lunedì 25 maggio 2020

Erodiade


J’aime l’horreur d’être vierge et je veux
Vivre parmi l’effroi que me font mes cheveux
Pour, le soir, retirée en ma couche, reptile
Inviolé sentir en la chair inutile
Le froid scintillement de ta pâle clarté
Toi qui te meurs, toi qui brûles de chasteté,
Nuit blanche de glaçons et de neige cruelle !
( Stéphane Mallarmé, Hérodiade )




Quando sui vetri vibra il verde raggio
d'una penombra immota,
quale un'idra che s'insinua e dilaga
nella stanza nelle volute bronzee
del colubro,
m'appari, Erodiade, dal chiaro sguardo
di diamante.
Oh, occhio in cui s'immerge il mio sogno
e in cui si perde nel varco
d'un vano sibillino, nel gelo d'una fonte ghiaccia,
e il mio sogno s'annega
nel tuo sguardo di sfinge.
Intorno le spire d'oro e di smeraldo,
come il fondo delle paludi,
si serrano piano piano
al soffio del vento d'occidente,
mentre avanzi verso di me, colma
del tuo gelido orrore
e ti siedi di fronte a me e mi guardi
con palpebre socchiuse,
senza vedermi.
Fuori l'onda dardeggia tremula
dal mare squamoso, ai rami
dei giardini il lume brucia
tra il fogliame, il riflesso iridato
della fiamma dal tuo viso,
che una lacrima estingue.
Giardini d'ametista ove divaga
il fremito bianco e nudo della veste,
una sagoma d'ambra fuggitiva
si ripara alla soglia dello specchio,
ove si mira.
La pupilla si fissa, si perde, s'impietra
nel buio dell'abisso,
onde non torna più che un senso ignoto
di solitudine,
e dalle membra eburnee traspira
un balsamo, aroma di delizie funebri.
La tua bocca s'avvicina e bacia
la fredda pelle ritratta,
un inganno, una malia
di giovinezza s'accoppia
alle tue labbra rubee,
il vitreo gelo s'imprime,
ti urta, ti ferisce.
Sanguina la tristezza sterile dell'abbandono,
ma non rinunci alla tua morsa
che cinge nella spirale che piange
di desiderio flebile.
T'accasci, umiliata dalla tua bellezza,
la mano s'apprende allo specchio,
lo artiglia stridendo.
Tu che muori, tu che bruci di castità,
mia sorella eterna,
mentre le onde danzano con la luce della luna
e la notte si placa come un corpo
greve di ombre,
ti siedi di fronte a me e mi guardi,
senza vedermi.

lunedì 18 maggio 2020

A Ezio Bosso


Quale l'annuncio, si erge il volere,
attraverso i mondi, oltre le nubi,
sopra la chiusa valle dei mortali.
Sulle vette delle alte montagne
vennero gli dei, un tempo, agli uomini.
Ma bussa alla tua porta il destino,
e ti volgi, ora, e lo guardi.
Non il manto della morte avvolge
la luce che risplende fra le tenebre,
sorge in alto la fiamma dell'Amore.
Spirito puro avanza verso il cielo !
Nato fra gli dei, chi conosce ostacoli ?
Leva dal caos il turbine, espandi
ora il sogno dal flauto dei pastori,
dal cuore palpitante s'alzeranno
i flutti di radiosi suoni
e sfoceranno all'immenso mare
dell'aurora ! Là sovra assolati
monti maestose volano le aquile,
votate al cielo; come la luna
sulle acque si mira, lieve per le ombre
dell'onde arboree scivola il cigno;
tu più in alto del falco sulla vetta,
oltre le nebbie della valle, posi,
fuoco possente, luce meridiana,
inno che solo nell'eterno echeggia.
Nelle anime più grandi arde il sole,
l'anima dell'uomo è folgorata
dalla fiamma dell'anima. Sul mare
immenso sorge la montagna erta
dell'essere, ed intorno le vite
gloriose volitano con ampie
candide ali in ampi giri alla vetta,
di nuovi alati giorni messaggeri
e ai mortali monito. Solleva
dal caos il turbine, risorga ancora
il sogno dal flauto dei pastori,
a te in amicizia rapito il volto
appresserà lo spirito dell'uomo,
in te specchierà il suo migliore aspetto.
Come canute onde crollano i venti
tumultuose, s'agita nel cuore
il pensiero e s'affanna all'opprimente
dubbio, della sorte che attende ignaro.
Ma il destino bussò alla tua porta.
E ti volgi, ora, e tu guardi.

domenica 10 maggio 2020

G. D'Annunzio, La Gloria


G. D'Annunzio, La Gloria (1899), in Tragedie, sogni e misteri, Milano, Meridiani Mondadori, 2013


La tragedia è ambientata a Roma, ma si tratta di una città immaginaria che richiama la Roma imperiale o Costantinopoli, quindi il motivo già rilevato da Mario Praz (1) della città mostruosa e decadente ( come Cartagine nella Salammbô di Flaubert ). Nelle prime scene già sentiamo alitare la fama della donna fatale, Elena Comnèna, il cui cognome indica l'erede dell'antica dinastia bizantina dei sovrani di Trebisonda. Ma la vicenda sembra fuori della storia, circondata da un alone di leggenda.
Atto I, scena III (p. 349-356). Continui richiami alla filosofia superomistica di Nietzsche e al mito napoleonico. Secondo i Mèmoires di Laure Junot, marchesa di Abrantes, Napoleone sarebbe stato imparentato con la dinastia imperiale dei Comnèni ( vedi nota a p. 1164 ).
Atto I, scena V, entra la Comnèna. Ecco la donna fatale in tutta la potenza del suo fascino, ella incarna la Gloria ! E' una ripresa della figura già delineata nel personaggio della Dogaressa Gradeniga nel Sogno d'un tramonto d'autunno (1898), opera che rievoca le tragedie senecane, caratterizzata da un'enfasi asiana e che risente senza dubbio dell'influsso di Swinburne. Altro influsso certo è il mito bizantino che vede in Teodora, sposa di Giustiniano, la femme fatale perversa e crudele, dedita a pratiche di stregoneria e ai veleni. La fonte di questo mito di Bisanzio, splendidamente analizzato da Mario Praz, è Procopio di Cesarea con le sue Storie segrete, ma il mito aveva avuto la sua divulgazione con Irène et les Eunuques di Paul Adam e con Teodora di I. Fiorentino, opere contemporanee a D'Annunzio e da lui conosciute.
P. 384, l'apparizione della madre di Elena, Anna Comnèna, richiama il mito, rievocato da Flaubert, di Salomé ed Erodiade. A p. 385, infatti, Cesare Bronte si rivolge ad Elena come alla donna fatale simbolo di lussuria e di perfidia, vera e propria Lilith o Salomé, che è ormai un tòpos culturale, basti pensare all'Apparition di Gustave Moreau.
P. 396, atto III. Si delinea più chiaramente la prospettiva storica. Si tratta certamente di un'epoca immaginaria ma vi sono riferimenti alla situazione politica e ideologica attuale. Gli “Inviati delle Federazioni rurali” sembrano alludere ai movimenti rivoluzionari anarchici contemporanei. Tutta la trama politica del dramma rispecchia la situazione storica del 1898, però sembra anticipare gli avvenimenti e i protagonisti della prima metà del XX secolo.
Atto III, p. 407. Tra i misfatti della Comnèna si riconoscono alcuni attribuiti da Procopio a Teodora o, meglio, al suo protetto Pietro Barsime, cioè il commercio fraudolento di grano marcio. D'Annunzio vi allude con “putridume” e “merci avariate”.
P. 418. Superomismo della Comnèna tra Nietzsche e Oscar Wilde. L'immagine del mezzogiorno, “l'ora della gran luce“, è chiaramente di Nietzsche, ma la scena immediatamente seguente richiama il sadismo di Salomé, esemplarmente rappresentato nell'opera omonima di Wilde (1896) :

La donna ha posato su gli omeri di lui le sue mani micidiali, e s'inclina verso di lui con mollezza. A un tratto, con un gesto appassionato, ella gli caccia le dita nei capelli, su le tempie, come per baciarlo; ed egli si scolora rovesciando indietro la fronte.
LA COMNENA
quasi ebra, sommessamente, lentamente.
Ah il tuo coraggio che canta ! Il tuo sangue è pieno di melodia … Non hai ora in te tutta la melodia del mondo ? Nessuna cosa ha tanta musica quanta il coraggio che sale. Io la sento, io la sento …
Ella gli sorregge il capo e lo sfiora con l'alito. Una pausa.
Tu tremi ?
RUGGERO FLAMMA
con la voce spenta
Di te …

Come si può notare, la scena rievoca immediatamente quella di Salomé, quando bacia ebbra di voluttà la testa mozza del Battista (2).
Atto IV, p. 427, l'espressione “un immenso desiderio di vivere tutta la vita” riecheggia un pensiero di Nietzsche, il n. 249 del libro III de La gaia scienza : “Oh, questa mia bramosia ! ... un io che vorrebbe avere tutto, che vorrebbe vedere e afferrare per mezzo di molti individui come fa con i suoi occhi e le sue mani, anche un io che va a riprendersi tutto il passato, che non vuol perdere niente di quanto potrebbe accadergli ! Oh, questa fiamma della mia bramosia ! Oh, se potessi rinascere in cento esseri !” ( Nietzsche, Opere 1882/1895, Roma, Newton, 1993 ).
P. 434-438, ecco la donna fatale in tutta la sua potenza felina, ella è “pieghevole e possente” e s'impadronisce facilmente di Ruggero Flamma, lo domina, lo rende suo schiavo. Ella è del tutto priva di sentimento, invasa com'è da un'ambizione sfrenata e dalla brama di dominio. Anche il sesso è per lei un'arma al servizio della sua tirannia. Ella non prova amore, ma suscita soltanto brame lussuriose.
Atto V, p. 444. Ruggero Flamma in procinto di morire, pugnalato dalla Comnèna, durante la rivolta del popolo di Roma, dice : “Sei sterile. Tutta la vecchiezza del mondo è nel tuo grembo. Tu non puoi generare se non la morte. …” Il motivo della sterilità della donna fatale e dell'ovvia sua associazione all'immagine della morte è un tòpos che si trova già perfettamente ne “La belle dame sans merci” di J. Keats e che giunge sino e oltre l'Hérodiade di Mallarmé. Lo svolgimento storico di questa figura peraltro è stato mirabilmente delineato da Mario Praz.
Il dramma è tutto incentrato sul tema della femmina dominatrice e del maschio asservito dal suo fascino perverso, e in questo certo non c'è molta originalità, ma l'opera riesce comunque suggestiva per la magistrale forza evocativa e la ricchezza d'immagini, che seguono in un indubbio dinamismo.



1) Cfr. La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Firenze, Sansoni, 1976, p. 216 ( e a p. 199, Praz dedica alcune righe a questa tragedia e alla Comnèna “... una figura che diresti tolta di peso dalla Décadence Latine del Péladan, mena alla perdizione gli uomini che le si accostano, e finisce per dare, insieme con l'ultimo bacio, la morte al vile Ruggero Flamma.” )
2) Lo stato d'animo dal quale nacque la tragedia non era certo momentaneo perché sembra scaturire dalla medesima vena anche il sonetto “Il vulture del Sole” del 1903, compreso nella raccolta Alcyone (1904), in particolare si notino i versi seguenti :

o Gloria, o Gloria, vulture del Sole,
che su me ti precipiti e m'artigli
sin nel focace lito ove m'ascondo !

Levo la faccia, mentre il cor mi duole,
e pel rossore de' miei chiusi cigli
veggo del sangue mio splendere il mondo.

venerdì 1 maggio 2020

La fille à lèvre d'orange


Diretta alla foresta,
fanciulla appena desta,
muovi il candido piede
che lieve all'erba incede,
e il vento scrolla il bosco
che s'agita più fosco,
per le tue labbra belle
che paiono sorelle
all'ampio arcobaleno
nel cielo ora sereno.
Fanciulla, dolce viso,
bacia il tuo paradiso,
immersa ora nei prati
come nei tempi andati !
Che fa quel fauno azzurro,
quel magico sussurro ?
Ti bacia, abbraccia e canta
t'avvolge quasi pianta
d'edera il tirso avvolge
nell'esaltate bolge,
quando la danza freme,
bolle, borbotta e geme,
quando di noia gronda
la pioggia che ti monda,
la strega si sollazza
con Bacco che gavazza.
Godi, mia garzoncella,
questa è l'età più bella,
il languido tramonto
è là già bello pronto,
lo vedi e non sei cieca,
perciò vai in discoteca.
Tutta agghindata e bella,
ti paragono a stella
che su nell'alto splende
e poi qua giù discende,
s'imbarca alla marina
sull'onda smeraldina.
S'imbarca verso sera
e se ne va in crociera
a coste non mai viste
in cerca di conquiste.
Ma un eco di conchiglia
al sogno ti ripiglia
e ti riporta in pace
la fantasia tenace.
Sui prati e fra i mirtilli
cantano ancora i grilli,
e tu dormi sul prato
al cielo già stellato.