sabato 14 dicembre 2019

Gustave Le Bon, Psicologia delle folle


Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, Milano, Monanni, 1927
( prima edizione italiana )



Vademecum dei dittatori del XX sec. ancora oggi riveste un'importanza e un'attualità eccezionali.
P. 18, i legislatori non comprendono l'anima delle folle : “ L'esperienza non ha loro ancora abbastanza insegnato che gli uomini non si guidano mai con le prescrizioni della pura ragione. “
P. 28, prevalenza dell'inconscio nelle folle, esso sfugge a ogni controllo razionale.
Ibidem : “ Nell'anima collettiva, le attitudini intellettuali degli uomini, e per conseguenza la loro individualità, si cancellano. “
La folla ha soltanto qualità mediocri e scarsa intelligenza : “ Le decisioni di interesse generale prese da un'assemblea di uomini scelti, ma di diverse attitudini non sono sensibilmente superiori alle decisioni che prenderebbe una riunione di imbecilli. “ (p. 29)
P. 48 “... la storia non può eternare che dei miti.” I fatti storici sono già alterati in partenza dalle testimonianze dei molti, cioè della folla che si pasce delle proprie illusioni e deforma ogni avvenimento come le piace. La storia ha per unico fondamento la memoria e questa è fallace. Anche i documenti possono essere interpretati in mille modi diversi. Conoscere la verità del passato è impossibile. (1)
P. 49 : “ Non essendo la folla impressionata che da sentimenti eccessivi, l'oratore che vuole sedurla deve abusare delle affermazioni violente. Esagerare, affermare, ripetere, e non mai tentare di nulla dimostrare con un ragionamento, sono i procedimenti di argomentazione familiari agli oratori di riunioni popolari.“   Il protagonista delle folle è l'imbecille e in esse trionfa soltanto l'istinto e la brutalità.
P. 52 : “ Il tipo dell'eroe caro alle folle avrà sempre la struttura di un Cesare. Il suo pennacchio le seduce, la sua autorità si impone e la sua sciabola fa loro paura. “
P. 63, le folle non ragionano, ma vengono sedotte da frasi ad effetto volte a ingannare la loro immaginazione. Il loro quoziente intellettivo è di poco superiore a quello della bestia. E qualunque demagogo abile a far presa su di esse le manovra come un padrone.
P. 65, grande importanza delle scene teatrali per suggestionare la folla e colpire la sua immaginazione, che per la folla sostituisce il mondo reale. “ Il meraviglioso e il leggendario sono in realtà i veri sostegni delle civiltà. “
P. 69, il sentimento religioso delle folle è rappresentato dalla fede cieca nel capo, come fosse un dio, nell'atteggiamento fanatico e intollerante di ogni opposizione e di ogni contrarietà. La folla non sente ragioni, essa ha fede e crede in tutto quello che dice il capo-dio. Anche oggi assistiamo a esempi di questo genere altrove e in Italia, ma sono semplicemente i prodromi della futura dittatura e della fine della democrazia.
P. 72-73, l'opinione della folla assume sempre un carattere religioso e del sentimento religioso ha i peggiori aspetti, quali l'intolleranza e il fanatismo.
I re non hanno fatto la notte di S. Bartolomeo, né le guerre di religione; e né Robespierre, né Danton, né Saint-Just fecero il Terrore. Dietro a simili avvenimenti c'è sempre l'anima delle folle. “
Potremmo aggiungere che il Nazismo non l'ha fatto Hitler, ma piuttosto i Tedeschi e diremmo il giusto.
P. 84, le istituzioni sono solo una veste che copre il carattere dei popoli nel quale risiede il loro vero destino politico. E' la “razza” (2) quella che determina le scelte politiche, cioè in parole povere è il carattere intrinseco di un popolo a determinare la sua storia. Imporre istituzioni dall'alto è deleterio, perché le istituzioni durevoli provengono sempre dal basso, cioè dalla natura particolare dei popoli. Così i paesi anglosassoni saranno sempre naturalmente democratici, mentre quelli latini non lo saranno mai.
P. 88, a proposito dell'istruzione pubblica, cita più volte Il regime moderno di Hippolyte Taine, condannando in blocco il sistema scolastico statale basato sulla manualistica e sugli esami, dove l'aspetto pratico della vita non viene mai preso in considerazione. Invece, come si fa nei paesi anglosassoni, è proprio dalla pratica che bisogna partire, educando i giovani al lavoro, che intendono intraprendere, con il farli appunto lavorare e non trascorrere sui banchi ore e ore a digerire un'inutile teoria. Insomma educare i giovani alla vita futura significa innanzi tutto farli vivere.
P. 107, a proposito delle parole a effetto ma prive di significato e delle illusioni, l'autore scrive : “ Le folle non hanno mai avuto sete di verità. Dinanzi alle evidenze che a loro dispiacciono, si voltano da un'altra parte, preferendo deificare l'orrore, se questo le seduce. Chi sa illuderle, può facilmente diventare loro padrone, chi tenta di disilluderle è sempre loro vittima. “
P. 108, le illusioni sono necessarie alle folle come gli errori, per evitare i quali l'esperienza di una generazione non è sufficiente.
P. 109, l'oratore che non sia demagogo avrà poca presa sulle folle. Bisogna indovinare il loro sentimento e parlare secondo quello, perché qualunque ragionamento obiettivo risulta inefficace. La folla è stupida e ha bisogno di discorsi stupidi.
P. 130, la folla è dominata dal prestigio di un grande personaggio, come fu ad es. Napoleone che con il solo sguardo si faceva obbedire da chiunque, anche dal più restio. Il prestigio può essere personale, ma anche di un'idea, di una tradizione. In ogni caso l'uomo della folla perde il senso critico ( se ne ha ) e diventa schiavo del prestigio.
P. 136, le credenze e le opinioni costituiscono il fondo permanente e apparentemente mutevole delle civiltà. Le credenze permanenti sono l'ossatura della civiltà e come tali per quanto ragionevolmente assurde non vengono mai messe in discussione se non quando una rivoluzione vi pone fine. Ma alla morte di una credenza segue la nascita di un'altra e quindi una nuova civiltà e società. Le opinioni sono come le onde mutevoli sulla superficie dell'acqua, ma per quanto variabili derivano anch'esse nella loro sostanza dalle credenze permanenti e costituiscono come il volto delle civiltà.
P. 156, criminalità delle folle. Come esempio è presa la rivoluzione francese del 1789, in cui esplose in tutta la sua brutalità la violenza delle folle. Furono compiuti orribili massacri, giustificati dalla folla come azioni meritorie in favore degli ideali della rivoluzione.
P. 170, il trionfo del demagogo alle elezioni è dato dalla natura stessa delle folle, come già scrisse Guicciardini nei suoi Ricordi :
Chi disse uno popolo disse veramente uno animale pazzo, pieno di mille errori, di mille confusione, sanza gusto, sanza deletto, sanza stabilità. “
Chi lusinga l'elettore e rafforza le sue speranze illudendolo, vince le elezioni.
P. 180, le istituzioni e i governi hanno poca importanza nella vita dei popoli, quello che foggia il loro destino è l'ereditarietà del carattere, ciò che l'autore definisce “razza”. Ne segue che i vari regimi politici non costituiscono che la facciata nella vita politica, di fatto ogni popolo ha un suo destino preciso determinato appunto dalla “razza”.
P. 184, anche le assemblee parlamentari sono folla e non certo di miglior specie. Esse sono dominate dai capi-gruppo che fanno valere le loro opinioni e influiscono in maniera preponderante su ogni decisione. Ne segue che anche in democrazia di fatto sono pochi, pochissimi a esercitare il potere e a fare le leggi. E queste leggi non sono certo il frutto di una saggia ponderatezza : “ Le assemblee politiche sono il luogo della terra dove il genio si fa meno sentire. “
P. 186, un leader non è che il portavoce delle opinioni della folla e le segue sia nel bene che nel male. E' inutile incolpare un condottiero dei disastri provocati alla nazione, egli si è limitato a seguire l'opinione pubblica e ad adottarne gli errori.
P. 189, il condottiero non è una persona intelligente. “ E' spaventoso pensare al potere che una convinzione forte, unita a un'estrema angustia mentale, conferisce a un uomo circondato da un certo prestigio. “
P. 197, il miglior regime è quello democratico, ma il pericolo in questo caso è rappresentato dal proliferare delle leggi e della burocrazia, che alla fine diventa la vera padrona dello Stato. Così con l'illusione di garantire e difendere la libertà e gli interessi dei cittadini, si prepara di fatto il loro asservimento a uno Stato pletorico e asfissiante che imprigiona il cittadino in un labirinto di leggi e regolamenti.
P. 200, il superamento dell'esistenza della folla si ha quando l'agglomerato umano si identifica nella vita comune volta a un ideale. Allora si passa dalla folla al popolo e si fonda la civiltà, mentre prima era la barbarie. Tuttavia, quando un popolo perde i suoi ideali, perde anche la propria identità e ridiventa folla, una folla di barbari :
Passare dalla barbarie alla civiltà seguendo un ideale, poi declinare e morire non appena questo ideale ha perduto la sua forza, tale è il ciclo della vita di un popolo. “ (p. 201)
E noi Italiani siamo ancora un popolo o già una folla di barbari ?





(1) I miti albergano nell'animo umano perché esprimono le forze oscure e latenti sia nel bene sia nel male che lo costituiscono. Si badi a suscitare con un troppo reiterato ricordo personaggi del passato che sono ormai diventati come il Minotauro un simbolo di impulsi e sentimenti negativi. Come spiriti maligni essi si aggirano tra le folle soggiogate dal loro influsso letale e resuscitano in tutta la loro forza distruttiva a danno di chi inconsapevolmente li ha evocati.
(2) Riporto qui una parola tabù, dalla quale personalmente prendo le dovute distanze, essendo consapevole della sua assoluta inconsistenza dal punto di vista scientifico, ma è un termine di cui ha abusato anche Taine oltre Le Bon, e all'epoca non se ne conosceva ancora l'effetto.

lunedì 21 ottobre 2019

Henry James, L'americano






Henry James, I grandi romanzi, Roma, Newton-Compton, 2016


L'americano


Romanzo di tipo tradizionale, stile assai simile a quello di Flaubert. Personaggi abbastanza tipizzati senza però essere degli stereotipi. Christopher Newman è il fortunato uomo d'affari americano, caratterizzato da molto buon senso e da un'assoluta mancanza di passionalità, sostituita da una sorta di vagheggiamento sentimentale basato sul calcolo della convenienza. La sua equanimità è il frutto di un temperamento assolutamente pratico che lo rende padrone di ogni situazione dandogli la perspicuità necessaria per interpretare correttamente ogni carattere e ogni circostanza, come nei confronti di Mademoiselle Nioche, scaltra coquette, e del nevrotico e pio Babcock.
Il gusto per l'analisi psicologica potrebbe avvicinare molto questo scrittore al francese Bourget, ma l'atteggiamento di James è molto più attento alla realtà, che risulta spesso imprevedibile, e il suo stile è intessuto di fine ironia e umorismo che in genere mancano a Bourget, che è meno artista e più professionista della penna.
Il racconto procede con il corteggiamento di Madame de Cintré, giovane vedova dalla vita ritirata e quasi inavvicinabile, per la nobiltà d'antica data, da un plebeo come Newman. Ma la forza del denaro opera la metamorfosi e il non nobile americano sale rapidamente la scala sociale di Francia arrivando a poter chiedere la mano di Madame de Cintré. Il fratello minore di lei, il conte Valentin de Bellegarde, diventa suo caro amico e s'innamora di Mademoiselle Nioche, che non è riuscita a tentare il flemmatico straniero.
La scena della morte di Valentin dopo un duello, la cui causa scatenante è appunto Mademoiselle Nioche, è opera di un vero maestro così come la strana storia della rinuncia al matrimonio e la scena d'addio di Claire de Cintré, destinata irrevocabilmente a farsi monaca senza una ragione apparente, se non strani doveri di famiglia e pregiudizi nobiliari. Ma si sente trapelare qualche oscuro antefatto. Il romanzo d'amore lentamente assume i toni e il mistero d'un “giallo”. Si svela infatti per testimonianza d'un'anziana cameriera la scena d'un oscuro omicidio familiare. Tuttavia questo fatto non offre a Newman alcuna vera arma di ricatto e il povero giovane è costretto a subire l'affronto d'una lacerante ingiustizia. Ossessionato dal ricordo di Claire, viaggia in Inghilterra, dove assiste al trionfo di Mademoiselle Nioche, divenuta l'amante di un Lord, e poi torna momentaneamente negli Stati Uniti da dove decide di ripartire per Parigi.
Il flemmatico uomo d'affari ormai è un uomo malinconico e deluso dalla vita, profondamente ferito dalla consapevolezza di essere escluso per sempre dalla felicità. Un uomo molto diverso.

domenica 13 ottobre 2019

A I. C.







Tu che un tempo portavo sulle spalle
ora lamenti la perdita
e l'abbandono.
Ti ha lasciato l'amato
e si è dissolto
il primo dei sogni
e l'ultimo.
Ma reale è il dolore
e in ogni istante è più vivo,
sorgerà un altro amore
e non ne resterà privo.

sabato 12 ottobre 2019

Anaïs Nin, Fuoco


Anaïs Nin, Fuoco, diario inedito senza censura (1934-1937), Milano, Bompiani, 2014


(La traduttrice non conosce bene le regole grammaticali dell'italiano. “Io do“, do non vuole l'accento, questo si pone solo su “egli dà“, invece qui viene messo anche alla prima persona singolare dell'indicativo presente).
P. 19, cenno a Tristano e Isotta (mito celtico celebrato da Wagner e anche da D'Annunzio nel Trionfo della morte, perché a sua volta celebra l'opera di Wagner).
Prime impressioni : mi spiego il successo di questo libro per il fatto che si tratta di una sorta di confessione totale, di un vero e proprio monologo interiore smisurato e senza veli come una messa a nudo della coscienza. In questo l'opera può essere accostata a quella del nostro Svevo (La coscienza di Zeno), ma soprattutto per lo stile immediato e a tratti nominale, all'Ulisse di J. Joyce. La scrittrice era una lettrice di Proust. A parte questo pregio stilistico si tratta della confessione di una femmina in perpetuo calore (ninfomane). Ma amo la straordinaria libertà di questa donna !
P. 37, lettera a Rank. Questa lettera d'amore è una confessione di un'intensità mirabile e di una sincerità totale. Credo che pochissime donne siano mai state in grado di descriversi tanto spietatamente come di difendersi con altrettanta pervicacia. Anaïs è un miracolo di umanità.
P. 42, importanza del sogno per l'artista, “solo il sogno ispira la creazione”.
P. 68, “… la saggezza conquistata con le idee è inutile, anzi contraria alla vita”, affermazione che avvicina Anaïs Nin a Nietzsche, ed è comunque molto vicina alla verità.
P. 69, breve considerazione sul giovane Werther di Goethe.
P. 73, la meraviglia, la gioia delle piccole cose.
P. 80, profondità filosofica : “Una conoscenza della verità troppo grande, un'esplorazione eccessiva distrugge la vita, che è illusione.” Atteggiamento da intellettuale romantico, alla Nietzsche. Anaïs in fin dei conti è una romantica.
P. 82 : meglio rassegnarsi alla vita.
P. 84, sola fra la folla, condizione comune dell'intellettuale.
P. 91, la decisione di abbandonare i romanzi per dedicarsi esclusivamente alla forma diaristica denota la consapevolezza di Anaïs per l'originalità della sua arte. L'interesse per il suo diario è infatti pari alla curiosità che suscita l'opera di Proust, anche se quest'ultima risulta di difficile lettura.
P. 102, cita Gabriele D'Annunzio : “Mi ha svegliato il tumulto del mio cuore”, a proposito della sua straordinaria forza vitale e “Vesuvio” interno. Vi sono molte analogie tra Anaïs e D'Annunzio, soprattutto il sesso come fonte di ispirazione.
P. 109, “innamorata della manifestazione di Dio nell'uomo” questo corrisponde alla parte migliore e più artistica di Anaïs.
P. 116, senso dell'umorismo : “Non ho più bisogno di soffrire. Mi sono creata un'anima, grande come il mondo, che trabocca ovunque : quasi quasi chiamo l'idraulico.”
P. 121, cita Proust (per la seconda volta ?). La sua cultura è in gran parte francese.
P. 125, talvolta la sintassi è talmente sgangherata che non si capisce niente.
In “5 settembre 1935” la Nin non dà il meglio di sé, è un resoconto osceno di fatti e basta.
NB : lo sfogo dei sensi come liberazione e igiene della psiche, vedi Groddeck, Il libro dell'Es (“Nota” a p. 138).
P. 140, considerazioni sull'amore per Rank di grande profondità.
P. 153, le osservazioni sul carattere e l'operato del suo amato Henry Miller rivelano una grande lucidità e intelligenza, non è il solito buon senso della donna, è una mente superiore.
P. 178, la felicità non esiste, perché una vita senza passione e dolore non è vita. Considerazioni molto profonde che la avvicinano a Nietzsche. La vita è volontà, la volontà è dolore.
P. 182, originalissima concezione del sesso, l'attività sessuale di ogni tipo conduce all'estasi, innalza l'essere umano. Sembra quasi una della setta dei Bogomili.
P. 205, sia Anaïs che Miller hanno letto Emerson.
P. 208, “i mondi infiniti, illimitati all'interno del proprio io”, la Nin è dopotutto una romantica.
P. 223, poesia dell'orgasmo (non è l'unico esempio, ce ne sono altri anche prima). Ibidem, in fondo : “... l'amore è una cosa sola … la stessa incandescenza, la stessa disperazione.”
P. 231, interessanti considerazioni sulla politica dei suoi tempi (la guerra civile in Spagna), mostra di essere contraria all'ideologia comunista.
P. 234, la donna dà vita, l'uomo la distrugge.
P. 238, la vita è illusione, la ragione la distrugge (concezione romantica).
P. 241, sulla falsità interiore (influenzata certo da Freud, ma soprattutto da Nietzsche).
P. 248, belle queste pagine di puro cuore per Gonzalo Moré.
P. 252, profondamente aristocratica, odia le masse e il comunismo.
Ibidem : studia la Cabala, idee molto simili a quelle di Giordano Bruno (cfr. Yates).
P. 258, cita Nietzsche a proposito dell'essenza dell'artista : “l'artista è la visione che egli ha della vita”. Ibidem , la rete di inganni e sotterfugi per avventure rocambolesche ha qualcosa delle novelle del Boccaccio e della vita di Casanova.
P. 266, Anaïs romantica, eternità d'amore.
P. 268, pagina molto intensa sul ruolo della compagna dell'artista, che ne condivide non solo la sorte ma anche le idee e l'arte. Molto interessante la critica ai genitori casuali che spesso ci mettono al mondo e ci destinano all'inferno.
P. 286, scrittura assai contraddittoria, prima Anaïs dice di essere realistica e contraria al surrealismo e poi si converte a uno stile surrealista e al sogno.
P. 288, un genio della femminilità ! “Domino con la seduzione, il fascino, la devozione, ...”
P. 292, osservazioni icastiche sull'organizzazione del potere e le buone intenzioni iniziali.
P. 299, posizione politica di Anaïs (anarchica).
P.300, desiderio dionisiaco, sembra abbia letto Nietzsche.
P. 316, “la creatività germoglia solo nell'isolamento”, cfr. Nietzsche “tu, patria mia, solitudine !” in Così parlò Zarathustra.
P. 338, mostra un certo disprezzo per i poeti rivoluzionari dell'epoca (e anche quindi e giustamente per Pablo Neruda, autentica mistificazione editoriale).
P. 353, alla fine del diario si menziona una non precisata commedia di Pirandello adattata al cinema, probabilmente il romanzo Il fu Mattia Pascal. Viene definita “tortuosa, ellittica e folle”. Riconosce che Pirandello si avvicina alla vera profondità senza però “entrarci fino in fondo, restando ai margini come fa il folle o il nevrotico.”
Le espressioni finali sono una sintesi suggestiva di tutta l'opera : “Mai morte. Fuoco e vita. Le jeu.”

sabato 28 settembre 2019

Macrobio, Commento al sogno di Scipione


Macrobio, Commento al sogno di Scipione, Milano, Bompiani, 2007


P. 238 (2. 3). Attacca la setta degli Epicurei, che non accetta la tradizione platonica riguardo all'immortalità dell'anima ( mito di Er nella Repubblica ).
P. 244, cap. 17 : “… ita a prudentibus arcana sua voluit per fabulosa tractari.” ( la natura esige dai saggi che si occupino dei suoi segreti attraverso narrazioni simboliche ).
P. 256, I, 4, 4 : il luogo delle anime beate è la galassia. Cfr. Johann Jakob Bachofen, La dottrina dell'immortalità della teologia orfica e G. de Santillana, Herta von Dechend, Il mulino di Amleto ( vedi schede di lettura su questo blog ).
Cap. 6, lunga trattazione sul valore dei numeri, secondo la tradizione pitagorica ( cfr. Platone e Plotino sulla monade ).
P. 284 ( 46 e 47 ) vedi : “mundanae animae origo septem finibus continetur ...” ecc. Concezione orfica. Origine dell'Anima del Mondo. Vedi p. 84 della Teologia orfica di Bachofen. Lo schema del cielo dove sono i sette pianeti corrisponde alla struttura dell'anima.
P. 48 vedi considerazioni sulla luna e sul sole e Bachofen p. 84.
P. 293 – 294 : interessanti considerazioni sul valore del n. 7 nella vita umana.
P. 318, I, 9, 10 : dottrina orfica della sede delle anime, fuori dal corpo, prima o dopo la reincarnazione e la morte : “Animis enim necdum desiderio corporis inretitis siderea pars mundi praestat habitaculum et inde labuntur in corpora. Ideo his illo est reditio, qui merentur. “
P. 326, I, 17 : l'inferno è il corpo, la nascita è di fatto una morte per l'anima, la morte del corpo è una rinascita dell'anima nel mondo superiore del cielo fra gli dei.
P. 328, I, 11, 7 : abitanti della luna, credenza negli extraterrestri già propria degli antichi ( vedi la Storia vera di Luciano ).
P. 330, caduta dell'anima nel corpo. Corpo eterico : “In singulis enim sphaeris quae caelo subiectae sunt aetheria obvolutione vestitur.” La teoria del corpo eterico propria dei teosofi suggestionati dalla filosofia indiana riceve qui una testimonianza in più ( cfr. Arthur E. Powell, Il doppio eterico e altri fenomeni, Milano, Alaya, 1994 ).
P. 332, I, 12. Le porte del cielo ( solstizio nel Capricorno e nel Cancro, anche se attualmente i segni sono diversi per la precessione degli equinozi ). Discesa per queste porte e salita delle anime, dal cielo e al cielo, secondo la tradizione orfico-pitagorica ( vedi commento p. 607, molto interessante ).
P. 333-334, discesa dell'anima nel corpo. Oblio da parte dell'anima incarnata della propria natura divina.
P. 336 (10) la conoscenza come reminiscenza, quanto meno l'anima ha dimenticato della sua vita tra gli dei tanto più conosce.
P. 336 (12) simbologia degli Orfici ( che sono alla base del pitagorismo platonico ) : Dioniso come mente che si divide nella molteplicità della materia per poi ritornare all'unità originaria.
P. 340, concezione dell'anima umana, della sua origine e dei suoi doveri. Divieto del suicidio. Concezione tutto sommato assai simile a quella cristiana ( I, 13, 3 e seg. ).
P. 342-346, libro I, 9-17, sul suicidio. Sostiene le argomentazioni di Plotino, cioè che il suicidio è determinato dalle passioni e perciò contamina l'anima.
P. 346, I, 14, 1, l'affermazione è di matrice orfica ( vedi Bachofen ) : “hisque (hominibus) animus datus est ex illis sempiternis ignibus, quae sidera et stellas vocatis; quae globosae et rotundae, divinis animatae mentibus, circos suos orbesque conficiunt celeritate mirabili.”
P. 348 (14, 2) : parentela o meglio origine dell'umanità dalle anime astrali. 14, 3, 4 : importante la distinzione tra animus e anima. Il primo è la mente, lo spirito, la seconda il soffio vitale, che tiene in vita l'essere animato. Stessa distinzione in Bachofen.
NB cfr. Il mulino di Amleto, p. 282, 287, 357.
P. 354, I, 15-16 : l'Anima del Mondo pervade di sé tutti gli esseri che pertanto sono in comunione con Dio. I, 16, gli uomini hanno in comune con gli astri la ragione, la mente e ciò li pone al di sopra degli altri animali.
P. 358, I, 15, 1. Si ribadisce che il circolo latteo è la sede delle anime beate.
P. 374, I, 17, 8 : “Nam cum animae, quae incorporea est, essentia sit in motu ...”, si afferma che l'Anima cosmica eterna è in perenne movimento, e che questo è la caratteristica fondamentale di ciò che vive.
P. 422, I, 21, 33-36 : esposizione della dottrina orfica della separazione operata dalla luna tra mondo divino degli astri e mondo corruttibile sublunare ove vivono gli uomini.
Libro II, 1, p. 436 : armonia delle sfere. “In caelo autem constat nihil fortuitum, nihil tumultuarium provenire, sed universa illic divinis legibus et statuta ratione procedere.”
Per il testo seguente cfr. Schuré, Storia del dramma musicale, a proposito della musica greca (vedi scheda relativa su questo blog).
P. 438 ecc. Per quanto riguarda la musica di origine pitagorica ( ossia la musica antica, la teoria musicale studiata nelle scuole ) si vede chiaramente che se la musica ha da unirsi a qualcos'altro, questo certamente non è la parola ma il numero. La diversità e gli accordi dei suoni sono infatti regolati da rapporti numerici e da essi nascono. Che poi tale varietà e contrapposizione possa fare nascere diverse sensazioni uditive e diversi sentimenti questo non è dovuto all'unione con la parola ma è proprio della musica. La parola esprime però qualcosa in più : l'idea.
P. 444. Segue l'esposizione della relazione tra numero e figure in geometria. Al punto corrisponde la monade come origine dei numeri in quanto dal punto derivano tutte le figure e le relazioni di spazio.
P. 446. L'Anima del Mondo secondo la tradizione platonica è contesta dei primi numeri dalla monade all'ottonario per i numeri pari e per i numeri dispari al numero ventisette, che è il triplo di nove. Quindi dalla monade segue la successione ternaria 2, 4, 8 per i pari e 3, 9, 27 per i dispari. A questi numeri segue un'ulteriore suddivisione armonica e numerica, come è ricavato dal testo platonico del Timeo.
P. 452-453. Sostiene che le Sirene e le nove Muse non sono altro che la personificazione della musica celeste e l'anima umana stessa è l'espressione dell'Armonia musicale celeste, alla quale, morto il corpo, ritorna come alla sua propria sede.
P. 454-456. Le cause della musica sono innate nell'Anima del Mondo, la quale provvede alla vita di tutti gli esseri viventi, a buon diritto quindi tutto è sottoposto al potere della musica, perché l'Anima celeste, che tutto anima, deve la sua origine alla musica.
P. 514, sostiene che all'Egitto non nocquero mai le catastrofi naturali proprie al resto della terra e perciò “infinita annorum milia in solis Aegyptiorum monumentis librisque releguntur.” Vedi il libro della Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Bari, Laterza, 2010, a proposito della fama dell'Ermete egiziano detto Trismegisto in Occidente. Macrobio abbraccia la dottrina platonica e in genere orfica dei cicli cosmici e dell'alterna distruzione e rinascita del mondo, limitandosi però all'umanità. La distruzione e la successiva rinascita riguardano cioè soltanto il genere umano, non il resto del mondo ( “incolumi mundo” ).
P. 518. Ecco il grande anno, cioè il ritorno di tutto il cielo al punto di partenza del grande ciclo cosmico che dura quindicimila anni. La tradizione dell'annus magnus è presente in tutta l'antichità, vedi ad es. il Timeo di Platone. In epoca recente è stata trattata esaurientemente da De Santillana e Von Dechend nel Mulino di Amleto. La concezione del tempo ciclico e non lineare è tipica del mondo antico e questo spiega anche la tradizione del diluvio universale, mito che non è soltanto biblico.
P. 520. L'anima dell'uomo è immortale, anzi essa è un dio, invece il corpo è mortale. Nell'interpretazione del passo ciceroniano Macrobio ricorre alle Enneadi di Plotino. Ma è la stessa concezione che troviamo nei libri attribuiti a Ermete Trismegisto ( cfr. Giordano Bruno e la tradizione ermetica della Yates ).
P. 522-523, viene riferita l'opinione di Plotino circa l'essenza dell'uomo. Essa è l'anima “qui verus homo est” mentre il corpo è l'animale animato da essa, che muore quando l'anima, che lo regge, lo abbandona. Ma l'anima è immortale e corrisponde per similitudine a Dio che governa il mondo. Come Dio infatti l'anima governa quel mondo più piccolo che è il corpo. Si parla così di macrocosmo e microcosmo essendo l'uomo il piccolo mondo e Dio il reggitore del grande mondo, “mundum magnum hominem, et hominem brevem mundum esse.”
P. 526, viene trascritto il brano di Cicerone relativo all'anima, in cui l'argomentazione sulla sua immortalità è basata sulle affermazioni del Fedro di Platone. Tali affermazioni si incontrano anche nelle dottrine Yoga e Sankhya dell'antica India ( cfr. G. Tucci, Storia della filosofia indiana, Bari, Laterza, 2012, p. 73 ).
Libro II, 14-15, argomenta contro i sillogismi di Aristotele, dopo averli esposti, a proposito dell'anima come principio del movimento. Aristotele infatti affermava che l'anima se è principio del moto non può muoversi a sua volta, contrariamente all'affermazione di Platone dell'anima che si muove ed è principio del movimento.
P. 564 (16, 26). Necessità dell'esistenza dell'Anima del Mondo, che muove tutto il cielo e l'universo e si muove a sua volta. Critica ad Aristotele sull'impossibilità di un principio motore immobile e sul fatto che il movimento del creato e dell'uomo è determinato dall'anima che tutto muove e muove anche se stessa. Si noti che l'idea dell'Anima del Mondo è fondamentale per la filosofia ermetica del Rinascimento e per la magia, combattute in ultimo da Mersenne e dalla nascente scienza moderna cartesiana, che appunto negavano risolutamente l'Anima del Mondo in nome del meccanicismo .
P. 570, II, 15-16. Anche qui si coglie la concezione neoplatonica, orfica e animistica che sarà recepita dalla magia rinascimentale. La filosofia naturale si occupa dei corpi divini, gli astri ( “naturalis quae de divinis corporibus disputat” ) e tra questi il sole ha il primato, anche se non si afferma chiaramente la teoria eliocentrica ( “deque principatu solis” ).
L'ultima frase del commento afferma che in quest'opera di Cicerone è contenuta tutta la filosofia.

martedì 30 luglio 2019

G. D'Annunzio, da Il libro segreto ( sulle opere di successo )


G. D'Annunzio, Il libro segreto, Milano, Oscar Mondadori, 1977


La grandezza di un'opera non si misura al numero dei suffragi che l'accolgono ma sì bene all'impulso ch'ella determina in rari spiriti chiusi, all'ansia subitanea ch'ella solleva in un uomo d'azione o d'accidia o di mercatura, alla perplessità straziante ch'ella agita in una sorte già resoluta.” (p. 224)

lunedì 29 luglio 2019

Paul Bourget, Cosmopoli








Paul Bourget, Cosmopoli (1892), Firenze, Salani, 1930


Dialoghi da scena di teatro, personaggi fortemente tipizzati, la cui psicologia si ricava dalla descrizione del loro aspetto e dai discorsi che fanno come rivolti a un uditorio.
P. 36-37, Dorsenne il romanziere gentiluomo, ironico e fatuo, assomiglia molto ad Andrea Sperelli ne Il piacere (1889) di D'Annunzio. Inoltre il romanzo è ambientato a Roma, la Roma di Sperelli, quella barocca dei papi e quella elegante delle dame.
Il romanzo è abbastanza superficiale, ma brillante e scritto molto bene, per la convenzionalità dei personaggi e delle situazioni si può accostare a quelli del nostro A. G. Barrili, ma è decisamente superiore per l'analisi e la finezza introspettiva.
P. 42, l'aspetto fisico di Dorsenne assomiglia a quello di Claudio Cantelmo ne Le vergini delle rocce di D'Annunzio. Viene infatti paragonato a un bruno monaco spagnolo dimagrito dall'ascetismo, dal colorito olivastro, proprio come Cantelmo. E' un dilettante di sensazioni, vuole “rendere intellettuali delle sensazioni vive” (p. 43).
P. 45, sempre a proposito del giovane scrittore si parla di “epicureismo cerebrale”, avvicinandolo molto al Des Esseintes di Huysmans. Altro rilievo, alla Andrea Sperelli : “L'eccesso della riflessione veniva sempre a corrompere o a distruggere la sua innata sensibilità …“
P. 66-67, nonostante l'analisi psicologica del personaggio Dorsenne, prevale il tipo umano e la tipizzazione sfocia in una convenzione di figurine alla moda come la contessa Steno. Decisamente Bourget è un Barrili un po' meno ingenuo.
P. 78-79, il tipo umano descritto nel personaggio del conte Boleslas Gorka è chiaramente simile ai personaggi di D'Annunzio, evidentemente un modello comune agli scrittori “esteti” : “... Boleslas Gorka, celebre come bell'uomo, ammirevole animale umano, sì fine e sì forte, che aveva in sé secoli e secoli d'aristocrazia.” Fisico asciutto, elegante, dalla lunga barba dai riflessi rossastri e naturalmente “tombeur de femmes”, fuma sigarette russe come il futuro Thomas Buddenbrook.
La maggior parte dei personaggi è rigorosamente aristocratica e, come Dorsenne, afflitta da sensibilità nervosa cronica ( vedi Alba Steno ).
P. 122, il ritratto della signora Steno ( madre di Alba ) è del tipo convenzionale ormai, alla Balzac, e che troviamo prodotto in serie nei romanzi d'appendice di Anton Giulio Barrili, cioè la solita biondona coperta di perle e smeraldi paragonata ai ritratti di Tiziano.
Il cap. V inizia con l'analisi psicologica della contessa Steno, che rivela l'interesse dell'autore proteso a sondare l'animo umano. Ma si tratta di un'analisi da romanziere e i casi contemplati rientrano tutti nel cliché delle figure da romanzo.
Nel cap. VI si nota l'abilità psicologica del romanziere nel delineare la personalità di Florenzio Chapron e la storia della sua formazione tenendo presente le caratteristiche ereditarie e l'influsso dell'ambiente ( vedi Hippolyte Taine, Philosophie de l'art, 1893 )
P. 181, NB sia Montfanon, il nobile reazionario amico di Dorsenne, che lo stesso Dorsenne sono amici del conte Gobineau, “l'apostolo della teoria delle razze” !
La macchinosa rete che avviluppa un adulterio a un matrimonio combinato con le trame sotterranee per evitare un duello ( cap. VI ), pur manifestando l'abilità psicologica del narratore , riesce nondimeno gravosa al lettore di romanzi, tranne, forse, a chi è abituato alla saggistica freudiana.
P. 208, rassegna del bel mondo che ricorda gli articoli giornalistici del D'Annunzio mondano. E' evidente che il pubblico a cui questi scrittori si rivolgono è lo stesso, quello dell'aristocrazia e della media borghesia snob.
P. 212 e sg. L'analisi psicologica di Lidia Maitland si estende per più pagine ed è davvero magistrale, come l'incontro di lei e Maud Gorka viene rappresentato nella sua evidenza drammatica, nella sua naturale tensione emotiva. Bourget mostra una grande conoscenza del cuore umano.
Anche l'analisi dell'animo di Maud Gorka è condotta con grande sapienza, e suscita il paragone con le analisi di caratteri più o meno contemporanee dei romanzi di D'Annunzio, soprattutto Il piacere e il Trionfo della morte. Questo gusto per l'analisi è un po' tipico dell'epoca, da Tolstoj a Thomas Mann, celebrando la sua apoteosi con Marcel Proust. Direi che per questo motivo la seconda metà del romanzo è superiore alla prima.
Cap. VIII. La scena del duplice duello è assai suggestiva, Bourget è senza dubbio un abile narratore e sfrutta tutte le possibilità offerte dall'intreccio e dai personaggi. D'altra parte, non manca di ottimi maestri ( vedi Dumas ).
Il seguito di analisi psicologiche nel colloquio tra Boleslas Gorka e sua moglie Maud e poi in quello tra la contessa Steno e sua figlia Alba è opera di un vero maestro. Il problema è che l'eccezionale capacità di analisi viene esercitata su personaggi di per sé poco significativi e poco complessi, di modo che si tratta più dell'analisi di una singola passione che di un essere umano. La passione viene sceverata e passata al setaccio, ma l'essere umano non ci appare in tutta la sua molteplice vita spesso contraddittoria, infatti, se di contraddizioni si tratta, sono sempre le contraddizioni di una singola passione.
P. 281, soltanto l'analisi dell'animo di Alba Steno non è soggetto al dominio di una sola passione. Qui l'avanzare del dubbio e la progressiva caduta di ogni possibile giustificazione vengono presentati nella loro cruda inesorabilità e la complessità che ne deriva nei pensieri di Alba corrisponde alla realtà della psiche. Qui direi che lo scrittore esplica in modo completo il suo talento che è senza dubbio grande.
Così inesorabilmente procede nella sua tragica spirale la scena della rivelazione dell'adulterio di sua madre e di Maitland per opera della perfida e infelice moglie di lui, Lydia, altro esempio di psiche contorta che dà la misura della capacità notevole di analisi del romanziere.
P. 341, l'analisi psicologica è a tal punto rigorosa e scientifica che l'autore si spinge fino a valutare l'importanza sul comportamento umano del peso dell'ereditarietà. Qui siamo in bilico tra il Positivismo e i trasalimenti nervosi dei Decadenti.
P. 345, la scena dell'incontro tra Alba e lo scrittore Dorsenne, la confessione d'amore della giovane destinata al suicidio, sono di rara efficacia, Bourget sa calibrare perfettamente le dosi necessarie a ottenere come nell'acme di una tragedia il pathos. E Dorsenne con la sua cerebralità e aridità sentimentale è il tipo di esteta dilettante alla Andrea Sperelli e nella sua freddezza quasi crudele assomiglia a un altro giovane bello e insensibile, che provoca la morte dell'innamorata, cioè Dorian Gray.
La narrazione del suicidio di Alba è forse un po' prolissa e l'autore indugia troppo, però la descrizione del laghetto di Porto è un quadro decisamente suggestivo e degno del pennello di un Boecklin :
... la superficie del lago era così calma, che appena appena, a intervalli, un lieve e silenzioso fremito increspava l'acqua nera, grave, densa, invasa dai giunchi, coperta da lunghe e cupe foglie di piante acquatiche. E dappertutto, intorno alla fanciulla, c'era un'immensa fioritura, come una foresta di gigantesche canne rosee, mentre sull'altra sponda i pini italici si ergevano, allungando, allargando le loro chiome nere su un cielo turchino ove il sole cominciava ad abbassarsi, poiché erano passate le cinque, e una nebbiolina lieve già biancheggiava sul lago, - non nebbia, no, - un alito, un vapore di vapore, come per velare il tono troppo metallico dell'acqua morta. Non un soffio di vento faceva tremare le esili canne attraverso le quali saliva il gracidare delle innumerevoli rane nascoste nell'erba. Talvolta una di queste bestiole faceva un salto nel lago : era come il rumore di un sasso che cade nell'acqua, uno sciacquio, il brivido di una ruga più profonda, - poi lo specchio del vasto stagno riprendeva il suo aspetto, di un fascino sinistro e incantevole in pari tempo. Talvolta, invece, dei corvi volavano pel cielo, con grandi stridi, andavano a posarsi su un prato a sinistra, a cui conduceva un viale fiancheggiato di rose per il quale Alba era sopraggiunta, ed essa aveva colto senza riflettere alcuni fiori di cui si era adornata il petto, per un ultimo istinto di giovinezza e di civetteria anche nella morte ! … La fine di quel pomeriggio così puro, quel lago quasi fantasticamente immobile, quell'orizzonte tragico con un certo carattere d'ineluttabilità sparso su tutte le cose, - tutto il malinconico scenario di quell'istante supremo s'accordava in modo così completo coi pensieri della fanciulla, che essa ne fu rapita. C'era nell'atmosfera umida che a poco a poco la penetrava, un incanto di sonno mortale a cui si abbandonò come in sogno, quasi con una voluttà fisica, senza più volontà, assorbendo con tutto il suo essere gli effluvi di febbre di quel luogo, uno dei più micidiali, in quel tempo e in quell'ora, di tutta la pericolosa costa, finché un brivido di freddo la scosse a un tratto, sotto la stoffa sottile della sua camicetta da estate. Ella strinse le spalle, serrò i denti, e quel subitaneo malessere fu per lei il segnale d'agire. Prese il viale dei rosai in fiore per giungere a un punto della riva spoglio di vegetazione dove si disegnava la forma di una barca. Lesta lesta la sciolse, e, manovrando con le sue mani delicate i remi pesanti, si avanzò fino in mezzo al lago.” (p. 353-354)
L'epilogo con il dialogo tra Montfanon e Dorsenne e la requisitoria del primo contro i sofismi dell'intellettuale decadente e algido costituiscono una sorta di condanna dell'esteta, del dilettante di sensazioni, che era stato invece celebrato da D'Annunzio. Ma anche Oscar Wilde esprime un giudizio di condanna nei confronti di Dorian Gray, facendogli fare una brutta fine. Però poi nella vita continuò a professarne le idee e gli atteggiamenti.
Montfanon costituisce l'alter ego di Dorsenne. E' il nobile attempato e legato alla vecchia Francia. Cattolicissimo, oppone la forza della fede al cinismo corrosivo del giovane amico. E alla fine del romanzo si rivela una sorta di guida morale, il vecchio saggio che riesce con la sua costante assistenza a porre Dorsenne sulla via dell'umanità e della redenzione.

lunedì 15 luglio 2019

Pirandello, Ciascuno a suo modo


L'arte di Pirandello è tutta basata sul paradosso. Anche il titolo della raccolta di tutti i drammi, cioè Maschere nude, è un paradosso, perché è un ossimoro. Il paradosso è basato sul contrasto evidente tra due idee, così l'ossimoro, e infatti dice Pirandello che il suo umorismo è basato sul “sentimento del contrario”.
A parte dunque il retroterra culturale di Pirandello che è sicuramente vastissimo, da Nietzsche a Freud a Bergson, la sua arte è però molto semplice, essa consiste nel paradosso. E questo può avere un esito tragico come uno comico, basta sfruttarne a fondo il filone che è praticamente inesauribile. Questo spiega l'estrema prolificità di Pirandello.
Un altro elemento accattivante è l'abilità dialettica che rifulge sulla scena e richiama il dialogo socratico di Platone, dove spesso Socrate procede per antitesi, giochi di parole e paradossi. Questo elemento conferisce ai drammi di Pirandello un alone filosofico di indubbia originalità rispetto alle opere teatrali dell'epoca, ad es. quelle di D'Annunzio dove prevale la forza fatale della passione.
Tuttavia la frequente rottura della finzione scenica per rivelare l'interno meccanismo di essa, e che è a sua volta ancora finzione, risulta alla fine stucchevole. Se ciò gratifica inizialmente lo spettatore goloso di nuove trovate, secca però il lettore del testo che perde il filo degli avvenimenti.
Se viene soddisfatta l'ansia di novità del pubblico, è anche vero che il fine della poesia non è la “meraviglia”.
Così dopo la lettura di uno di questi drammi, come ad es. “Ciascuno a suo modo” o “Questa sera si recita a soggetto”, si torna a respirare d'un respiro un po' pacato e salutare dopo tanto ansimo, con la lettura d'un classico come “L'avaro” di Molière.

giovedì 11 luglio 2019

Venus


Sole d'estate sopra il giglio azzurro,
tu dimori sui prati Anadiomene,
fili d'oro la fronda quasi vene
di luce verde colta in un susurro,

e nell'iride accorre cinerina
la Fenice purpurea, tu distilli
su grappoli di fiori la sordina
d'acre suono che impetri e disfavilli.

Vergine stanca o amazzone guerriera
muovi alla danza sull'arboreo fiato,
che scolora nei venti e torna cera
d'api e di miele calice illibato.

Fuga di veli nuda tu ammanti
l'ammaliato narciso, e il sacro
coro dei monti per i dolci canti
vibra sui sassi rapido lavacro.

Tu assalto d'ombre nel tempestoso
sonno del giorno, e occhio che dormi
nella stilla del lago lacrimoso,
sogni d'aironi i variati stormi.

Ansia cupa della nube grigia,
agonia d'un vello putrescente,
per la palude ti dissolvi Stigia,
più nulla offri alle pupille spente.

Ma la tua chioma è un tiepido ruscello
nella mattina vergine e vivace,
vivida foglia di smeraldo tace,
spira ed odora casta in un sacello.

Così i tuoi occhi suonano armoniosi
come i fianchi dell'arpa levigati,
bella e sinuosa onda che ti sposi,
sciolta la spuma in ansimi falcati.

Nere pupille come le criniere
di stalloni sulfurei al galoppo,
o labbra di soave bocca sincere
e troppo ardite e bramate troppo.

O profilo del mento, dolce naso,
o delicata fronte rilucente
da fiori d'oro nel tuo cielo invaso,
caro segreto dell'astrusa mente,

o d'amori in fuga amorosa torma,
ti precipiti e ti celi ora invano,
quale corpo che solitario dorma
e più trascorre nell'immenso piano.

Ebrezza folle del linguaggio muto
è della danza la magia sovrana,
come ti segno nel pensare acuto
così ti bevo nella coppa arcana.

Un cigno del passato si ricorda
sul lucido sospirare dei meli
quale si perde di memoria l'orda
nell'oblio monotono dei cieli.

Tu certo non ricordi, fanciulla,
l'attimo perduto degli sguardi,
il grigio dei capelli è troppo tardi
e il volto si dissolve nel mio nulla.

Che d'imeneo il soave flauto
perduto giacque sopra morte arene,
questa fu colpa e il suonatore incauto,
che si recise le pulsanti vene.

Non assicura un bacio le perfidie
e velleità del morso misterioso
e non hai per me le dolci insidie
e non mi attiri un palpito geloso.

Anni perduti nell'inconscio nodo
dei doveri e del fato, odiosi inganni
dello spietato tempo, sconci affanni
d'una coscienza che non ha più modo.

Sogno senza rimedio, e conforto
di fantasmi, né a me quieto porto
di maturi riflessi, rimembranza
di figure ignote, in lontananza.