domenica 28 agosto 2011

L'amore lontano

Il vento sulle onde soffia del lago
e vago si sperde
tra i rami delle rive
risonanti di echi notturni,
ove il canto trascende solitario,
all’alba sorgendo fra i monti oscuri,
di un mattutino alato,
che si diparte dal suo nido.
Invade la vallata un respiro
e per le selve s’effonde
e via via su per le cime
tra gli ondeggianti abeti e bruni,
sopra le alte rocce
del giorno biondeggianti ai primi raggi.
Soffia il vento
tra i rami degli alti larici
nella selva profonda
e i fiori si destano
dal velo di rugiada e balzano
tra le fronde gli scoiattoli.
Una musica sulle onde del lago fluisce
e la melodia s’insinua leggera
fra canori echi nella foresta
di branca in branca
sino alle ardite
rupi ove un rapace
sovrasta pensoso.
Una misteriosa e soave e ineffabile
e malinconica musica
si propaga per la valle presaga.
Dolce attesa sorge
e cresce dei tronchi nel cuore.
Una dolce attesa screpola le scorze
e le foglie agita in un brivido,
tra il popolo centenario nuova linfa
serpeggia e il loro mormorare
sale più forte, simile a spontaneo
canto, mentre le lunghe frondute braccia
s’incrociano e si toccano
in un pegno d’amore.
Il vento li avvolge e attraversa
i vividi rami e dell’aroma s’impregna
del bosco e si effonde,
canoro enfiare d’inesausta tuba,
e segue la luce,
come coda d’una cometa
nel vasto si estende
delle stelle silenzioso spazio.
E là nel cielo un grande lume sorge,
rosso braciere,
annunciatore della nuova speranza,
e i suoi raggi in un manto fiorito
posano sulle onde crespe del lago
e sui morbidi prati
alle rive. E rivive
anche in me l’immortale
sorte dell’uomo mortale
e a contemplare mi volgo
l’altra riva del grembo
scintillante.
Un bagliore, riflesso del candido spiro
del giorno, ora mi volge
un saluto d’intesa, cenno
d’amato consenso, e come bianco cigno
sull’acque fluita radianti
con i dardi del sole.
Da quali regni muovi remoti
alla mia desolata sponda
o bramato sogno ? Gli occhi,
di lacrime velati, appena ti scorgono
e il timore, che la mano
mia vana un’ombra abbracci, mi opprime.
Ma io attendo qui, su questa
riva, e il volto fermo al tuo fulgore,
che brilla sopra l’acque trepide
e invincibile corona
l’eterno sorriso.
         
http://youtu.be/7prUFflX0_E

sabato 20 agosto 2011

Rimpianto

“ Difficile morire, difficile venire al mondo. “
Hermann Hesse



Dall’eterne dimore silvane
del monte di pini ammantato
azzurro miro il vasto mare
all’orizzonte coronato
di nubi.
La fonte di celesti speranze
rammemoro
tra fuggitive ninfe ed ombre
furtive incantatrici,
virenti tra braccia traboccanti
di resine.
D’acque la fonte mormorante
di scintillii, come un brivido
di gioia
scaturiva della terra
dal profondo cuore,
dissetava e nutriva
cervi leggiadri e possenti querce.
Ora qui illumina il sole
me che al mare discendo
tra le lucide pietre
lungo il profumo di rosmarino
e le ginestre acute,
non in bosco di sogno,
ma nella negletta macchia.
Non in bosco di sogno
incedo inebriato d’ardore
tra verdeggianti larici
in dorato candore,
non in bosco di sogno
più mi sorride speranza,
ah non più vago l’incanto,
non seducente fulgore.

O tu sull’altra riva
del luminoso fiume,
quando allo specchio un altro
vedrai : “ Ahi, perché non ebbi,
dirai, la dolce brama allora ? “
Me qui altro non coglie,
tu vedi, che il triste sospiro.
Come nuvola che pianse
tutta la sua pioggia,
te guardo, ignaro giovane,
che non comprendi la tua divina
aurora.
Quale insperato dono
fecero a te gli dei !
Quale linfa gioiosa
t’infusero nelle membra colme
di Vita inestinguibile !

Io che al mare scendo
tra le lùbriche pietre,
scorgo l’onde incessanti,
spumose lontano nella lotta
instancabile.
E rapito ne ascolto il sonoro
fluttuare, un’echeggiante
ebra musica.
Non sono esse le voci errabonde
dell’infinite anime ?
E sulle sponde
s’infrangono nel pianto
per l’altrui vita ?
Ah, per il Fato nel dono
tu nascesti
d’un breve sogno,
ma quanto desiderato !
        

domenica 7 agosto 2011

La strega, II

Talvolta ella rimaneva
per ore alla finestra della sua
capanna e lo sguardo vagava
per remote contrade.
Avvenne che in un pomeriggio d’estate,
quando il bosco echeggiava
dello stridìo delle cicale e il vento
carezzava le chiome degli ulivi,
una compagnia di giovani  uomini
della città s’avvicinasse allo stagno,
vicino alla sua casa.
Ella li osservava dalla camera
e il torpore estivo l’avvinceva
e l’ombra delle mura fresche.
Fuori il verde delle siepi
e del prato e del canneto ondeggiante
isolava lo specchio d’acqua
color d’opale, e le libellule
indugiavano immote, mentre
soltanto le loro iridescenti
ali elettriche scintillavano
come i raggi sul velo
liquido. E la quiete della palude
regnava col caldo effluvio
e un lento ansare sollevava
le lunghe foglie delle canne.
E tre giovani uomini
sulla riva deposero i loro
abiti e scesero nell’acqua.
E nuotavano, scherzavano e ridevano,
mentre la luce giocava
con le barbe e i capelli d’oro,
e le membra erano pari
a quelle degli eroi. Come
l’onda all’aurora, quando
dorme ancora il mare,
delicata si effonde sul lido
sabbioso e palpita dei primi
raggi, così la sua
invisibile mano sfiorava
le umide tempie ed errava
sui corpi insieme all’acque
dello stagno e alla brezza tiepida
del pomeriggio. Ed ella rimaneva
per ore alla finestra della capanna,
timorosa della visione degli dei.
E piangeva in silenzio, nella solitudine.

Per quanto tempo aveva
atteso sulla scogliera,
rivolta all’orizzonte ! E aveva
respirato la brezza del mare,
inebriandosi come all’ansimo
d’un amante. E il ritmo delle onde
calme la carpiva, quasi
parole colme di blandizia
fossero per misteriosi incantesimi.
Un mormorio la circondava di remote
promesse ed ella ne provava
meraviglia. Una strana ansia
le sollevava il petto, e le pareva
d’udire la formula d’un giuramento
e il nome d’una potenza terribile.
Ed ella sentiva una profonda
forza salire dalla terra
e sentiva di essere forte.
Sapeva che solo dalla terra
proviene la forza, e biasimava
i momenti nei quali la sua
mente aveva vacillato.
Nei sacri riti le era stata
insegnata la disciplina della vita
ed aveva appreso le virtù
occulte della materia, che negano
gli sciocchi e gli ignoranti. Aveva
visto l’implacabile occhio
della Madre. Nubi minacciose
erano sorte dal mare
e il tuono imponeva il sollevarsi
delle acque. E il pianto di mille
anime risuonava e scuoteva
i grandi alberi della selva
e si udiva un coro di voci
sommesse e soffocate. Aveva
visto il gladio degli dei
abbattersi sul gigantesco avversario,
mentre un corteo di lamenti
procedeva lentamente sulla sabbia.
Aveva udito il gemito
del suo spirito, ed un cappio
invisibile le stringeva la gola.
E nelle pupille si riflettevano le fiamme
di rovine crepitanti e il crollo
di mura altissime e il sangue
di membra straziate giù
per le vie della città. E queste
vie rimbombavano dello scalpito
d’un cavallo nero che si dissetava
ai rivoli purpurei e i suoi occhi
di fuoco davano la morte.
E dalle rupi  delle montagne dalla voce
remota piombava a volo
tra le spire dei venti l’aquila
dalle ali forti come
arco flessuoso, oracolo
del cielo irato. Dalle ondate
marine, dalle criniere di fuoco
sorsero due serpenti
dagli occhi cerulei e avanzarono
sino a lei solcando
i flutti. Ella levò
in alto lo sguardo e le apparve
il padre dei raggi acuti,
colui che tiene i forti
cavalli che spirano vampe
ignee. Ed egli ora
sfolgorava, il dio auriga.
Una voce selvaggia la invase.
Il vento la cinse e ne sparse
i capelli con mano d’amante.
E gli occhi s’illuminarono dell’infinito
sorriso delle acque. Un velo
asperse le dita del piede
leggero. Il suo corpo
irrorato di luce si fortificò
e si protese, le sue gambe
non vacillarono. Le nubi
e le onde e le rocce e i pini
del promontorio riverberarono inni
di gratitudine e di gioia, vive
creature del sole, e si inebriarono
di luce. Respirò l’abisso,
e si volse e si trasse sino
a lei, fervente fluttuare
d’ali, e l’avvinse d’aromi
e di volute spumose quale
veste nuziale, ed ella
divenne la sposa del mare.  


La strega, I

C’era una volta una giovane
donna che abitava in una casa
nel profondo della foresta. E questa
giovane amava gli animali
della selva e le piante e i mormorii
delle acque. E amava le aurore
e il risveglio della terra avida
di respiro e la rinascita della luce,
rossa come sangue nuovo.
Così ogni istante della vita
ella lo dedicava alle potenze
del creato, onorando tutti gli dei
che sono sulla terra, nelle piante
e negli animali e nell’acqua e nell’aria.
Ed ella viveva in solitudine,
poiché gli uomini della città
la odiavano. Dicevano infatti
tra loro che era pazza e la deridevano,
e i figli di quegli uomini malvagi
la chiamavano strega. Ma la giovane
donna non avvertiva l’ostilità
altrui, e godeva della musica
della foresta, del mormorio delle fronde
e del fruscìo delle erbe, del sibilo
dei ramarri e del colore fulvo
delle volpi tra i cespi di ginestre
e del volo dei passeri e del canto
dei cardellini. E la sua anima
era vasta e silenziosa, quale
la distesa muta del deserto
percorsa solo dal vento,
dal respiro profondo della terra.
Talvolta ella si recava
sulla riva del mare,
là dove la radura
arsiccia cedeva alla salsedine,
nel litorale petroso, e pregava
gli esseri che la sua immaginazione
rendeva reali. E la colse
l’onda del desiderio; un sussulto
d’acque le lambiva fresco
il tallone e un brivido dolce
la pervadeva e la sua pelle
era sensibile come le foglie
della mimosa all’ansito del vento.
Ed ella si allontanava sul lido
del mare. E la sabbia scintillava
di conchiglie, di rosei spondili
e di mactre azzurre e di valve
bianche o variegate di colori
e dalle forme diverse.
E quei doni delle acque attirando
con la loro bellezza ammonivano,
poi che erano senza vita.
E sentiva il mormorare delle acque,
una musica infinita di anime
anelanti, una musica eterna,
come eternamente il cielo
si specchiava a rinnovare il desiderio
senza fine. E pensava alle foreste
purpuree abitate dai mostri,
dèmoni dei gorghi e delle oscure
insidie, e un timore degli dei
la invadeva. Ma il respiro calmo
del mare rasserenava e la rapiva
in delicati incanti, come
un amante dolcemente carezza
con lo sguardo l’amata. E la donna
respira del suo respiro,
e la sua volontà non esiste,
poi che ella vive
nella vita dell’amato. L’armonia
delle onde, simile al fluttuare
delle corde d’un’arpa, quasi
che su una barca snella lo strumento
magico percorresse le plaghe
azzurre, come l’arpa
di Tristano ferito abbandonato
all’alto oceano, traeva
nelle radiose regioni del sogno
l’anima sua inconsapevole.
E quella malia schiudeva
le porte d’un altro regno
ove il suo spirito
attingeva ancora i balsami
della speranza e placava la sua
sete nell’illusione. Quanto
rapidi erano trascorsi
gli anni della fanciullezza ! Una
catena di sogni le aveva
sottratto giorno dopo giorno,
senza che se ne accorgesse. Ed ora
era una donna. Ma era
un albero solitario sopra
le alture e che non reca frutto
e sfida i venti e i fulmini
del cielo plumbeo e impietoso.
Questo era il suo destino.
Sua madre era una donna
della foresta, come lei.
E si era bagnata nella fonte
e così era apparsa agli occhi
di un giovane. Quel giovane era
un dio che l’aveva cinta
di fiamme e incatenata al desiderio.
Ed ella aveva partorito,
ed era morta. Un saggio
le aveva raccontato l’evento.
E l’aveva allontanata dai mortali.
Era cresciuta nell’esilio.
Le monache della montagna
l’avevano educata ai lavori
femminili e le avevano dato
una casa, lontano. Infatti
non tollerava l’austera regola
delle nonne, poi che apparteneva
alla foresta. E un giorno, mentre
passeggiava tra gli alti pini
ombrosi, si era specchiata
nelle acque di un piccolo lago
verde. L’immagine d’una giovane
donna la sedusse, ed ella
ammirava, e le sue nari
si dilatavano quasi a percepire
il profumo di quella fragranza.
Così aveva voluto la dea
del desiderio, ed ella ora
conosceva la bellezza. E spesso
la dea era giunta all’improvviso
nella notte, facendola fremere.
Ed ella era restata a lungo
immobile, in attesa, fino a che
non l’aveva toccata la luce
del sole. Ormai molte
volte la luna nel suo eterno
corso le aveva rischiarato
il viso insonne e molte
volte la gelida rugiada
aveva mondato il suo corpo,
invano. Poi la solitudine,
proteggendola dai prepotenti, l’aveva
anche deviata dalla tutela
delle leggi che ha dato agli umani
la Natura, al principio della vita.
Incubi notturni si affollarono
intorno a lei e una potenza
ostile penetrò a poco
a poco nel suo animo.
Sconvolta, ella si risolse
a placare gli spiriti della notte.
E la dea del desiderio
le inspirò amore per le creature
del bosco e la iniziò ai sacri
riti. E aveva così
respirato la gioia del sole
e aveva colmato gli occhi
del virente entusiasmo delle selve.
All’ombra degli alti pini
aveva contemplato le danze
dei raggi sagaci sovra
le odorose resine e il silenzioso
moto dei cervi dal vello
muscoso e dalle corna ramate.
E si era posata all’ombra
degli alti pini e il vento
le aveva portato il messaggio
delle pianure ondeggianti di messi
d’oro e i nitriti dei cavalli
selvaggi al lido del mare.
E i santi della foresta si erano
avvicinati a lei e l’avevano
condotta per sentieri solitari.


mercoledì 3 agosto 2011

La foresta

Tra gli alti pini ove dardeggia il sole
scendo alla valle e più lontano il mare
mi ride in fronte, mentre nell’aria intorno
canti s’effondono d’alati.
Amati luoghi ora pervasi di bionda luce,
che sugli ondeggianti allori il nume effuse
d’Apollo, vero dio dei poeti,
e lieti rende i miei giorni
nella sacra foresta, che talora l’incenso
consacra della bruma del mare.
E mentre m’avvio al ritorno il vento
m’avvolge quale mistico soffio
d’aromi colmo e di forza,
che della dura scorza trae la resina
dei tronchi antichi come un cordiale arcano.
Vano sogno non è questo echeggiante murmure,
questo coro profondo che promana
dal grembo della montagna verde
di luminosi rami,
essa è la loro voce e mi parla,
e penetra sino al mio cuore.
Ora ascolto l’ardore del flutto lontano
che s’abbatte sulla riva bramoso,
né invano s’effonde schiumante
nel furioso abbraccio.
O canti d’alati, ascoltate anche
il mio canto
e che s’innalzi insieme a voi
sino alle nuvole alte nel cielo !