martedì 29 luglio 2014

Il principe e il destino

Un grande specchio sfolgorava. E un velo verde avvolse i suoi occhi.
Egli bevve il calice dell'abisso. E sull'orlo dell'abisso una fanciulla fuggiva leggera nei raggi rossi del tramonto.
Egli bevve il vino dell'oblio. E aspirò il profumo del muschio alle fonti montane e fu invaso dall'esalo resinoso degli abeti.
Come un'aquila s'innalza sovra i picchi delle rocche alpine, così il suo cuore era sopra le nubi e oltre tutti i mari.
Come una daina che balza snella fra ramo e ramo, così s'inoltrava tra le macchie del rosmarino e della ginestra bionda agilmente la giovane donna dal crine di viola, e sorrideva e rideva nella gioia del sole.
Ed egli errava oltre le montagne nere. Ma, dovunque mirasse, l'occhio suo non vedeva nulla se non la giovane donna agile e snella quale daina veloce. Le membra erano forti e delicate, gli occhi autunnali erano languidi come il vello delle foglie roride di rugiada sovra la terra dormente. Il suo viso era severo e dolce come la luce del mattino, quando traspare per le cortine nella stanza oscura.
Allora si volse e vide una navata immensa e in alto una cupola tra le nebbie dell'incenso e nel centro una gigantesca vasca marmorea ove nuotavano grandi tartarughe marine.
E la donna, dagli occhi furtivi quale vigile gazzella, a lui diceva parole sommesse pari ad onde di lago silenziose : “ Seguimi, ecco la via del serpente. “
Così disse a lui la donna e lo sedusse per la basilica immensa ove risuonavano i canti delle acque chiaroscurali. Color dell'opale uno specchio sorgeva a riflettere, occhio imperscrutabile, le alterne ombre e le onde vive.
Attraverso una bifora dai cristalli iridati un chiarore discendeva tenue e quasi occulto, quale spiraglio di luce nei recessi dell'oceano.
Oltre lo specchio si schiudeva il rauco mare inquieto.
Infinita era la pianura delle acque. E presso l'onda volubile e ritrosa appariva una donna avvolta in un candido peplo, ed era alta e bella ed aveva un viso triste, come se avesse perduto per sempre un incanto di sogni e di gioia.
Oltre lo specchio appariva l'immagine e in quell'immagine si specchiava il principe, come in un calmo lago smeraldino.
E la vita del principe si effuse sovra il mormorare dei flutti, alito del desiderio, arido spiro del deserto.
Ed egli vide la vita del mare, del dio tumultuoso e crudele.
Ricordava gli indugi del suo sguardo sul verdecupo ansito crinito di rabbia. Dalla finestra allora osservava, dall'alto.
Dall'alto l'occhio si colmava dell'abisso.
La sala si apriva dietro di lui cinta d'ombre, dove sfiorivano le luci del crepuscolo. Come i raggi si dileguavano per le vetrate morenti, la solitudine lo invocava. Ne reclamava il possesso quale madre, sorella ed amante si contendono il desiderato.
Dall'alto osservava, superbo sulla collina e nel contempo sgomento innanzi alla tempesta e alla pace.
La montagna lo chiamava tra gli alberi alla vetta del sacrificio, all'esultare delle stelle. Ed egli avvertiva un dio entro di sé, esigente di culti e di giuramenti, e ne provava meraviglia.
E la luna dinanzi a lui dominava il mare, regina splendida della notte e si specchiava sul manto glauco gloriosa della sua corona nel corteo radioso. Ella era la dea, la dea che possiede i cuori degli uomini.
Ed ella ora gli appariva sul lido, dove si abbandonava senza riposo l'instancabile. Già altre volte l'aveva veduta nella visione crepuscolare, nell'ombra cerulea.
L'occhio di lei era oscuro azzurro e profondo, lo sguardo altero e ammaliante, quale il mare nella bonaccia, quieto, lontano dalla rovinosa ira.
Ed ella ora appariva, nella corona di fuoco.
Irradiata dalla luna, era al centro d'un cerchio di fiamme, splendida sul mare.
E a lui parve che la dea finalmente, scesa dal trono inaccessibile, rivelasse i suoi misteri.
Ella, ritta sulle gambe eburnee, era immota, estatica. La brezza abbracciandola le faceva aderire la veste al corpo e le onde di sotto al manto rilevato inumidivano le sue caviglie. La forma femminile risaltava ai raggi sèrici e incantati come cortine. Sembrava che una magica alcova la custodisse, segreta e inviolata.
E l'immagine evocata dal desiderio notturno lo introdusse nei penetrali del santuario interdetto ai profani, antro della sibilla, in cui aleggiavano vapori d'incenso e musiche occulte.
La donna abbandonò alla brezza marina la lieve veste bianca.
Una musica moltilingue quale il manto del mare scintillò note leggiadre, onde alboree nell'estate serena. Ma a poco a poco il suono subentrò impetuoso dei venti levantini, turgida nube minacciosa. Ella svaniva e appariva fra le colonne violacee come carnose euforbie o cilestri quali ametiste o del colore d'acque marine limpide o variegate malachiti, evocato fantasma nella mente inebriata in un gioco di specchi insidioso.
Una musica maestosa e mèmore di sensazioni nascoste si svelava al ritmo dei crotali e dei flauti e dei sistri, ed ella, invasata sacerdotessa, ebbra dell'ardore della grande dea, scuoteva il corpo e fremeva ondulando languidamente in lente spire.
Le membra riflettevano pallenti il lume velato della luna. Una fascia argentea le cingeva il seno, cosparsa di brillanti. Un cangiante bagliore la seguitava in una coda di cometa. I raggi pallidi si dissetavano al ventre perlaceo.
I raggi pallidi tremavano fra le onde sulla superficie nera, e la luna attendeva.
E nel buio, a ponente, oltre il promontorio, sovra gli aspri lacerti dei pini, si schiuse una lampada, un occhio oblungo.
Un occhio di sangue rifulse sul mare.
Un ansito sofferente alitava, arido. Un grande cavallo nero, ardente, si precipitava al limite della terra tra i gorghi bui, dilaniando i lembi estremi del dio dormente.
Scrollava la testa folle, ma gli occhi erano fermi alla luna e dilatati a colmarsi della luminosità quasi per sete, vacui come coppe avide del sangue spumeo della vite.
Un fragore di framee e di scudi scroscianti, uno stridìo di scimitarre, un tuono di tamburi si profuse da un capo all'altro del golfo oscuro.
Un improvviso bagliore si effuse di torce serpentiformi e di vessilli rubei quali lingue di varani voraci, dalle fauci disserrate e roventi come vulcani.
Un'orda di cavalieri scaturì dalla bruma, proni su selvaggi e annitrenti corsieri. E seguivano un uomo imperioso, ammantato d'una pelle di lupo montano, la cui voce echeggiava nella notte quale lamento di lupo montano.
Alta sotto la luna, cinta d'un alone proibito, mentre un candore dissolveva l'orizzonte confondendo il cielo e il mare in un ceruleo lago opalescente, ella si rivelava.
Più alta dei cedri, più vasta del vento, la sua voce era la collera delle tempeste, il suo respiro il ruggito delle tigri.
Squarciò il cinto d'argento. Le rose del suo petto, cupi rubini, alterarono l'aria con rosse ferite sottili. Lo specchio fluttuante riverberò il fiume d'oro sorgente dal suo grembo.
Il principe, abbagliato, mentre una mano avida gli abbrancava la chioma in forti nodi, fu trascinato alla luce impetuosa, una vittima al sacrificio.
Lo specchio s'infranse. Uno scintillìo di aculei trafisse il principe e dalle lacere membra sprizzò il sangue. Un fiotto purpureo si diffuse nel mare aureo quale un lucore violaceo del sole crepuscolare.
Un urlo varcò l'orizzonte.
Fiamme elevatissime esalarono inni di gratitudine.
Alta sotto la luna, cinta d'un alone proibito, ella reggeva con la mano destra lo scettro, nella sinistra il fiore del loto. Dinanzi a lei si prostravano i popoli, e vergini e incinte le offrivano il desiderio e l'amore.
Per lei gli uomini si trucidavano nelle guerre, e a lei sacrificavano la forza e la giovinezza. Nei riti notturni si placava la sua ira. Ella animava le fiere nelle foreste, balzando nei loro agili corpi maculati, soffiando il furore e l'ebbrezza.
Il cielo si confondeva di terrore. Il mare sprigionava i mostri degli abissi. Si spalancarono le bocche del mare e s'impennavano turbinando le creste delle acque tumultuanti.
Un immenso incendio inghiottì la foresta.
Le onde di fuoco s'avventavano contro l'ardore dei flutti e una danza crepitante e fragorosa carpiva ogni elemento e aggiogava ogni essere.
Schiumante di furore il cavallo nero si slanciò in corsa.
Il nitrito echeggiava, una disperata ossessione.
I suoi occhi erano fiamme dell'inferno, fomito di rovina il suo anelito.
Un rombo di tamburi e di tube e di piastre assordanti e di flauti ardenti e di lugubri corni s'inoltrava, seguito da una fiumana tempestosa di cavalieri, un uragano.
Il mare violaceo tumultuava, un drago sibilante dalle scaglie insorgenti sul lungo corpo lubrico su dall'abisso. La spuma si frantumava come una pelle arida sovra il salso palpito sanguigno. Contro il mostro furiosamente si precipitarono i guerrieri. I loro giavellotti a migliaia si abbattevano sopra il viscido dio muscoso. I suoi occhi erano grandi e profondi e immobili, e in essi non si rifletteva, ma si perdeva la luce.
Come un demonio attanagliava con le gambe e le braccia la groppa e la criniera del cavallo un uomo, stringendo con la destra uno stendardo rosso, guizzante e biforcuto.
E il mare si scisse e s'aperse il grande ventre senza quiete. Alla nuova guerra vaporarono le sabbie inviolate delle valli più profonde.
E disparvero in corsa nell'antro oscuro quale un torrente fangoso sfocia ruggendo e sconvolge il silenzio del mare.
Così tutti disparvero, e chi andò a vivere e chi a morire.

Nel cielo violaceo s'innalzavano le torri della lontana città.
Sul rogo era posto un sarcofago nero.
La luna si specchiava, vergine solitaria, sui freddi flutti dormenti.
E la vergine si volse al mare e lo contemplò. Gli occhi si dissetarono d'orrore. Rabbrividì nello spavento al tocco lieve dei suoi capelli effusi come una lunga veste.
Ella vide il suo volto pallido, irradiante una luce fredda, una terra remota isolata da tenebre e ghiacci.


mercoledì 23 luglio 2014

A una ragazza

Come una pianta divelta,
senza radici,
giaci al sole feroce dell'Estate,
chino il capo sopra la terra,
prona nella disperazione.
Oh, quando il tramonto ? Quando la notte ? “
Ma le stelle non hanno ancora
compiuto il loro corso, né il Sole
vuole lasciarti alla Luna.
Guarda il moto eterno degli astri,
guarda il moto eterno del mare,
così sulle onde volerà calma
la tua barca
sino all'Isola dei Beati.
Ed ora alzati e bevi alla coppa
l'ambrosia degli dei.

Stelle

Voi soltanto,
stelle,
conoscete il mio destino.
Là nell'alto
attendete
che il mio volo
si compia
e presto giunga
là dove è il mio seggio
solo
sull'erta rupe,
là, dove
volano alte
le aquile.

Il nuovo giorno

Quando ci incontreremo
sui campi della luce,
mai più non saremo
nell'oscurità.
Ma, qual vento sui prati
fioriti, correremo
nell'ora più serena
dell'immensità.
Quando allora saremo
sui campi d'oro insieme,
la mano ci daremo,
luce e verità.
Nei templi blu del sole
gioiosi danzeremo,
e spighe il nostro cuore
colmo crescerà.


Oh, fossi apparsa sui verdi piani

Oh, fossi apparsa sui verdi piani
nel roseo alone del mattino,
dove ora nulla è più del passato
ritorni, o dei giorni perduti
tu, mia speranza. Chi sei, chi eri ?
Inappagabile attimo, non mai
posseduto, non mai inteso, perpetua
fuga di dolci desideri, dove
sei, dove te ne sei andata ? Forse
ti ho sfiorato con lo sguardo, forse
col respiro, pure anelavo a te,
mia sola, mia vivente donna.
Dove mi hai incantato, e dove
il sogno mi ha lambito, nella rete
preso per un attimo ? O tu immagine
inafferrabile d'amore, quasi
un ricordo a cui si pensa invano,
poi che non è certezza se non essere,
un giorno forse, come te un ricordo.

Plutarco, La morte degli oracoli

Plutarco      Iside e Osiride e Dialoghi delfici        Milano, Bompiani, 2002
( a cura di Vincenzo Cilento )


Pag. 316, cap. 18 : molto interessante l'episodio della morte di dèmoni in Britannia. Sul sonno di Kronos vedi Il mulino di Amleto, pag. 549 ( Appendice ).

Cap. 18 : ” Demetrio, poi, affermò che tra le isole, sparse intorno alla Britannia, numerose e deserte, talune traevano il loro nome da dèmoni e da eroi. Egli stesso aveva navigato a quella volta, mandato dall'imperatore a visitarle ed esplorarle; nella più vicina di quelle isole deserte c'erano, sì, alcuni abitanti; i quali non solo erano pochi, ma erano considerati dai Britanni come esseri sacri e inviolabili. Al suo giungere, era scoppiato, lì per lì, un grande sconvolgimento atmosferico con molti portenti celesti : i venti si scatenarono e caddero le folgori. Cessata che fu la bufera, gli isolani la spiegarono col fatto che uno dei loro maggiori dèmoni era appena scomparso. Dicevano : “ Ecco, come una lampada accesa non fa male alcuno, ma nell'atto di spegnersi riesce molesta a tanti, così le grandi anime presentano un fulgore benigno e per nulla nocivo; pure, nel momento in cui si estinguono e periscono, molte volte, come ora, suscitano vento e bufere e, spesso, inquinano l'aria con influenze pestilenziali. Qui, anzi, c'è un'isola, nella quale è tenuto in prigionia Kronos, addormentato sotto la guardia di Briareo; gli fa da vincolo il sonno e sta intorno a lui tutta una corte di dèmoni servizievoli “.

Nell'Appendice de Il mulino di Amleto, pag. 550 si legge : “ Che Kronos … sia innegabilmente il pianeta Saturno non può venir ignorato da chiunque abbia letto il resoconto plutarcheo ( De facie quae in orbe lunae apparet, 941 ) sui “servitori” di Kronos che ogni trent'anni – cioè quando Saturno si trova nel Toro – fanno vela per Ogigia ove prestano servizio per trent'anni, dopodiché sono liberi di andarsene : ma la maggior parte di loro preferisce rimanere perché là, nell'isola di Saturno, l'Età dell'Oro non finisce mai. I servitori passano tutto il tempo in studi matematici, filosofici e simili, né devono darsi pensiero per il cibo, che è sempre a portata di mano. “

Vedi a pag. 322 dell'opera di Plutarco l'episodio dell'eremita presso le sponde del mar Rosso. Profetizza presso il mare, vedi Oannes a pag. 549 de Il mulino di Amleto ( Ioannes il Battista ! ) : “ ( ci si riferisce a un'opera di Robert Eisler ) E' lecito supporre senza esitazione di sorta che lo stesso sincretismo Giovanni-Oannes, che appare così naturale negli gnostici neobabilonesi [ s'intendono i Mandei ], sia esistito anche tra i più immediati discepoli ebrei del Battista, dal momento che un'influenza della credenza babilonese in incarnazioni sempre nuove dell'Oannes primordiale – Berosso conosce ben sei di queste reincarnazioni avvenute nel passato – sulle speranze messianiche del giudaismo posteriore è lungi dall'essere credibile. In IV Esdra, XII sg. … ci si attende che il redentore del mondo, l' “Uomo” celeste, sorga dal “cuore dell'oceano” prima della sua venuta, come dice Daniele ( 7, 13 ), assieme alle nubi del cielo, poiché : “ Come nessun uomo può cercare o scoprire ciò che è nelle profondità dell'Oceano, così nessun mortale può vedere il Figlio di Dio o le sue schiere se non nelle ore del Suo giorno “.
E vediamo Plutarco ( cap. 21 ) :
Dal momento che sta in mezzo a noi la tazza colma di miti e di ragioni mescolati insieme ( e dove mai si potrebbero incontrare più benevoli uditori, per saggiare questi argomenti, come se fossero monete straniere ? ), io non esito a farmi bello col racconto di un barbaro. Errai molto e sborsai parecchi quattrini, in compenso delle informazioni per scoprirlo : egli si lascia incontrare dagli uomini su le sponde del Mar Rosso una sola volta, nell'intero anno, e ne trascorre il resto, come si va dicendo, in compagnia di ninfe erranti e di dèmoni. A stento, alfine, lo rintracciai, e ottenni che mi parlasse con benevolenza.
Tra quanti uomini mai vidi, nessuno è così bello come lui. Immune da ogni malattia è la sua vita, poiché egli, una volta al mese, si cura col frutto, medicinale e amaro, di un'erba. E' esercitato nell'uso di molte lingue : con me, per lo più, usò un dorico che sentiva quasi di poesia. Mentre la sua voce risuona, il luogo s'impregna di fragranza soave, spirante, dolcissima, dalla sua bocca. Gli studi più vari e le ricerche gli fan compagnia tutto il tempo; ma alla virtù oracolare egli è ispirato un giorno solo, ciascun anno : allora egli scende in riva al mare e profetizza, consultato da sovrani e dai loro segretari, che poi s'affrettano al ritorno.
Orbene, costui faceva risalire la virtù oracolare ai dèmoni. Egli si diffuse a parlare di Delfi : di tutto ciò che qui si racconta di Dioniso e delle liturgie che si celebrano egli ha perfetta conoscenza. Diceva, anzi, che e racconti e riti riguardanti Pitone non eran altro che grandi prove sofferte dai dèmoni : al dèmone uccisore, dopo tale impresa, non era stato imposto un esilio terreno di nove anni e la fuga a Tempe; era, sì, stato bandito, ma per passare in un altro mondo, e di là, in seguito, dopo i cicli dei nove grandi anni, purificato e divenuto veramente Febo [ brillante ], ritornare a prendere possesso dell'oracolo, serbato sino allora da Themis.
I miti di Tifone e dei Titani dovevano intendersi nel modo che segue : “ prima tra dèmoni e dèmoni arsero guerre; e poi esili dei vinti o punizioni dei colpevoli, da parte del dio. Così Tifone, si dice, peccò nei riguardi di Osiride, e Kronos nei riguardi di Urano; di conseguenza, il culto reso da noi s'illanguidì ovvero si spense del tutto, allorché trapassarono in un altro mondo. ( Difatti, io ho sentito dire che i Solymi, popoli vicini ai Lici, onoravano Kronos più di ogni altro popolo; ma, allorché Kronos ebbe ucciso i loro capostipiti, Arsalo e Dryo e Trosobio, e si diede alla fuga e migrò da una terra all'altra, dove che fosse – il luogo essi non sanno dirlo - , essi lo trascurarono e chiamarono gli eroi del seguito di Arsalo “gli dèi, duri, di cerro”. I Lici fanno il loro nome nelle pubbliche e private imprecazioni. Potremmo raccogliere molti elementi, somiglianti a quelli su riferiti, dalle narrazioni mitologiche ).
Se anche chiamiamo alcuni dèmoni con i nomi riservati propriamente agli dèi, non è il caso di stupirsi – continuava il barbaro – poiché a tutti piace trarre il proprio nome dal nome di quel dio al quale ciascuno sia strettamente avvinto e alla cui potenza e al cui onore partecipi. Mi spiego : tra noi, uno è chiamato Dios, un altro Ateneo, un terzo Apollonio o Dionisio o Ermeo. Intanto, solo a pochi capita, per avventura, che il nome abbia una giusta corrispondenza; per i più, invece, tali nomi di origine divina non corrispondono per nulla, anzi sono una stonatura bell'e buona “.

sabato 12 luglio 2014

Il sogno del principe

Nella penombra egli non riusciva a vedere distintamente. E poi che sul lago incombevano le lunghe braccia nere degli alberi, a poco a poco crebbe in lui il timore. Ma, poi che era vicino alla riva, sentiva avvincersi dalle lievi mani d'Amore, e le nari aspirarono avidamente la brezza fresca.
Le acque increspate insidiavano riflettendo il colore delle foglie tremule, né svelavano il grembo torbido del lago silenzioso. Il vello irto ed opaco degli abeti giaceva nell'inerte sopore, pigro rabbrividendo agli spiri rari.
E vide nel centro dell'acqua dalle onde serpentine una rosa rossa, una gemma offerta alla spuma argentina.
Percepì un nitrito e gli parve che neri cavalieri lo circondassero. Ma nulla si mostrava. Un timore insano lo invase e s'inginocchiò come un folle.
La rosa rossa era nel centro del lago.
Lontano discerneva il tetto d'una vasta dimora avvolta da ombrose piante e avvertiva una eco di canti. Ed ecco che in un anfratto, un luogo nascosto ad occhi distratti, ben protetto da scogli e da canne chiomate, apparvero fanciulle liete coronate di narciso e di mirto.
Il principe si era avvicinato, guidato dalla melodia.
Come erano belle le fanciulle ! Quali limpidi sorrisi marini di un mattino azzurro.
Ed egli fu confitto da un'acre pena nel cuore. E gli pungeva il petto, quasi fosse amente, una pervicace ansia.
E scorgeva l'ampio padiglione vivente di luci e d'ombre. Fra i sospiri delle foglie e il canto delle cicale con fruscìo d'agili gazzelle disparvero le creature gentili, ma un viso egli colse sorridente quale cielo d'un'estate stanca.
Come una pigra corrente fra i giunchi fitti nella pianura, avanzò fra il vasto giardino canoro.
Alti archi dalle mobili ombre risonavano del roco richiamo di psittaci dal piumaggio regale, verdi o gialli, dalla cresta imperiosa rossa o turchina. Le lunghe code, strascichi di manti incomparabili, si modellavano in arabeschi sulle frasche vellutate delle piante.
Trame di coloquintidi e di liane s'inerpicavano ai vertici delle magnolie odorose, agli aceri erti, e gli abeti comati, le araucarie ondeggianti s'imponevano quasi pinnacoli di santuari silenti.
E fra le ombre si perdeva il silenzio nel regolare respiro, ed egli procedeva per lunghi corridoi arborei.
E soffriva all'ombra del passato, dove in uno specchio fosco a fatica distingueva immagini smarrite nel vacuo.
Entrò per alti portici splendenti d'oro e d'argento.
Un colonnato denso quale selva inviolata si precipitava congiungendosi alle arcate, perdute in un manto di nube cilestrina e verde muschio. Volitanti tappeti purpurei colmavano l'occhio come coppe di vino e scrigni traboccanti di splendori fiorivano simili a inattese orchidee. Il pavimento marmoreo luceva quale lido di corallo, e, mentre egli meravigliato lentamente andava, scorgeva talvolta nella penombra un pavone altiero che svaniva frusciando dietro i pilastri.
Come un'onda s'effondeva e dilatava e si traeva indietro tra i tronchi marmorei un ansimo quale di venti australi che raspa le pianure azzurre, quando si sollevano nugoli di gocce, arene candide, alla nera corsa di cavalli nei tramonti sopra gli oceani.
Tale trascorreva una musica.
Tale trascorreva una musica tra i soffi dei fauni nelle canne del flauto e le loro bocche e le loro pupille e le loro ricciute chiome riverberavano, gemme erranti, i lumi varii effusi dalle volte istoriate. E le rose nei vasi colmi inebriavano, carnee e giovani come fanciulle.
Lentamente andava. E giunse ad un ampio balcone donde si tendeva lo sguardo nella pianura. Grandi colonne si elevavano verso il cielo oscuro.
E in lontananza ombre sorgevano dall'orizzonte, vapori della tempesta, ed avanzarono nell'urlo del vento.
E nitrivano i cavalli, e tintinnivano i dardi nelle faretre e le aste sugli scudi risonanti crepitavano, e sibilava al vento lo stendardo fiammeo e sovra un grande corsiero notturno, quasi per serpi crinito, dagli occhi sanguinei, agitava un malleo di aculei un uomo imperioso, avvolto in una pelle di lupo, e sulla testa le fauci della belva biancheggiavano.
E oltre l'echeggiante turbine, ai margini della selva, presso un rivo limpido, su rigogliose sponde, una fanciulla dormiva, nel folto dell'erba, tra il profumo dei fiori.
Allora egli respirò l'aria luminosa e pari al vento si perdette il suo sguardo nella pianura, come vento lieve di primavera.
E si svolse per la distesa l'animo suo sconfinato. E nei palpiti violacei del grembo marino si specchiò il suo tramonto.
L'ombra sua lontana si confuse allora nel mormorio degli alberi.
Nel frusciare delle foglie e sopra l'erba sfibrata dal suo passo peregrinava come sogno disperso.




mercoledì 9 luglio 2014

Il mulino di Amleto

G. de Santillana, Hertha von Dechend     Il mulino di Amleto ( 1969 )     Milano, Adelphi, 2007



Pag. 42-43 : interessante parallelo tra la leggenda di Amleto sec. Saxo Grammaticus e il racconto liviano di Lucio Giunio Bruto. Cfr. anche Cicerone De divinatione ( I, 22 ) molto importante per il sogno di Tarquinio : gli arieti e il mutato corso del sole.
L'interpretazione “psichica” ( nel senso spirituale ) data da Bachofen sembra continuare in quest'opera, ed è senza dubbio la più convincente, perché è la migliore e la più intelligente. Vedi pag. 88 la spiegazione cosmologica del termine “diluvio” e “terra piatta”, così come del fenomeno della precessione degli equinozi. Se ci sarà un nuovo mondo, non potrà che essere “nuovo” nel senso dello spirito.
Pag. 100, viene citato C. G. Jung a proposito del termine da lui coniato di sincronicità universale. Il discorso verte sulla concezione del cosmo come armonia matematica prestabilita secondo una mentalità conforme a quella dei pitagorici.
Pag. 101, anche l'astrologia di Dante offre spunti interessanti.
Pag. 107, Krsna ha caratteristiche simili all'Achille omerico ( è vulnerabile solo nel tallone ).
Pag. 108, Kullervo si getta sulla propria spada come l'eroe omerico Aiace.
Pag. 109, Kullervo ( mitologia finlandese ) viene accostato a Dioniso.
Pagg. 110-111, citazioni interessanti da Anassimandro circa l'origine del mondo. Vedi anche Cicerone De natura deorum I, 10, 25.
Pag. 112, analogie tra il Genesi ebraico ( i 6 giorni della creazione ) e la tradizione persiana zoroastriana.
Pag. 121, viene citato Omero a proposito del poema islandese di Snorri, l'Edda, circa il mito del mulino. Nell'Odissea ( XX, 103-119 ) i versi fanno riferimento proprio alla macina mitica che si ritrova nell'Edda.
Pag. 135, vedi anche l'Appendice 10 sulla costruzione della cetra ( tradizione finnica e tradizione pitagorica ). Lo strumento musicale sembra far riferimento all'armonia delle sfere e alla precessione degli equinozi.
Pag. 177, spiegazione astrologica sul sacrificio di Cristo emblema divino dell'età dei Pesci : la costellazione in cui sorgeva il sole all'equinozio di primavera e che determina l'età del mondo viene detta “sacrificata” o “legata al palo sacrificale”.
Pag. 183, collegamento interessantissimo tra la speculazione metafisica e il mito. Hegel e Platone hanno espresso i loro pensieri in forma astratta, gli antichi poeti invece in forma cosmica : qui soltanto sta la differenza. Si cita Aristotele, Metafisica, 1074 b.
Pag. 189, la caduta di Troia è da intendersi come il crepuscolo della III epoca del mondo, la fine dell'età delle Pleiadi.
Pag. 193, riferimenti astronomici a proposito del crepuscolo degli dei, vedi in nota Macrobio, Commentarii in Somnium Scipionis I, 15, 14.
Pag. 197, vedi considerazioni sul numero 10.800 dell'Aion di Eraclito e il numero 432.000 del Grande Anno babilonese sec. Berosso ( sul Grande Anno cfr. Alcinoo, Didaskalikòs, pagg. 34-35, parag. 171-172, ed. Les Belles Lettres ).
Pag. 198, interessante accostamento tra il nome del dio Okuthorr ( Echuthorr ) Thorr del cocchio e Ettore campione dei Troiani.
Pag. 212, importanza di Orione ( Sansone o Nimrod ) il cacciatore che brandisce le Iadi ( rete celeste ). Vedi Luciano, De astrologia, 22.
Pag. 227 : “ Platone era rimasto fedele alla tradizione pitagorica originaria … “, vedi Bachofen. Quindi si può dire che Platone fosse un vero orfico.
Pag. 228, concezione orfica di Oceano, la psuché delle origini, concepita come serpente. Ma pare che la concezione originaria fosse piuttosto quella collegata al movimento del cosmo e della terra. Vedi in particolare Esiodo, Teogonia, 790, dove si parla di dieci correnti che si avvolgono intorno alla terra, la decima sarebbe la più temuta, da identificarsi con lo Stige. Si fa riferimento anche al Teeteto di Platone, 152 e, dove si cita Omero.
Pagg. 229-230, interessante analisi del nome Okeanos. Si tratta delle Acque superne ( vedi Genesi ebraica ) ossia del Cielo, fiume dalle molte diramazioni, il dio del cielo originario. Vengono citati gli inni orfici. Per il trasferimento della religione celeste a quella tellurica vedi Bachofen, Teologia orfica.
Pagg. 236-237, interpretazione di Dante, vero erede della tradizione orfico-ermetica. Soltanto i mitologi come la Dekend possono veramente capire Dante, non De Sanctis o i suoi seguaci ( i pontefici massimi delle Università ). Tutta la concezione dantesca riprende inoltre quella virgiliana e platonica.
Importanza del pianeta Marte, sua posizione centrale nel sistema planetario.
Pag. 239, vedi Esiodo, Teogonia, 775-814, a proposito dello Stige, l'acqua eterna e primordiale datrice di morte ma anche di vita, fondamento dell'abisso.
All'immagine del fiume celeste sembra ispirarsi il breve romanzo di W. Hodgson, La casa sull'abisso, dove da un lontano e misterioso pianeta giungono sulla terra strani e mostruosi esseri-suini che si stabiliscono sulle rive di un fiume sotterraneo che scorre in un abisso senza fondo.
Pag. 241, si parla della sacra legittimità, la Gloria, Xarenah, questa potrebbe essere il Sacro Graal ?
Pag. 242, a proposito di 183 mondi parla Plutarco in De defectu oraculorum ( a proposito dello Stige cfr. De Pyth. or., pag. 238, cap. 17, ed. Bompiani ) e anche Proclo nel commento al Timeo ( vedi di Proclo la Teologia platonica ).
Pag. 249, indicazioni sull'ubicazione ( ultraterrena ) di Ogigia nell'Odissea. La geografia di Omero è in realtà frutto di una giustapposizione di cielo e terra.
Pag. 250, sul gorgo celeste b Orionis; Rigel segna la via all'Ade, Castore indica la patria primordiale. Si cita anche Ermete Trismegisto, 1936 b.
Pag. 258, sull'albero ( della Genesi ? ). Pag. 260, sul diluvio e l'arca di Noè.
Pag. 261, sulla Ka'ba della Mecca.
Pag. 277 : “ Ogni età del mondo ha la sua terra “ che non è altro che il piano dell'eclittica passante per i solstizi e gli equinozi. Quando i punti dell'anno vengono determinati da un nuovo gruppo di costellazioni zodiacali portate dalla Precessione, sorge una “terra“ nuova e perciò si ha anche una “fine del mondo”.
Pag. 282, via verso l'Aldilà come successione di sfere celesti per l'anima : vedi identica concezione in Bachofen, Teologia orfica.
Pag. 287, le anime ascendono per la porta del Capricorno e per la rinascita scendono per la porta del Cancro, cfr. Bachofen, Macrobio, Commentarii in Somnium Scipionis I, 12, 1-8 e Porfirio, De antro Nympharum ( molto interessante il commento di Laura Simonini, ed. Adelphi ).
Pag. 299, tradizione pitagorica circa la periodica distruzione del mondo, testimoniata anche dal Timeo di Platone, 22 c-e.
Pag. 317, significato del remo di Odisseo ( nel viaggio profetizzatogli da Tiresia nell'Ade ) : è il remo-timone di Argo = Canopo-Eridu, la sede di Saturno.
Pag. 329, il Veltro della Divina Commedia è forse l'astro Sirio ? Collegamento con Cangrande della Scala.
Pagg. 333-335, vedi considerazioni su Sirio e Pan e nota l'importanza data a Creuzer ( che contrasta con la maggior parte degli studiosi contemporanei ).
Pag. 354, interessanti considerazioni sul Timeo di Platone. In particolare vedi il fatto che il Demiurgo attribuì ciascuna anima a una stella come sua propria sede originaria e in seguito le abbia sottoposte alle leggi del Destino e a un seguito di prove concernenti la vita sulla terra o su altri pianeti.
Pag. 356, molto interessante la definizione di Eternità nel Timeo, 37 d.
Pag. 357, secondo Origene dopo il Giudizio Universale le anime avranno un corpo etereo e sferico. Vedi anche il concetto di anima archetipica ( Adamo ).
Pag. 358, Copernico seguace dei Pitagorici.
Pag. 360, importanza fondamentale di Platone per il mito antico e il linguaggio mitico delle civiltà del passato.
Pag. 362, vedi in nota la derivazione del nome Sàrapis dall'epiteto sumerico di Enki/Ea : sar apsi.
Pag. 413, alla preistoria e a molte popolazioni “primitive” vanno attribuite considerevoli conoscenze astronomiche.





sabato 5 luglio 2014

L'amore lontano

Il vento sulle onde soffia del lago
e vago si sperde
tra i rami delle rive
risonanti di echi notturni,
sovra il buio delle acque,
dove il canto trascende solitario,
e freme la terra destandosi
a quel canto all'alba fra i monti
oscuri, vivace sorgente
di un mattutino alato,
e dal suo nido si diparte.
La vallata invade un respiro
e per le selve
e via via su per le cime
su tra gli ondosi abeti bruni,
e sopra le erte rocce
del giorno bionde già ai nati strali.
Soffia il vento
tra i rami dei larici,
alti nella profonda selva
e i fiori si destano
dal velo di rugiada e balzano
scoiattoli, fulvi tra le fronde.
Come alita ebra sull'erbe e fra i rami
una musica sulle onde del lago fluisce
e la melodia s'insinua lieve
fra canori echi nella foresta sonora,
di branca in branca
sino alle ardite rupi
rapita, ove un rapace
tacito sovrasta.
Una misteriosa e soave e ineffabile
e malinconica musica
si propaga per la valle presaga.
E d'ignote armonie empie
le conche dei torrenti vuote
fra gli scogli avidi e bramosi
di note nuove
delle nubi celesti.
Dolce attesa sorge
e cresce dei tronchi nel cuore.
Una dolce attesa screpola le scorze
e le foglie agita in un brivido,
tremano nell'ansimo di vita,
tra il popolo centenario nuova linfa
serpeggia e il loro mormorare
sale più forte, simile a spontaneo
canto, lunghe frondute braccia s'incrociano
e in un pegno si toccano d'amore.
Respira la foresta e il vento avvolge
e attraversa i vividi rami e luminoso
dell'aroma s'impregna del bosco
e al canoro enfiare
d'inesausta tuba
segue la luce,
di cometa come coda
nel vasto si stende
delle stelle silenzioso spazio.
Trema la foresta innanzi al mistero
di vita, meravigliata e muta,
e là nel cielo un grande lume,
rosso braciere,
annunciatore è di speranza,
quale radioso viso di fanciulla
sulle acque si specchia
lievemente scosse dalla brezza,
e gli occhi vivono
della vita immortale,
azzurri nel cielo sereno,
e del mezzogiorno il silenzio
è la sua grazia.
Lucente l'onda si diffonde
lentamente iridata,
e i raggi in un manto fiorito
così posano sulle crespe onde del lago
e sui morbidi prati
alle rive. E rivive
anche in me l'immortale
sorte dell'uomo mortale
e a contemplare mi volgo
l'altra riva del grembo
scintillante.
Un bagliore, riflesso del candido spiro
del giorno, ora mi volge
un saluto d'intesa, cenno
d'amato consenso,
e come bianco cigno
sull'acque fluita radianti
con i dardi del sole.
Da quali regni muovi remoti
alla mia desolata sponda
o bramato sogno ? Gli occhi,
di lacrime velati, appena ti scorgono
e il timore, che la mano
mia vana un'ombra abbracci,
mi opprime.
Ma io attendo qui, su questa
riva, e il volto fermo al tuo fulgore,
che brilla sopra l'acque trepide
e invincibile corona
l'eterno sorriso.