito trasfigurando in viventi imagini le idee astratte ond′esso era ingombro. Ovunque, sotto il passo doloroso, scaturivano sorgenti imprevedute di poesia. Le voci le parvenze e le essenze degli elementi entravano nell′occulto lavoro e lo aumentavano di suoni, di linee, di colori, di movimenti, di misteri innumerabili. Il Fuoco l′Aria l′Acqua e la Terra collaboravano al poema sacro, pervadevano la somma della dottrina, la riscaldavano, l′attenuavano, la irrigavano, la coprivano di foglie e di fiori.... Aprite questo libro cristiano e imaginate aperta a riscontro la statua di un dio greco. Non vedete erompere dall′uno e dall′altra la nube o la luce, i baleni o i venti del cielo? “



Pag. 278, concezione wagneriana, ma anche schellinghiana dell'Arte : “ … sia manifesta quella unità della vita a cui tende lo sforzo della mia arte. “



“ – Tu devi evocare Cassandra dal suo sonno, tu devi sentir rivivere le sue ceneri nelle tue mani, tu devi averla presente nella tua veggenza. Vuoi tu? Comprendi! Bisogna che la tua anima viva tocchi l′anima antica e si confonda con quella e faccia un′anima sola e una sola sventura, cosicché l′errore del tempo sembri distrutto e sia manifesta quella unità della vita a cui tende lo sforzo della mia arte. Cassandra è in te e tu sei in lei. Non l′hai amata, non l′ami anche tu la figlia di Priamo? Chi dimenticherà mai, se una volta ti udì, chi dimenticherà mai il suono della tua voce e la convulsione delle tue labbra al primo grido del furore fatidico: ‟Oh Terra! Oh Apollo!., Ti rivedo muta e sorda sul tuo carro, con quel tuo aspetto di fiera presa di recente. Ah, ma fra tante grida terribili v′era qualche anelito infinitamente dolce e triste. I Vecchi ti paragonavano al ‟fulvo usignuolo”. Come dicevano, come dicevano le tue parole quando tu ti ricordavi del tuo bel fiume? e quando i vecchi ti domandavano dell′amore del dio? Non le hai tu in mente? “



Pag. 280, influssi evidenti delle idee di Nietzsche e di Wagner : “ Il sentimento musicale, generatore del drama, … “



“ Allora egli fu interamente avvolto dal turbine lirico; non respirò se non nell′etere infiammato della sua poesia. Il sentimento musicale, generatore del drama, si determinò nelle forme del Preludio ch′egli componeva. La tragedia trovò su quel fulcro sonoro il suo equilibrio perfetto tra le due forze che dovevano animarla, tra la forza della scena e la forza dell′orchestra. Un motivo di straordinaria potenza segnò nel mare sinfonico l′apparizione dell′antico Destino. “



Pag. 283, “ L'arte, come la magia, è una metafisica pratica “ dice Daniele Glauro. Vedi Novalis e Schelling ( Sistema dell'idealismo trascendentale ) :



“ – Bisogna, intendi?, che io sollevi dinanzi agli occhi della moltitudine questa massa enorme in un sol tratto. Ecco in che consiste la difficoltà del mio Preludio. Questo primo sforzo è il massimo che l′opera mi chieda. Io debbo nel tempo medesimo sollevare dal nulla il mio mondo e porre l′anima innumerevole nello stato musicale più atto a ricevere l′insolita rivelazione. L′orchestra deve produrre questo prodigio. ‟L′arte, come la magìa, è una metafisica pratica” dice Daniele Glàuro. Ed ha ragione. “



Pag. 299, citazione da Eraclito ( influsso di Nietzsche ) : “ L'arco ha per nome Bios e per opera la morte. “



“ – Conosci tu questa parola del grande Eraclito? ‟L′arco ha per nome Bios e per opera la morte.” Questa è una parola che, prima di comunicare agli spiriti il suo significato certo, li eccita. La udivo di continuo entro di me, quando ero seduto alla tua tavola, in quella notte d′autunno, nell′Epifanìa del Fuoco. Ebbi un′ora di vita veramente dionisiaca, un′ora di delirio chiuso ma terribile come se io contenessi la montagna incendiata dove urlano e si divincolano le Tìadi. Veramente mi pareva di udire, ora sì e ora no, clamori e canti e le grida di una strage lontana. E mi stupivo di rimanere immobile, e il senso della mia immobilità corporea aumentava la mia frenesia profonda. E non vedevo più nulla fuorché la tua figura che a un tratto era divenuta bellissima, e nella tua figura la forza di tutte le tue anime e, dietro, anche i paesi e le moltitudini. Ah, se potessi dirti come io ti vidi! Nel tumulto, mentre passavano imagini meravigliose accompagnate da nembi di musiche, ti parlavo come a traverso una battaglia, ti gittavo qualche richiamo che forse tu udivi, non per l′amore soltanto ma per la gloria, non per una sete sola ma per due seti; e non sapevo quale fosse la più ardente. E, come mi appariva la tua faccia, così allora m′appariva anche la faccia della mia opera. La vidi! Intendi? Con una incredibile celerità, nella parola nel canto nel gesto nella sinfonia la mia opera s′integrò e visse d′una tal vita –che, se io riescissi a infonderne pur una parte nelle forme che voglio esprimere, veramente potrei infiammare di me il mondo. “



Pag. 301, Stelio esprime la sua sconfinata ammirazione per Wagner : “ … la mia riconoscenza verso Colui che doveva imporre al mio spirito la necessità di essere eroico nel suo sforzo di liberazione e di creazione. “ Si noti l'enfatizzazione del destino eroico e la concezione dell'arte come liberazione ( vedi Schelling ) :



“ L′imagine del creatore barbarico gli riapparve: gli occhi cerulei brillarono sotto la fronte vasta, le labbra si serrarono sul robusto mento armate di sensualità, di superbia e di dispregio. Poi rivide i capelli bianchi, che il vento crudo agitava su quella nuca senile, sotto le larghe falde del feltro, e l′orecchio quasi livido dal lobo gonfio. Poi rivide il corpo immobile, abbandonato su le ginocchia della donna dal viso di neve e il lieve tremito che agitava uno dei piedi pendente. Ripensò quel suo brivido ineffabile di spavento e di gioia nel sentire all′improvviso sotto la sua mano ripalpitare il cuore sacro.

 – Ah, non dinanzi ma intorno al mio spirito, dovevo dire. Talvolta è come un oceano in tempesta, che tenti di travolgermi e d′inghiottirmi. La mia Temòdia è una roccia di granito in alto mare, e io sono come un artefice che vi costruisca un puro tempio dorico tra la violenza dei flutti contro i quali egli debba difendere l′ordine delle sue colonne, teso il suo spirito incessantemente per non cessar mai di udire tra quel fragore l′intimo ritmo che solo regolerà gli intervalli delle sue linee e dei suoi spazii. Anche in questo senso la mia tragedia è un combattimento.

Egli rivide il palazzo patrizio quale eragli apparso nella prima alba d′ottobre, con le aquile con i corsieri con le anfore con le rose, chiuso e muto come un alto sepolcro mentre sul fastigio il cielo s′infiammava all′alito dell′aurora.

 – In quell′alba, – egli soggiunse, – dopo la notte di delirio, passando pel canale, lungo il muro di un orto, colsi certi fiori violetti negli interstizii del mattone e feci accostare la gondola al Palazzo Vendramin per gettarli dinanzi alla porta. L′offerta era troppo esigua, e io pensai agli allori ai mirti e ai cipressi. Ma in quel mio atto spontaneo si esprimeva la mia riconoscenza verso Colui che doveva imporre al mio spirito la necessità di essere eroico nel suo sforzo di liberazione e di creazione. “



Pag. 319, descrizione d'una stampa, nell'appartamento della Foscarina, rappresentante la Melancholia di Albert Duerer, simbolo del genio artistico :



“ Il grande Angelo terrestre dalle ali d′aquila, lo Spirito senza sonno, coronato di pazienza, stava seduto su la pietra nuda, con il cubito poggiato al ginocchio, con la gota sorretta dal pugno, tenendo su l′altra coscia un libro e le seste nell′altra mano. Ai suoi piedi giaceva, raccolto in giro come un serpente, il levriere fedele, il cane che primo nell′alba dei tempi cacciò in compagnia dell′uomo. Al suo fianco, quasi appollaiato sul taglio di una macina come un uccello, dormiva il fanciullo già triste tenendo lo stilo e la tavoletta in cui doveva scrivere la prima parola della sua scienza. E intorno erano sparsi gli strumenti delle opere umane; e sul capo vigile, presso l′apice di un′ala, scorreva nella duplice ampolla la sabbia silenziosa del Tempo; e scorgevasi in fondo il Mare con i suoi golfi con i suoi porti con i suoi fari calmo e indomabile, su cui, tramontando il Sole nella gloria dell′arcobaleno, volava il vipistrello vespertino recando inscritta nelle sue membrane la parola rivelatrice. E quei porti e quei fari e quelle città, li aveva costrutti lo Spirito senza sonno, coronato di pazienza. Egli aveva tagliato la pietra per le torri, abbattuto il pino per i navigli, temprato il ferro per ogni lotta. Egli stesso aveva imposto al Tempo il congegno che lo misura. Assiso, non per riposarsi ma per meditare un altro lavoro, egli fissava la Vita con i suoi occhi forti ove splendeva l′anima libera. Da tutte le forme intorno a lui saliva il silenzio, tranne da una. Sola s′udiva la voce del fuoco ruggente, nel fornello, sotto il crogiuolo ove dalla materia sublimata doveva generarsi qualche virtù nuova per vincere un male o per conoscere una legge. E il grande Angelo terrestre dalle ali d′aquila, al cui fianco fasciato d′acciaio pendevano le chiavi che aprono e chiudono, così rispondeva a coloro che l′interrogavano: ‟Il Sole tramonta. La luce, che nasce dal cielo, muore nel cielo; e un giorno ignora la luce di un altro giorno. Ma la notte è una; e la sua ombra sta su tutti i volti e la sua cecità su tutti gli occhi, tranne sul volto e su gli occhi di colui che tiene acceso il suo fuoco per illuminare la sua forza. Io so che il vivo è come il morto, il desto è come il dormiente, il giovine è come il vecchio, poiché la mutazione dell′uno dà l′altro; e ogni mutazione ha il dolore e la gioia per compagni eguali. Io so che l′armonia dell′Universo è fatta di discordie, come nella lira e nell′arco. So che io sono e non sono; e che uno stesso è il cammino, in basso e in alto. So gli odori della putredine e le infezioni innumerevoli che sono congiunte alla natura umana. Tuttavia, di là dal mio sapere, séguito a compiere le mie opere palesi o segrete. Ne veggo talune perire mentre io ancora duro; ne veggo altre che sembrano dover durare eternamente belle e immuni da ogni miseria, non più mie, se bene nate dai miei mali più profondi. Veggo dinanzi al fuoco mutarsi tutte le cose, come i beni dinanzi all′oro. Una sola è costante: il mio coraggio. Non m′assido se non per rialzarmi.”



Nella seconda parte del brano vi sono probabili citazioni dai Frammenti di Eraclito, non è da escludere il Pimandro di Ermete Trismegisto. L'episodio riferito ( il colloquio tra Foscarina e Stelio ) avviene dopo l'annuncio della morte dell'eroe : Wagner.



Pag. 323, Wagner nunzio d'una nuova religione ( la stessa cosa fece il Nietzsche ! ) : “ L'alto silenzio era degno di Colui che aveva trasformato in infinito canto per la religione degli uomini la forza dell'Universo. “



Pag. 324, gli artieri con i fasci dei lauri colti sul Gianicolo sembrano preannunciare l'iconografia fascista :



“ Allora s′avanzarono i due artieri con i loro fasci di lauri colti sul Gianicolo.

Membruti e possenti, eletti tra i più forti e tra i più belli, parevano foggiati nell′antica impronta della stirpe romana. Erano gravi e tranquilli, con la libertà selvaggia dell′Agro nei loro occhi venati di sangue. I loro lineamenti risentiti, la fronte bassa, la chioma corta e crespa, le mascelle salde, il collo taurino, ricordavano i profili consolari. La loro attitudine scevra d′ogni ossequio servile li faceva degni del carico. “