mercoledì 26 dicembre 2018

Guy de Maupassant, Bel-Ami


Guy de Maupassant, Bel-Ami, Paris, Gallimard, 1973


Nel I cap. appare Georges Duroy, il protagonista, bel tipo di malandrino, che si capisce già sia pronto a tutto. Congedato dall'esercito, è impiegato con uno stipendio da fame alle ferrovie e durante una calda serata estiva a Parigi incontra il suo amico, un tempo magro ora ricco e panciuto, Forestier. Costui gli apre nuove prospettive oltre ai ragionamenti machiavellici.
Il cap. II celebra l'iniziazione di Duroy alle conversazioni e agli intrighi amorosi dell'alta società, dominata dai giornali che guidano l'opinione pubblica. Duroy inizia la sua carriera giornalistica facendo la corte alle mogli dei “pezzi grossi” dell'ambiente della stampa e ottiene subito un notevole successo, grazie alla sua esperienza di soldato in Algeria e alla sua indubbia avvenenza fisica. Ma non si tratta di un ingenuo alle sue prime esperienze e che si scopra per la prima volta doti insospettabili, perché in Algeria aveva sedotto la figlia di un precettore e portato alla disperazione la moglie di un avvocato ( p. 67 ).
Cap. III. Ricevuto l'incarico di scrivere un articolo sull'Algeria, subito non ci riesce e scoraggiato si reca da Forestier per aiuto. Ma l'amico deve uscire per impegni urgenti e lo spedisce quindi da sua moglie che si rivela un'esperta giornalista e imbastisce per lui il reportage.
Recatosi il giorno seguente nella redazione del giornale, viene fatto passare davanti ai vari sollecitatori e questuanti e assistendo alle azioni insulse di Forestier che si perde dietro un gioco allora di moda e alla riunione del direttore perso dietro il gioco delle carte, viene iniziato alla vita avventurosa e frivola del giornalista.
Cap. IV, p.85 e sg. Duroy ha modo di conoscere l'ambiente giornalistico, ammantato di seriosa professionalità, ma sostanzialmente cialtronesco, ed ha un interessante colloquio con il reporter Saint Potin, che gli rivela i retroscena della redazione del suo giornale, “La vie française”. Si tratta di caricature di uomini corrotti che vivono di menzogne ben combinate. Naturalmente senza l'aiuto di Mme Forestier, Duroy non riesce a combinare nulla di buono e deve limitarsi a fare il reporter girando di qua e di là, cosa che gli riesce bene, ma il guadagno è inferiore a quello di redattore.
Cap. V, p. 102 e sg. Seguendo i propri impulsi e il desiderio d'una vita migliore, Duroy si ricorda di Mme de Marelle, incontrata al pranzo dei Forestier, e si reca in visita nel suo appartamento. Viene ricevuto con favore e inizia così la sua scalata verso il successo.
La cena coi Forestier e Mme de Marelle è il momento rivelatore dell'intima corruzione dell'alta borghesia nell'atteggiamento ipocrita e fascinoso di Mme Forestier, che ricorda un po' il charme torbido della Salammbô di Flaubert : “ Ed ella sembrava spingere più lontano il suo sogno, pensare a cose ch'ella non osava affatto dire “ ( p. 112 ). Duroy riceve pieno appagamento nel sedurre Mme de Marelle ( che si ubriaca apposta ! ). E già nel giorno seguente inizia la relazione con Mme de Marelle che si reca anche nell'appartamento di Duroy e, in seguito a un lieve incidente occorso per le scale del condominio dove abita l'uomo, affitta un appartamentino più adatto ai loro appuntamenti amorosi.
Ma per soddisfare tutti i capricci della sua amante comincia a indebitarsi in maniera preoccupante. Per colmo di sventura si reca alle Folies Bergères proprio in compagnia di Mme de Marelle e vi incontra la grossa cortigiana che aveva conosciuto e frequentato dopo i primi incontri con Forestier. In conseguenza delle insinuazioni di costei viene immediatamente piantato da Mme de Marelle. Decide allora ( p. 147 ) di rifarsi con Mme Forestier, ma costei dopo averlo ricevuto lo avvisa di non montarsi la testa e gli offre semplicemente la propria amicizia. Come pegno di essa lo indirizza alla conquista della stima della moglie del proprietario del giornale, cioè Mme Walter.
Ricevuto da Mme Walter, grazie a una sua spiritosa risposta Duroy ottiene la nomina a capo redattore ed inizia l'ascesa sociale.
P. 168 e sg. Invitato a cena da Mme Walter incontra Mme de Marelle con la quale ricomincia la relazione. Al ritorno accompagna l'anziano poeta Norbert de Varenne che lungo il cammino lo intrattiene con considerazioni alquanto lugubri sulla morte e la vanità della vita, che lo avvicinano al nostro Leopardi. Sono tuttavia, a parte il luogo comune letterario, considerazioni sincere e disperate che sembrano indice della presenza minacciosa del nulla, avvertita tragicamente dallo stesso Maupassant.
P. 174, l'opera è un affresco della corruzione della società parigina dell'epoca, la sfilata degli aristocratici a cavallo, pieni di decorosa alterigia, ma debitori della loro fortuna all'imbroglio e all'intrigo, è oggetto d'un legittimo disprezzo da parte di Duroy, che peraltro è un loro emulo.
P. 188. In seguito alle calunnie d'un giornale rivale Duroy è costretto al duello con l'autore dei trafiletti che lo attaccano direttamente. Il nemico ha preso il pretesto da un misero fatto di cronaca assolutamente insignificante, una povera vecchia che contende col suo macellaio per un pacco di cotolette, per assalirlo in modo veemente e pervicace. Ma Duroy, una volta fissato l'incontro a colpi di pistola, trascorre solitario la notte nella propria stanza assillato dal pensiero della morte, sentita come una spaventosa minaccia. Il sentimento della solitudine di fronte al destino, come già nell'episodio dell'anziano Norbert de Varenne, è particolarmente presente in questo romanzo, dove, sin dall'inizio, Duroy ci appare isolato nel gran mondo che gli gira attorno e a cui egli brama tanto di appartenere.
P. 190-196, la scena del duello e soprattutto la notte prima di esso sono un saggio della maestria di Maupassant nell'analizzare le paure e le ossessioni dell'anima umana, come già nel discorso del vecchio solitario Norbert de Varenne. Tutto il mistero e tutto l'inesplicabile orrore della vita si disvela nella considerazione dell'esistenza assurda dell'uomo, animale che aspira alla felicità, ma è destinato alla morte.
Ovviamente il duello si risolve positivamente, i colpi di pistola vanno tutti a vuoto, sia da parte di Duroy che dell'avversario, e comunque il fatto circonda Duroy d'un'aureola di eroismo che lo rende di nuovo oggetto dell'amore sviscerato di Mme de Marelle.
Cap. VIII. Viene chiamato con una missiva da Mme Forestier perché il marito sta morendo e non avendo parenti Duroy è l'unico conoscente su cui può fare affidamento. Duroy si reca dunque a Cannes nella villa dell'amico malato di tisi. A p. 205 c'è una splendida descrizione del golfo al tramonto e delle isole Lérins sullo sfondo. Una panoramica magistrale dell'ambiente della Costa Azzurra. La scena dell'incontro tra l'amico sano e l'amico moribondo è all'insegna di quell'angoscia di fronte alla morte e all'estrema solitudine che è già stata annunciata dall'episodio del vecchio poeta de Varenne.
La descrizione della morte del povero tisico Forestier è seguita da una riflessione di Duroy sulla morte in genere di tutti gli esseri che ci trasmette un senso profondo di smarrimento. Non c'è speranza di fronte alla morte. Essa annienta completamente, senza alcuna prospettiva ultraterrena. E' una condanna all'annullamento.
P. 236. Dopo qualche mese Duroy sposa Mme Forestier. Naturalmente ha dovuto lasciare Mme de Marelle, alla quale ha dovuto confessare la nuova relazione. La donna, nonostante il dolore e l'offesa, ha compreso le ragioni di Duroy e lo lascia libero. Così per Duroy che ha assunto, per darsi un tono e su suggerimento di Mme Forestier, il nome più nobile di Du Roy de Cantel, col quale firma alcuni suoi articoli, comincia una nuova vita.
P. 247. Per volontà di Madeleine ( Mme Forestier ) i due si recano in Normandia a visitare i genitori di Duroy. L'episodio è di un realismo suggestivo e per Madeleine si tratta di un'esperienza spiacevole. Sono vecchi contadini induriti da una vita grossolana e piena di stenti. Così dopo solo un giorno di visita ritornano a Parigi.
P. 259-260. A Parigi Duroy entra materialmente nel ruolo del marito morto di Madeleine, ereditandone le suppellettili e gli amici, tra cui il conte de Vaudrec, che svolge un ruolo alquanto misterioso nel ménage degli sposi novelli. Grazie all'aiuto sostanziale di Madeleine, Duroy scrive articoli di pieno successo e diventa giornalista di fama.
Sempre nel II cap. della seconda parte del romanzo, Duroy viene ossessionato dal ricordo del marito di Madeleine che gli si presenta alla mente nelle circostanze più impensate, anche perché inconsciamente avverte che sua moglie gli nasconde qualche segreto. Decide in una passeggiata notturna in carrozza di vincere questa gelosia con l'unica arma possibile cioè l'indifferenza, cominciando a distaccarsi sentimentalmente sempre più da Madeleine. I passaggi psicologici di questa metamorfosi sono colti magistralmente da Maupassant, che si rivela profondo conoscitore dell'animo umano.
Nel III capitolo della seconda parte il distacco con Madeleine è pienamente maturato. E' chiaro che la loro unione ha una funzione meramente associativa, a vantaggio della carriera di entrambi. Così Duroy riallaccia il legame con Mme de Marelle e incomincia a corteggiare la non più giovane ma ancora avvenente matrona Mme Walter. La sua strategia è degna di don Giovanni, ormai ciò che lo attrae non è tanto la donna quanto la conquista.
P. 302-305, la scena dell'incontro tra Mme Walter e Duroy nella chiesa de la Trinité ci rivela tutta la sapiente arte della seduzione messa in opera da don Giovanni. La donna in un primo tempo cede, disperata, poi si confessa dopo aver incontrato un prete quasi inviato dal cielo, e fugge via. L'atteggiamento di Duroy è quello del cinico incallito che non crede in nulla e non rispetta niente e nessuno, ma, d'altra parte, è uomo del nostro tempo.
L'impresa, in ogni caso, riesce e Duroy si porta a letto Mme Walter.
Nel cap. V l'animo meschino di Duroy si rivela appieno. Il miraggio di un'ingente somma di denaro prospettatogli da Mme Walter gli fa promettere un incontro con la donna che ormai Duroy vorrebbe evitare.
Nell'incontro seguente con Mme de Marelle viene scoperta la sua tresca con Mme Walter, ma Duroy sa che la de Marelle è di memoria corta.
Subito dopo ha notizia della morte del conte di Vaudrec, che annuncia alla moglie sconvolta. Il rapporto con Madeleine si colora ancora di più di mistero per la scomparsa di questo personaggio alquanto ambiguo.
Il conte, milionario, ha lasciato nel testamento tutta la sua fortuna a Madeleine, e Duroy, preso da ipocriti scrupoli, per evitare a suo dire uno scandalo pubblico, praticamente la costringe a cedergli in donazione la metà dell'eredità. Poi, ottenutala, festeggia insieme alla moglie e agli amici, mostrando ormai palesemente la meschinità del proprio animo.
Ma anche l'ebreo Walter, proprietario del giornale dove lavora Duroy, ha fatto fortuna con l'annessione del Marocco alla Francia e le pagine seguenti sono tutte una spietata rassegna dell'avidità e delle bassezze dell'alta borghesia parigina. Durante un ricevimento nel nuovo palazzo di M. Walter, il protagonista ha modo di incontrare la bella figlia di Walter, Suzanne, e considerando l'enorme ricchezza di suo padre comincia a metterle gli occhi addosso per un'eventuale matrimonio. Infatti i rapporti con la moglie non sono più molto buoni, dati gli interessi mondani e politici di lei. Frattanto riceve grazie all'interessamento del ministro Laroche, amico forse intimo di Madeleine, la croce della Legion d'onore ( p. 367 ).
Ma ( p. 380 ) ecco che un avvenimento scabroso pone le basi per il coronamento dei sogni di Duroy. Bel-Ami riesce infatti a sorprendere in flagrante adulterio la moglie e il ministro degli esteri Laroche-Mathieu. In realtà da giorni Duroy ne aveva il sospetto e così riesce a combinare d'accordo col commissario di polizia l'agguato nell'appartamento degli appuntamenti dei due adulteri che vengono colti sul fatto, lui fra l'altro completamente nudo nel letto. Il divorzio è assicurato !
II parte, cap. IX, raggiunto il suo intento, Duroy ora è libero di sposare Suzanne, ma rimane l'ostacolo rappresentato dai genitori di lei, assolutamente contrari. Tuttavia Bel-Ami giunge a convincere la ragazza, durante una gita in campagna, a fuggire con lui, dopo aver dichiarato sia alla madre che al padre di volere sposare Georges Duroy.
L'appuntamento viene fissato per la mezzanotte del giorno stesso e dopo aver atteso sino all'una di notte Duroy riesce a rapire la gentile fanciulla, che dopo una furiosa lite con i genitori è scappata di casa.
Bellissima la scena della disperazione di Mme Walter alla notizia della fuga della figlia. Non vuole credere al tradimento di Bel-Ami e nella furia del dolore si precipita a chiedere soccorso al Cristo del grande dipinto sistemato nella serra del palazzo. Qui viene colta da asfissia a causa delle esalazioni delle piante durante la notte e recupera la ragione soltanto il giorno dopo, soccorsa e portata nel suo letto quasi moribonda.
Ricattando M. Walter circa il losco affare del Marocco, Du Roy ottiene la mano della figlia Suzanne. La descrizione del matrimonio è un capolavoro di psicologia, da un lato la disperazione senza rimedio di Mme Walter, dall'altro l'egocentrismo assoluto di Bel-Ami che celebra così la propria apoteosi e si lancia, forse, a una futura carriera politica. Infatti si tratta di un matrimonio d'interesse perché proprio durante il ricevimento degli ospiti incontrando Mme de Marelle le fa intendere, seppur velatamente, che la loro relazione non è finita. Così di adulterio in adulterio, di tresca in tresca, sfruttando il valore e il lavoro altrui ( Mme Forestier ) Bel-Ami compiaciuto di sé e col favore e la benedizione del cielo si appresta a sigillare col tradimento la propria unione con la figlia di M. Walter. E Madeleine ? Anche lei, ormai ricca, prosegue la sua via e infatti scrive articoli politici molto interessanti firmati dal suo giovane amante.

domenica 23 dicembre 2018

Walter Benjamin, Liberami dal tempo


Walter Benjamin, Liberami dal tempo e altre poesie, cura e traduzione di Claudia Ciardi, Pistoia, Via del vento, 2011



Sono sonetti dedicati a un uomo, un giovane poeta morto prematuramente nel 1914. Ebbene per lo stile e per la forma queste poesie suggeriscono un nome, che forse potrà sembrare un azzardo o forse introdurre un confronto troppo facile e anacronistico : Shakespeare. In effetti subito a una prima lettura è stata questa l'impressione : questi sonetti assomigliano a quelli di Shakespeare. E non solo perché siano sonetti rivolti a un uomo ma ovviamente per la loro foggia, il loro stile, la loro essenza, il fondo musicale, cangiantesi in metafore e analogie come riverbero marino del mare infinito. In breve, si tratta di poesia simbolista, come del resto la poesia del Nord, da Shakespeare a Hoelderlin.
E' stato Edmund Wilson a proposito del verso di Eliot a sottolineare il fatto che nella sua poesia confluisce tutta quella tradizione del blank verse che ha in Shakespeare il rappresentante più famoso. Scrive Wilson : “ Non è forse questo il linguaggio naturale della poesia ? Non è la norma rispetto alla quale, nella letteratura inglese, il Settecento rappresenta un'eresia e alla quale i romantici si sforzarono di ritornare ? “ (1)
E il dionisiaco Hoelderlin e il mistico Rilke sono evidenti manifestazioni della natura simbolista cioè della natura musicale della poesia nordica, che non si sviluppa seguendo le tracce consapevoli di un disegno, ma piuttosto scaturisce delle profondità dell'animo o dal subconscio con l'impeto di un prodigioso turbine.
E come evidenti risultano le somiglianze tra la poesia di Hoelderlin e quella dell'americano Edgar Allan Poe ( si confronti ad esempio l' “Inno alla dea dell'armonia” con “Al Aaraaf” ) (2), così evidenti sono le analogie tra questi sonetti di Benjamin e quelli di Rilke.
Prendiamo in considerazione quale esempio questa poesia della raccolta di Benjamin :

Siccome già perduta nel fondo mare dei dolori
della tua vita rotola l'onda, perdona
il sommesso canto che l'amante abbandonato
versa dalla bocca leggera dei folli

il canto che nella dimenticata oscurità come un brigante
sui passi montani tra cui sei nato
erra fino alla cima, semmai le spente orecchie
il tuo affanno nel mulinare del vento avessero raccolto

piangendo il tempo di un'ora benevola
quando tendesti alla sua rima e un dolente fulgore
dal canto le accordasti di una bocca accesa.

Tu ancora di amare strofe intrecciavi la corona
prima che tra bianche onde i suoi tralci spogli
nei capelli neri ti torcesse il dio dei morti.
( p. 9 )

Tentiamo ora un accostamento a un sonetto di Shakespeare :

Dalle belle creature un frutto amiamo,
che mai non muoia di beltà la rosa
ma come al tempo ceda, maturando,
rechi un tenero erede la memoria.
Ma ai tuoi splendenti occhi sposo sei
tu, di te nutri il fuoco tuo, la luce,
dov'è abbondanza carestia facendo,
a te, alla tua dolce essenza crudo.
Tu, l'ornamento fresco ora del mondo,
unico araldo a gaia primavera,
il tuo contento seppellisci in boccio,
tenero avaro, e ammucchiando sperperi.
Pietà del mondo ! O quanto al mondo devi
ingordo inghiotti, e nella tomba e in te. (3)

Passiamo ora a una poesia di Rilke, “Apollo primitivo” : (4)

Come talvolta in mezzo ai rami
ancora spogli un mattino sorge, e in quel momento
è primavera : così nulla affiora
dal suo capo, che il subito portento

della poesia non ci ferisca; il muro
d'ombra è lontano dal suo sguardo incauto
troppo fresca è la fronte per il lauro,
e solo tardi all'arco delle pure

sue sopracciglia sorgerà il rosaio,
da cui foglie cadute e sparse il lieve
tremito della bocca veleranno,

quella che tace adesso e accenna solo
a un sorriso da cui nitida beve
il canto come un'acqua nella gola.

Alla poesia di Benjamin si potrebbe anche accostare quella di Georg Trakl “Al ragazzo Elis” : (5)

Elis, se il merlo chiama da nere foreste,
allora è il tuo tramonto.
Bevono le tue labbra il fresco di azzurre sorgenti.

Lascia, se la tua fronte piano sanguina,
le remote leggende
e il presagio oscuro del volo.

Tu che vai con passi taciti nella notte
carica di grappoli purpurei
levi più belle nell'azzurro le braccia.

Batte un cespo di rovi
dove i tuoi occhi guardano, lunari.
Elis da quanto tempo tu sei morto.

Il tuo corpo è un giacinto
in cui fruga con ceree dita un monaco.
Il silenzio è una nera grotta; sbuca

di tanto in tanto timida una fiera,
abbassa lenta le palpebre gravi.
Nera rugiada cola alle tue tempie,

ultimo oro di stelle cadute.

Si notino elementi di somiglianza in questo sonetto di Benjamin ( p.12 ) :

Una volta delle sue orme era piena la città bianca
come una canzone moriva nelle sue finestre,
riflesso il suo sguardo, e il giorno si schermiva
fissandolo da cieli inermi

che ardenti pendevano sull'antico parco
dove al battito d'onda di grazie offerte
lo circuì un torpore il cui verde riflusso slittò via
alla nascita dei soli, quando in segreta forza

angeli lo sottrassero per paesi più distanti
d'imbiancate montagne dove l'anima dell'amica
precipitando volteggiava abiti di lino.

Il giovane un groviglio di schegge luccicanti
l'involse, sul capo stanco si curvò
dallo strale di un'eterna luna la fronte circonfusa.

Che dire di fronte a tanta bellezza ? La poesia ha i suoi misteri che si rivelano nell'intimo dei suoi fedeli. Posso soltanto notare che la lettura di esse non è agevole e meno che mai la possibilità di attribuire ad esse un senso logico. Esse come un brano musicale parlano direttamente alla coscienza, senza l'intermediario del raziocinio, agiscono come una magia su di noi e ci trasformano. E questo incanto avviene mediante quell'oscuro procedimento che è chiamato “analogia” (6) e che è una sorta di metafora estrema i cui confini si perdono al limite dell'incomprensibile. Perché non è la ragione che deve comprendere, né la poesia è fatta di ragione (7). Si può forse definire l'emozione che suscita un quadro ? O il brivido che ci pervade all'ascolto di una sinfonia ?
Ringraziamo dunque Claudia Ciardi per averci offerto questa bella e accurata traduzione, che suggerisce la profondità dell'originale e ne evoca il segreto.


  1. Edmund Wilson, Il castello di Axel, Milano, SE, 1996, p. 21.
  2. E' evidente l'influsso della poesia di Schiller, “Inno alla gioia” ( “An die Freude”, 1785 ), l'inno di Hoelderlin è del 1792, ma il suo discorso poetico si trasforma in un fiume di immagini musicali.
  3. W. Shakespeare, I sonetti, a cura di Rina Sara Virgillito, Roma, Newton Compton, 1999, p. 31, sonetto n.1.
  4. Rainer Maria Rilke, Poesie, tradotte da Giaime Pintor, con due prose dai quaderni di Malte Laurids Brigge, Torino, Einaudi, 1983, E-Book, p. 13.
  5. Ibidem, p. 69.
  6. E' Baudelaire a fornirci una delucidazione assai suggestiva del termine nei Paradis artificiels (1860), cap. IV, a proposito ovviamente dell'ebbrezza provocata dall'hashish.
  7. Bisogna ricordare a questo proposito il magistero di Stéphane Mallarmé, i cui sonetti (1893) rappresentano un modello sicuramente presente a Benjamin.

sabato 15 dicembre 2018

Axat, I confini dell'infinito




Axat, I confini dell'infinito, 2018



Alessio è uno scrittore abbastanza affermato e che può considerarsi felice perché circondato dall'affetto della moglie e di sua figlia a cui rivolge tutte le sue attenzioni e il suo amore. Purtroppo la morte della bambina in un brutto incidente lo priva per sempre di questo legame, che si trasforma nella catena della depressione e della disperazione. Affranto, cerca conforto in una ricerca esistenziale che lo porta sul confine tra fede e incredulità, tra Dio e il nulla.
La trama è, come si vede, piuttosto esile, ma il pregio del romanzo risiede proprio in questo cammino ansioso verso una risposta alle eterne domande dell'uomo : “ perché vivo, chi sono, esiste una vita dopo la morte ? “
La narrazione procede vertiginosa nella tensione rivolta a questi interrogativi e a questa indagine che si può giustamente definire filosofica. Perché di filosofia si tratta, anche se in una veste letteraria apparentemente meno impegnativa. Infatti, nonostante alcuni momenti in cui questa ricerca sembra arrestarsi in asserti poco credibili o in illazioni un po' ingenue, dovute essenzialmente all'ansia di conoscenza dei personaggi, essa avanza in un ritmo inarrestabile verso una meta ancora lontana, ma che è destino cercare in uno slancio nobile e direi quasi eroico.
Alla lettura vengono in mente le parole di Nietzsche nel Così parlò Zarathustra : “ Qual è la massima esperienza che possiate vivere ? L'ora del grande disprezzo. L'ora in cui vi prenda lo schifo anche per la vostra felicità e così pure per la vostra ragione e la vostra virtù “ ( p. 7, ed. Adelphi ).
In effetti trasuda da queste pagine un senso di nausea nei confronti dell'attuale società consumistica, ammantata del suo ciarpame pseudoscientifico e delle sue fedi buone per tappare la bocca alla coscienza. Tale sconforto genera l'aforisma : “ La disperazione è l'unica forma di serenità concessa ai miseri mortali “ ( p. 90 ). E naturalmente a questa consapevolezza si accompagna la chiusura a ogni entusiasmo, a ogni spensierato slancio verso la vita, e subentra il labirinto della depressione : “ … restava solo lo spettacolo uniforme del soffitto, cielo cieco senza profondità e senza nuvole “ ( p. 102 ). Ma a questo tedio della vita si alternano i ricordi, quali squarci di nubi irradiate nella tempesta e tra questi l'immagine dell'orto del babbo e i variopinti ortaggi e il brillare dell'acqua nei solchi e l'edenica vita delle formiche su per i tronchi degli alberi. Ricordi spesso dell'autore e attribuiti al personaggio, come appunto questo. Rammento che anni fa ( forse nel 1998 ? ) l'autore mi parlava dell'orto coltivato da suo padre.
E ai ricordi si accompagnano impressioni bellissime quali anse di calme acque nei meandri delle correnti, come gli occhi di un'anziana che fissano per un istante Alessio : “ Può uno sguardo contenere tutto l'universo ? Possono tutti i petali del cielo, le onde degli oceani, l'erba dei prati, le foglie degli alberi, i chicchi degli astri … riflettersi nel lago degli occhi ? Vi si può intravedere il volto di Dio ? “ ( p. 125 )
Il pensiero dell'autore è particolarmente rivolto alla religione e al problema insolubile della morte, come della vita. Il suo personaggio Alessio è ossessionato dalla presenza della morte e a un certo punto ( p. 130 ) la sua immaginazione si volge a considerare un possibile al di là. Riflessioni di qualsiasi età ed epoca, ma alle quali non c'è risposta. Solo la fede può darne, ma quale fede ? E questo è un altro problema. Perché la fede tradizionale, quella cattolica, non si mostra all'altezza di così arduo compito, ma piuttosto come un tradimento dell'autentico messaggio di Cristo. E così questo romanzo si rivela oltre una confessione anche un cammino verso la vera fede, la definitiva speranza. Immagino che l'autore non rinunci a ritenersi cristiano, dal momento che la figura di Cristo ispira spesso i dialoghi tra gli amici di Alessio e l'intonazione del racconto nella rappresentazione del dolore umano, della purezza e sincerità degli affetti manifesta una sensibilità profondamente cristiana. Quello che è certo è il rifiuto di qualsiasi istituzione, di qualsiasi chiesa o assemblea o burocrazia sacerdotale, il nostro autore è attratto invece dalla dimensione privata, personale della religione, intesa semplicemente come itinerario dell'anima verso Dio. E dunque viene privilegiata la concezione del saggio Aurelio, altro personaggio e alter ego di Alessio, di un cristianesimo “sentimentale” ( p. 135 ), dove il rapporto con Dio si risolve e si compie nel rapimento dell'Amore e nel riscatto definitivo dal Male e dalla Morte. Altrimenti, che cosa ci rimane ? L' “ inutile sopravvivenza … disarticolata in giorni, disarticolati in parti tutte egualmente insopportabili “ ( p. 136 ). Una vita senza senso non può che condurre inevitabilmente ad un atroce stato di accidia, quella che oggi viene definita depressione. Uno spiraglio di momentanea consolazione può essere offerto dalla poesia. Ed ecco una bellissima analisi, frutto di un ricordo scolastico di Alessio quale insegnante di liceo, della lirica di Montale “Riviere”, e la conclusione : “ … l'Arte è un lavacro che ci monda da ogni impurità e ci conduce al limite del silenzio, là dove il timbro umano si trasfigura nella musica dell'infinito “ ( p. 137 ).
E infatti dopo un tragico epilogo, in cui la figura di Alessio sembra dissolversi nel nulla, il romanzo prende congedo ( forse non definitivo ) con la poesia intitolata “Caravaggio”, l'artista incompreso e maledetto, e termina in un tramonto dove i suoni della lirica si confondono con le nubi purpuree e si disperdono oltre i confini dell'infinito.


domenica 2 dicembre 2018

Quiete








I

Acqua, goccia a goccia
nello stagno, una libellula plana
sul rilucente specchio
ove ti guardi.
Dietro te i monti
nell'intenso azzurro e i sogni
delle nubi.
E limpido il ruscello mormora,
non mente.

II

Alzati. E' tempo. Alto
gracchia il corvo nel cielo.
Ormai declina il sole e le ombre
vagano tra gli alberi.
Tu presto scenderai nel bosco.
Ma prima volgiti
alla luce.


sabato 3 novembre 2018

Lou Andreas Salomé, Tre racconti inediti


Questo più umano amore “, tre racconti inediti di Lou Andreas Salomé.
Traduzione di Claudia Ciardi
Viterbo, Stampa Alternativa, 2018


I racconti sono del 1899.
Consiglio vivamente, per una migliore comprensione dell'opera della Salomé, l'ottima introduzione di Claudia Ciardi.
Prima del risveglio “, p. 24. Si intuisce meravigliati che Edith ha sposato suo zio !
Per quanto riguarda lo stile la Salomé procede a scatti per blocchi di immagini come se avesse in mano una macchina fotografica, ma le fotografie fossero disegni o abbozzi. All'inizio manca la drammaticità del sentimento, abbonda invece la descrizione degli stati d'animo correlati all'ambiente. Giustamente Claudia Ciardi parla nell'introduzione di racconti autobiografici, qui i protagonisti adombrano la stessa Salomé e il poeta suo amante Rilke. Più avanti però la drammaticità si fa spazio, piano, piano avanza l'introspezione psicologica e la complessità della coscienza, rivelando la discepola di Freud. Senza dubbio la seconda parte del racconto ( la scena nella camera d'albergo ) è superiore alla prima.
P. 44, alla fine del racconto Hans “ non è stanco di vagliare con la sua irrequieta fantasia l'eterno indovinello a cui ha consacrato anni della sua giovinezza, e che lo ha nuovamente soggiogato “. L'enigma della Sfinge ? Si accenna forse al complesso di Edipo ? Direi di sì. Comunque Edith appare come la “femme fatale”, misteriosa e seducente dei romanzi dell'Ottocento.
Il secondo racconto, “ Un rivedersi “ ( p. 45 ), rivela la femminista, nel suo abbracciare l'ideale e pretendere il sacrificio del maschio riluttante all'idea di una vita fuori dal mondo ma votata alla Causa. In questa astrazione idealistica si rivela la vestale che fa della propria rinuncia al sesso un'arma di difesa, ma anche e soprattutto di dominio. Viene in mente quella fotografia della Salomé con la frusta in mano che tiene aggiogati al carro Nietzsche e Paul Rée ( proprio Nietzsche che affermava che con le donne bisogna usare la frusta ! ). Su Lou Salomé si leggano le pagine veramente spassose di Anacleto Verrecchia ( La catastrofe di Nietzsche a Torino, Bompiani, 2003, pp. 68-70 ) che la dipinge come una fascinosa Circe o per dirla con Cicerone, a proposito della Clodia-Lesbia di Catullo, “Quadrantaria Clitemnestra”. Quello che è certo è che Nietzsche ne subì il fascino in maniera quasi tragicomica.
Il terzo racconto, “ Un caso di morte “, è decisamente superiore ai precedenti, direi un vero capolavoro. Forse bisognerebbe leggere prima questo per poter apprezzare meglio i primi due. Se infatti questi colpiscono per la tormentata rappresentazione dell'amore come attrazione-repulsione, qui forse è il motivo dell'incesto a fornirne la chiave con tutti i sotterranei richiami al subconscio e naturalmente alla psicanalisi.
L'incesto è poi topico nella letteratura simbolista, oltre che nella cultura musicale, basti pensare al Sigfrido di Wagner. Thomas Mann ne farà il motivo conduttore del suo “ Sangue welsungo “ ( 1906 ) e C. G. Jung tratterà a lungo l'incesto nel suo Simboli della trasformazione ( 1912 ) dove viene preso in considerazione appunto il mito di Sigfrido, l'eroe nato da due fratelli. E qui sono appunto due fratelli che si amano, sebbene non ne siano del tutto consapevoli.
Ma al di là dei tòpoi letterari quello che attrae in questo splendido racconto è la complessità della trama psicologica cui si unisce il motivo dominante dell'estraneità dell'artista, del suo essere altro rispetto alla vita comune degli uomini, oltre che al problema del ruolo della donna intellettuale nella società. Ester è infatti una donna che ha sacrificato al ruolo di moglie e madre la sua possibilità di essere la Musa ispiratrice nell'amore del fratello artista. Ed Eberhart è l'artista che solo nell'esilio, nella lontananza e poi nella morte realizza se stesso in quanto non uomo o, per attenerci al verbo di Nietzsche, oltreuomo.
Anche l'ambiente ha la sua importanza, in particolare è un leitmotiv la descrizione della spiaggia sul Baltico, rievocata anche nelle pagine del Tonio Kroeger ( 1903 ) di Thomas Mann.
Scrive Lou Salomé : ( p. 69 ) “ Più di una volta era stata al mare con lui. La casa di villeggiatura in cui i suoi genitori passavano gran parte dell'anno non era troppo distante dal Baltico.
Dovevano essere stati tali sentimenti di nostalgia e amarezza a occupare l'animo di Eberhart, allora, in riva al mare, mentre ascoltava la tempesta e lo stridere dei gabbiani, lasciando che la straniante caligine della distanza agisse in lui. Non ci aveva mai pensato. Al mare, lei, si era sempre fatta cullare dal ritmo delle onde, da questo arcano dondolio, che il vasto seno delle acque produceva. Nella sua mente non c'era alcuna barca alla deriva, né la turbavano il luccichio e l'abbaglio dell'orizzonte. Tutto sembrava dissolversi nella cadenzata melodia di un infinito – ninna nanna e inno al contempo. “ Le ultime frasi ritornano come un leitmotiv a p. 96.
E Thomas Mann scriveva in Tonio Kroeger ( BUR, 2001, p. 171 ) : “ E ora, mentre il mare si apriva davanti a lui, scorgeva da lontano la spiaggia dove, da ragazzo, aveva potuto spiare i sogni estivi del mare, vedeva la fiamma del faro e le luci dell'albergo dove aveva abitato con i suoi genitori … Il Baltico ! “ Die Ostsee ! Ecco il simbolo dell'infinito, l'apparizione del grande varco, del viaggio al di là, dello Spirito e di un mondo ineffabile di pura Bellezza a cui anela con angoscia e desiderio l'animo dell'artista, che non appartiene a questo mondo.
Pure Tonio Kroeger riconosce la propria sconfitta dinanzi all'umanità comune e soddisfatta, ma il messaggio è questo : solo nella morte l'Arte risplende della sua Vita più pura, “ Eis; und Geist ! Und Kunst ! “ ( “ ghiaccio; e spirito ! E arte ! “ p. 209 )

lunedì 29 ottobre 2018

Languore


Je suis l'Empire à la fin de la décadence
( Paul Verlaine )



Ormai la solitudine lo cingeva del suo abbraccio.
Nella foresta della vita egli procedeva rassegnato.
Ossessionato dai ricordi delle proprie speranze avanzava negli oscuri meandri della selva umana.
Aveva amato solo in sogno. Nel suo bel sogno dove gli era apparsa la bella donna squisitamente gaia, come una Demetra suadente che lo iniziasse ai misteri della notturna Eleusi, ma adornata della lusinga dei sensi e della grazia della gioventù.
Era ancora lei che gli si rivelava nell'ombra del sogno, lei il cui volto luminoso, i cui occhi lucenti di un ardore misterioso e profondo lo seducevano negli amplessi dell'immaginazione.
Profonda e misteriosa luce di abissi insondabili, di preziosi smeraldi irraggiungibili dietro i veli d'una parola proibita, d'una dura legge del destino. Perché lo tentava sempre, perché lo irretiva nei lacci della propria malìa senza possibilità alcuna di concedersi, senza la pronuncia dell'amore ?
Il suo era il supplizio di Tantalo, il più triste e beffardo dei tormenti. Perché l'amore era per lui un castigo ?
Ed ella ancora più insistentemente gli si mostrava, tutta in un gaudio di forme straordinarie, in una tale abbondanza di seduzione da abbagliare il più severo degli asceti, ella avanzava sorridente, ammaliante, le sue forme procaci sobbalzavano lievemente, come una morbida nube. Tutto il desiderio più feroce del sesso sembrava averla creata, pronta davanti a lui, come un frutto colmo esitante prima di cadere dall'albero.
La prostrazione della solitudine, della disperazione, lo abbatteva nell'accidia più funesta.
Ascoltava estasiato talora la musica di Haendel, quel canto celebrato da Farinelli :

Lascia ch'io pianga
mia cruda sorte
e che sospiri
la libertà. “

Con gli auricolari la musica del piccolo oggetto elettronico gli si infondeva nel cervello come una dolce, struggente nenia, un inebriante, seducente incantesimo. Avrebbe potuto piangere per giorni e giorni, ma sarebbe stato inutile.
E quando la pioggia picchiettava alla finestra, nei giorni grigi dell'autunno, egli prendeva il suo quaderno di appunti o di memorie ed iniziava il rito del ricordo e del sogno.
Ed allora era consapevole d'avere vissuto una vita interiore veramente straordinaria, e che la sua solitudine era stata anche la sua salvezza. Distinto era e difeso da un mondo brutale e brutto di gesti stereotipati, di schemi di vita, di abitudini imposte, di pensieri stampati a forza nella mente con l'intenzione perversa della manipolazione politica, di istinti estenuati da desideri continuamente eccitati dallo sprone maligno d'una società consumistica che anela ad annegare le masse sotto un'alluvione di saggezza pubblicitaria.
Ma il prezzo della libertà era la solitudine. Una solitudine che gli pesava al pensiero della propria insignificanza, di una sorta di anticamera prima del mistero della morte.
La pioggia scendeva inesorabile. Come il pianto del cielo invecchiato si stendeva sulle foglie degli aranci, nel giardino, scorreva sul marciapiede intorno alle aiuole, brontolava nelle grondaie.
Il languore eterno lo possedeva, lo stemperava in un rimpianto impossibile.

sabato 27 ottobre 2018

Tristano








Si lasciò prendere dalle pagine del Tristano di Thomas Mann, quel racconto simbolo della vita dell'artista, destinata all'incomprensione e al fallimento. Collegava nella memoria la descrizione dell'esecuzione al pianoforte da parte della giovane donna tisica del preludio e del Liebestod del “Tristan und Isolde” di Richard Wagner con la grande esecuzione orchestrale e s'immergeva in quell'abisso della coscienza navigando verso regioni ignote, oscure e solari nel tempo stesso. Quella musica lo affascinava, lo trasportava, lo innalzava, lo inebriava, lo rendeva per un istante puro impulso della Volontà nel mare dell'infinito.
E scoprì, pur nell'incertezza della scoperta, che ora soltanto per la prima volta aveva guardato una ragazza come se in lei cercasse l'appagamento finale, il riposo nell'Essere, la rivelazione dell'Altro. Sentiva ora per la prima volta che la propria solitudine si risolveva in un seguito di deluse illusioni e che solo in lei egli avrebbe trovato il vero Se stesso.
Ma il vero Se stesso era solo lui. Il volto nel quale aveva vanamente cercato di specchiarsi gli aveva solo mostrato lo sguardo opaco dell'incomprensione. Era stato respinto con fastidio, con ottuso fastidio, e aveva capito che doveva sopportare sino alla fine la propria estraneità.
Sentiva che ormai la grande smentita si rivelava.
Il suo bisogno d'amore s'infrangeva contro il muro crudele dell'indifferenza e dell'insensibilità e, nonostante non avesse ancora i capelli bianchi, tutto era già finito.
Nei giorni lontani della sua prima giovinezza aveva sognato l'amore, la gloria, l'amicizia tra eguali.
Era stato il figlio d'un pittore, di un artista giramondo, che gli aveva fatto gustare il sapore del frutto proibito della cultura, del pensiero nascosto, dell'anticonformismo e di una sorta di dandismo da periferia.
La giovinezza trascorsa, la giovinezza sognata, la giovinezza non mai vissuta !
Questo è l'eterno rimpianto dell'età matura, che inevitabilmente si volge indietro.
Che cosa aveva avuto dalla vita, che non fosse il frutto della sua fantasia ?
Il tempo era trascorso e, anche se non era vecchio, non aveva già più nessuna speranza.

A quale delle sue nipoti ( o forse all'unico nipote ? ) aveva agitato a modo di burattino dinanzi al visetto stupito l'angioletto di marmo, quello che suonava il violino, mentre lo teneva sul braccio destro ? Non ricordava più i dettagli della vita passata, dei volti familiari, delle piccole gioie. Il tempo si era portato via quasi tutto. E quante immagini erano trascorse là nel salotto del pianoforte non mai suonato, dei mobili antichi, dei quadretti dipinti dagli avi. Tutto era passato.
E quando si trovava nella sua stanza da letto e da lavoro, dinanzi alla scrivania di fronte alla finestra sul giardino, ricordava l'infanzia, quella sensazione di misteriosa sicurezza, di curiosa attesa, quando sua madre in quella stessa stanza, adibita allora a stireria, stirava, in quel tempo ormai lontano. Ma cos'era mutato da allora ? Nulla. Egli attendeva sempre il compimento, la rivelazione a se stesso d'un mistero, e il tempo che trascorreva era come un lento fiume, calmo, inesorabile, inattingibile, insondabile.

domenica 21 ottobre 2018

Isolda






Ricordava il sentiero umido che passava presso il rivoletto della stalla confuso tra l'erba alta e colmo d'un odore fetido. Eppure egli s'ostinava a passare di lì quando tornava dal torrente dove aveva bersagliato i pesci minuscoli che si rintanavano sul fondo. Poco lontano la cascina con la villetta padronale si stagliava sullo sfondo d'un cielo luminoso, estivo e calmo.
L'ombra del giardino s'addensava sul lato sinistro della villetta appoggiata sul destro al cascinale di pietra.
E là aveva trascorso le estati della sua adolescenza, immerso nei sogni e nelle vaghe brame d'un mondo inesistente.
Come allora un vago senso di quel mondo lo trascinava verso fantasie inesprimibili cullate da musiche malinconiche, nostalgiche. Come lo ossessionava allora la melodia del Tristano e Isotta di Wagner ! Egli si immedesimava nel destino avverso di Tristano. Sentiva la tragicità della propria piccola esistenza.
E allora era come perdersi nella prospettiva di valli e montagne lontane, nel fresco vento del mattino, mentre alitando vivifica le fronde frementi della selva. Era come perdersi nel respiro d'una vita superiore, forse della Vita universale, senza limiti, senza rimpianti, senza meschinità.
Si sarebbe rivelato un giorno il suo vero Io ? Sarebbe tornato un giorno nel grembo del Vivente ? Tutta l'esistenza non è che un'attesa.
Ed ora egli camminava tra gli alberi quasi spogli nell'autunno, nell'orticello sotto casa, cosparso di susini, peri, meli e albicocchi, già quasi scheletriti all'approssimarsi dell'inverno, già ingialliti nella luce cuprea del sole oltramontano, anelante a svanire al di là. E anch'egli anelava, come rapito dall'ora, rivolto all'ampio ulivo secolare che gli sottraeva la vista dell'orizzonte. Forse oltre avrebbe veduto la nave, avrebbe sentito il volo d'Isotta ? Dolcissima Isolda, sognata negli anni irrimediabilmente fuggiti d'un tempo ormai lontano, lontano.
Il suo volto si smarriva nella nostalgia del non manifestato, del non mai vissuto. Solo, intorno a lui la natura taceva. Non un alito di vento, non un canto d'uccelli, non un volo di gabbiani. Avanzava lentamente fra l'erba rinata alle recenti piogge, nell'umido campo, perso nella memoria. Per non morire ancora, si avvinghiava ai suoi sogni, persisteva nell'illusione.
E l'illusione gli prospettava il volo alcionio della nave dalla vela quadrata, fra i flutti rombanti, che conduceva il sogno dell'arte e dell'amore.
E il canto estatico di Isolda lo accompagnava sul sentiero malinconico del ricordo, ognora più possente, più implacabile, della sua essenza mai compiuta, della sua Isolda mai incontrata.
Si sentiva morire e si sentiva rinascere nell'illusione.

giovedì 11 ottobre 2018

La Grande Natura onnipossente








Gli occhi splendevano d'un azzurro intenso, come quando l'aveva scorta meravigliato sul colle panoramico della Villa Iovis a Capri. Splendeva il sole di mezzogiorno e lei riluceva d'una gioia intensa dinanzi allo spettacolo di quel mare infinito e divino. Così nel ricordo ascendeva con lei nei cieli della luce e i capelli di lei irradiavano la bellezza della donna.
I suoi occhi, i suoi capelli, il suo corpo di vergine agile e slanciata come daina che fugge nella foresta, i suoi occhi come il mare d'estate, colmi di vita, immortali. Ella ascendeva nell'abbraccio della memoria, verso il cielo, bella come una vergine, eterna.
E ora come non mai la Natura gli comunicava la sua voce molteplice e pure una, e gli diceva : “ Vedi che ogni creatura anela alla vita, aspira all'eterno, all'infinito ?  Colma i tuoi occhi dell'azzurro sconfinato, della luce del cielo e del mare, perché da un infinito coro luminoso tu provieni, come ogni creatura, e ad esso aneli tornare. Dell'infinito coro luminoso tu sei un anello, l'anello dell'infinita catena delle creature, che salgono e scendono e che desiderano tornare alla felicità perduta. Anche tu riunisciti a questo coro, salda la tua mano nell'altrui mano e danza nell'eterno inno della gloria ! “
Potentemente e prepotentemente lo chiamava a sé la Grande Vita. Ed egli si sentiva trascinato per l'interminabile sentiero arborato, dove il sole del pomeriggio filtrava i suoi raggi tiepidi, colore del rame, a posarsi sui suoi passi, che avanzavano sopra gli aghi secchi dei pini e l'erba fiottante del suolo e crespa, disseminata di pietre e di rami sottili.
Un silenzio procombeva, misteriosamente denso di suoni. La solitudine lo chiamava a sé, come un tempo. La solitudine, ch'egli aveva eletto a sua patria.
Verso le nubi sorgeva, avvolto in parte da nebbie lucenti, l'alto torrione della montagna e in basso, a perdita d'occhio, si estendeva la selva, come un coro di voci tumultuante e sommesso, disperso nel cielo sconfinato ed azzurro.
La Grande Natura onnipossente dormiva. E soltanto tremava sulla sua pelle l'alito del vento su per le pendici.

sabato 6 ottobre 2018

La selva







L’antica selva era un colonnato di fusti imponenti che s’allontanava sulle colline d’ogni intorno, argentino, risaltando sul morbido tappeto di foglie, rossiccio come il manto della volpe. Mentre camminava, i piedi muovevano le foglie aride con un fruscio ininterrotto, echeggiante nel silenzio della navata arborea.
Il sole faceva capolino di tra le braccia imponenti tese al cielo e tremolanti nell’ansito del vento. Era il sole d’un tempo ? Sarebbe lo stesso sole dei giorni futuri ? Cosa voleva dirgli quell’occhio di fuoco ch’egli non aveva ancora compreso e forse non avrebbe compreso mai durante la vita ? Eppure in alto vorticosamente lo sguardo era trascinato da una forza misteriosa, possente, inaccessibile e nel contempo presente nell’animo, siccome fosse radicata quasi vetusta radice d’albero secolare entro e sovra la terra rocciosa.
Entro e sovra la terra rocciosa s’effondeva e s’inabissava la luce accecante dell’immenso rogo celeste che, creduto già un dio, s’assideva, inavvicinabile e terribile e pur benefico, al centro delle orbite dei pianeti. E di quella luce indispensabile la madre terra viveva, e gli uomini si chiedevano per quale volere avesse mai vinto le tenebre e a che scopo s’irradiasse per lo sconfinato spazio, così prodigamente ?
Era il desiderio della vita che lo attirava nel solco del sentiero arborato dove la luce occhieggiava giocando con le foglie ridenti carezzate dal venticello, e, discendendo per i rami e i fusti, macchiettava il soffice tappeto crepitante ? Ormai non aveva più dubbi, egli era il suo destino, egli era quelle foglie secche che calpestava noncurante, egli era quella luce che lo attirava, e, inevitabilmente, con stupore, riconosceva d’essere pure quel sole e quel fuoco, cui non si sarebbe mai potuto avvicinare senza esserne annientato.
La luce si posava sulle morbide fronde, intorno. Il vento le attraversava voluttuosamente, come una musica.
Ma lontano, sul mare si vedevano le onde incresparsi schiumanti, agitate dall’impeto di venti violenti e contrari che trascinavano con sé una estesa cortina di nubi, quasi un gregge incalzato dai cani che procede senza volontà propria.
Oscuro s’ammassava lungo l’orizzonte il cordone di nuvole e lentamente avanzava sul mare tumultuante e livido, dove non più i raggi regnavano ma come l’ombra di tristi pensieri.
Egli contemplava dall’alto della montagna per un’apertura fra i fusti ancora indorati, postosi sopra una roccia sporgente.
A destra e a sinistra declinavano i fianchi del monte e si fondevano in colline e in case bianche. Il vento recava un’illusione di brezza marina, ed egli aspirava pienamente l’aria fresca. Stava così, rivolto verso il turbine sovrastante le acque violacee, il cumulo di nembi cinto di foschi fuochi.
Il sole, innanzi alla minaccia, pareva fuggire nascondendosi nella dimora d’occidente, ma la sua fiamma viva abbracciava la montagna.
Mentre il vento lo colpiva in volto osservava estatico il fremere delle fronde rabbrividenti in un unico grido, e più lontano udiva l’eco del mare mormorante pervaso d’impeti criniti e di furiosi galoppi.
E avvolto dal vento, in alto, sulla vetta del monte, s’abbandonò, si lanciò nell’abbraccio del soffio marino, nell’estasi del sole ardente. Immenso il disco del sole lo accolse e il suo corpo fu consunto in un attimo, trasumanò, e la sua immagine sfolgorò in un alone di luce.
Così gli parve. Oh, se fosse accaduto! Ma certo ora il suo cuore palpitava di vita nuova, il sangue purificato scorreva.
Non più allora avvertì i raggi che lo colpivano, lo scaldavano, lo attraversavano, ma sentì chiaramente ed inspiegabilmente essere egli stesso quella luce che l’avvolgeva, che si effondeva generosamente sulla terra, che colmava le valli, che indorava le vette e che si diramava per il mare dell’universo.
Non più percepiva i limiti del corpo, non aveva più il corpo, era libero da se stesso, era in quell’attimo la stessa misteriosa, ineffabile essenza del mondo, la Vita universale, infinita.
Oh, fuggire, fuggire, via per sempre dal mondo, via da se stesso, non essere più, finalmente dissolversi nell’eterno fluire del Tutto !
Si mise a correre, impetuosamente, non sapeva dove, non voleva sapere.
Corse fino a che il respiro divenne affannoso. Fu costretto a sostare. Riprese lentamente a vagare per il bosco, simile a un’ombra errante.






sabato 22 settembre 2018

Henry James, Washington Square


Henry James, L'ereditiera ( Washington Square ), Milano, Baldini e Castoldi, s. d.



Considerato tra i minori romanzi di James, brilla però per il tono ironico con cui viene dipinta la vita reale che si rivela nel suo inevitabile squallore.
Il soggetto è noto e ha avuto numerose trasposizioni cinematografiche. Il personaggio di Caterina nella sua urtante modestia è però ambiguo, la sua timidezza non ci rivela tutto di lei, forse in lei si nasconde un mondo … ma così è la vita, inevitabilmente ambigua e reticente.
E ambiguo è anche il personaggio di Morris Townsend. Nella lettura dei primi capitoli sembrerebbe esser di fronte alla solita vicenda di un matrimonio impedito ( cfr. Walter Scott, La sposa di Lammermoor ) ma qui l'innamorato non ha le caratteristiche dell'eroe puro ed innocente, sibbene quelle d'un affascinante giovanotto che si innamora di una giovane donna della cui inferiorità fisica e intellettuale è ben consapevole. Vuole dunque i suoi soldi, dal momento che è uno squattrinato e lei una ricca ereditiera ?
La conclusione è scontata nella sua logica del tutto disincantata : sì, si tratta di un cacciatore di dote e il padre tiranno aveva ragione, ma la sensibilità squisita e l'intelligenza misconosciuta di Caterina sono state sconvolte dal destino avverso, che le ha fatto incontrare nella vita come i peggiori nemici i soli uomini che ha amato, cioè suo padre e il fidanzato del suo cuore.