venerdì 11 settembre 2020

Dino Campana, Carducci e Tintoretto

 


Dino Campana, Carducci e Tintoretto (Appunti carducciani dal “Taccuino Matacotta”), Sanremo, Lo Studiolo Edizioni, 2020



Il minutissimo e prezioso volumetto è a cura di Fabio Barricalla, che mostra la solita accuratezza nella rassegna bibliografica della “Nota ai testi” a p. 11-12.

Quanto al contenuto del brevissimo inedito di Dino Campana, devo dire che non ho capito neanche una riga. A ciò è sicuramente intonata la cartolina, opera di Marco Innocenti, dove compare un ritaglio di giornale d'epoca dal titolo “Campana il poeta pazzo”.

Nel testo compare la misteriosa Madonna Laldomine, che è personaggio delle Cene di Anton Francesco Grazzini detto Il Lasca. Una novella del Lasca (cena II, novella terza) ha per argomento il matrimonio osteggiato dalla madre di Lisabetta, appunto Monna Laldomine. In seguito, grazie all'astuzia di Lisabetta, il matrimonio con Alessandro va in porto. Ma perché Campana scrive : “Madonna Laldomine che si fa alla finestra tutta vestita d'argento” ? Allude forse alla ricchezza della donna secondo la novella di Grazzini ? E che c'entra Tintoretto ?

Ma ha senso porsi domande ? Siamo di fronte a un puro testo simbolista intessuto di allusioni e di associazioni d'immagini e d'idee, in una prosa musicale e magica come una poesia di Rimbaud. Inoltre, perché cercare ragioni o una qualche logica ? Ciò che si riscontra nel pensiero di un savio non si incontra nel pensiero di un folle, ciononostante sono entrambi pensieri. E la poesia non è fatta di logica e non cerca la verità. La poesia è fatta di cose, di immagini delle cose reali o fantastiche, e allora torniamo alla domanda, donde viene Madonna Laldomine vestita d'argento ? Si tratta di una reminiscenza da Carducci (Confessioni e battaglie ?), ma al lettore comune, quale sono io, essa sfugge. Quanto a Tintoretto, non riesco a capire.

La citazione da Carducci denota sicuramente l'ammirazione del poeta orfico, ma è naturale che Campana abbia subito l'influsso della poesia carducciana, tutti i contemporanei l'avevano subita, come ad esempio D'Annunzio. E secondo Maura Del Serra è proprio quest'ultimo a esercitare un influsso diretto sul poeta di Marradi, soprattutto con il Forse che sì forse che no ed anche Marco Testi afferma che la figura di Isabella Inghirami avrebbe ispirato Campana per la fanciulla della “Sera dei fuochi” (La notte, 12) (1). Inoltre la figura femminile nell'interpretazione iniziatica deriva dalla lettura di Schuré, Mereskowski e Nerval (Le figlie del fuoco). E tramite D'Annunzio (ma la vera fonte è Flaubert) Campana elabora una sua immagine della donna come matrona-sacerdotessa dei “piaceri sterili”, immersa in un vago ambiente mediterraneo ed esotico che ricorda Salammbô. In particolare (2) :


Anche in Forse che sì forse che no il mito del passato si incrocia con quello della bellezza infeconda; già l'amante di Paolo Tarsis, arrivata tardi per la visita alla “reggia d'Isabella”, fissa “l'inchinato sole per fermarlo col suo voto”; inizia qui il leitmotiv del più lungo giorno, ripetuto più volte nella prima parte del romanzo che, come è stato notato, ritorna come titolo nel manoscritto originario degli Orfici smarrito da Soffici durante un trasloco e che segna uno dei non rari calchi dannunziani in questa sezione dei Canti orfici.


Come si vede, non basta una citazione per fare di Campana un carducciano.

C'è poi un altro elemento da considerare nel frammento in prosa di Carducci e Tintoretto : l'iconografia. “Madonna Laldomine tutta vestita d'argento regina di carte da gioco” corrisponde nella sezione La notte dei Canti orfici a “Una antica e opulenta matrona … barbaramente decorata … sedeva, agitata da grazie infantili … traendo essa da un mazzo di carte lunghe e untuose strane teorie di regine languenti re fanti armi e cavalieri.” (par. 6)

Questa donna spesso appare sulla porta o tra i portici come nel frammento sui “balconi gonfii” o alla finestra, sulla soglia sempre di un mondo misterioso, “quella loggia colà volta agli estremi” nel vago ricordo leopardiano. Si tratta quindi di un'idea fissa, una vera e propria ossessione, che collega l'immaginazione di Campana alla donna fatale dannunziana, simbolo di lussuria e di perfidia o irraggiungibile mostro di trascendente purezza, icona femminile propria del Decadentismo da Flaubert a Fogazzaro.




  1. Marco Testi, Dal “Forse che sì forse che no” alla “Notte” orfica. Suggestioni e calchi dannunziani del Campana notturno, Otto/Novecento, anno XVI, n. 1, Gennaio-Febbraio, 1992, p. 165-176.

  2. Op. cit. p. 169.