lunedì 29 luglio 2013

Saffo, Inno ad Afrodite.





Dal variopinto trono immortale Afrodite
figlia di Zeus ingannatrice, te supplico,
non con affanni a me né con dolori doma,
signora il cuore,
ma tu qui vieni, se talvolta ed ancora
i miei lamenti riudendo da lontano
ascoltavi, e del padre la casa lasciando
d’oro giungesti
il cocchio avendo aggiogato : belli te portavano
i veloci passeri sopra la terra nera
e fitte battendo l’ali giù dal cielo
attraverso l’etere.
E subito giunsero, e tu, o beata,
chiaroridente nell’immortale aspetto
chiedevi, cosa di nuovo soffrivo e a cosa
di nuovo chiamavo
e cosa a me soprattutto volessi fosse
nel folle cuore. “ Chi di nuovo seduco
ora per condurla al tuo amore, chi te,
o Saffo, tormenta ?
E se pure anche fugge, presto t’inseguirà,
e se doni non vuole, a te li offrirà,
e se ella non ama, ben presto amerà
se anche non vuole. “
Vieni a me anche ora, e dai penosi libera
affanni, e poi quanto compiere per me
il cuore brama, a me compi, e tu ancora
simmi alleata.

sabato 20 luglio 2013

Tramonto




Una casa d’antica pietra era protetta da fronzuti pini silvestri, che ondulavano agli sbuffi dell’aria della sera. 
Entro era una donna bella ed alta ed aveva un viso triste come avesse perduto per sempre un incanto di sogni e di gioia, e guardava attraverso la finestra, che scintillava di riflessi ramati. Osservava il sole che digradava dietro le montagne nere, e il pendìo delle giogaie che ancora si bagnava di quell’effuso spirituale, face annunziatrice delle tenebre.
E com’ella mirava, udì uno scalpito e nitriti approssimarsi dallo stradone di ponente, e vide tre possenti corsieri neri dalle onde di crini rabbiosi e dagli occhi arsi. Essi traevano una carrozza snella di legno ebano e, poi che giunti furono dove era stato loro ingiunto, s’arrestarono.
Ed ella, uscita di casa, salì nel cocchio, che era tappezzato di velluto rosso ed aveva sul sedile un mazzo di rose che profumavano e blandivano, ed una musica bacchica suggerivano l’impeto e il moto dei cavalli che presero l’abbrivo quasi su magiche note.
E, mentre contemplava la fuga degli alberi e dei monti, il sonno la cinse e la rapì nella terra dei sogni.
E le parve di salire il pendìo d’una montagna, al chiarore lunare, sotto un limpido cielo brillante di astri, e di seguitare il richiamo sulla cima d’un insistente lucore, che sembrava una stella scesa dagli spazi infiniti.
E sulla vetta era un altissimo palazzo non di pietra squadrata, né di mattoni o di travi, ma cresciuto dalla roccia stessa quasi propaggine o stalagmite, e rifrangeva l’effluvio lunare quale cristallo.
V’era un portone a due battenti, tutto di diamante, e, aperto, un tempio marmoreo e niveo l’ammise ai suoi segreti.
Frotte di bimbi trotterellanti con trilli di gioia infantile le vennero incontro tra le colonne e, presala per mano, la guidarono all’abside.
Quivi una luminosità azzurra rivestiva le rocce d’un presepe. Su un lettino di stelle alpine, ai piedi d’un albero di natale, era un bambino biondo e splendente d’un sorriso radioso che illuminava la navata. Sotto di lui si prolungava un rivo di rose rosse e sopra di lui irraggiava una cometa una luce pallida e mistica.
Un bimbo la condusse al fonte battesimale. Ella fermò il viso sull’acqua immota, ma come attraverso una lastra vitrea, scorse un fortissimo bagliore.
Il rombo d’un disco incandescente, d’un sole accecante per poco non la tramortì. L’astro roteando precipitava ad indescrivibile velocità verso un mare notturno senza confini. L’oceano di tenebre era sconvolto dalle tempeste e terribilmente mugghiava sollevando cavalloni lividi e lacerandosi in gole vorticose.
Quando il sole cadde nelle acque nere, un’esplosione spaventosa corse per l’infinito abisso.
Il mare ribollì d’una luce verde, i flussi si scissero, si frantumarono, cozzarono fra loro crestati, cresciuti sui venti contrari che li alzavano ad altezze vertiginose.
E da quel grembo immenso scaturì un destriero candido, che volò sugli zoccoli fatati per la superficie delle correnti, e il suo innito echeggiava nel cielo.
Ella si destò dal sogno. E s’accorse che la carrozza proseguiva a gran lena verso le regioni d’occidente e i cavalli galoppavano e scuotevano i colli forti sui quali la criniera fluttuava. 
















giovedì 18 luglio 2013

G. D’Annunzio, dall’Isotteo, “ Il dolce grappolo “, I.





- O Madonna Isaotta, il sole è nato
vermiglio in cima a ’l bel colle d’Orlando:
ei su’ vostri balconi ha ravvivato
le rose che morìan trascolorando.
Sorga da l’ampio letto di broccato
or la vostra beltà lume raggiando.
O Madonna Isaotta, il sol che v’ama
con un lucido cantico vi chiama;
e gridano i paoni a quando a quando.

Udite voi salir nostre preghiere
o ancor vi tiene il Sonno in tra le braccia?
Dolce sarebbe a’ nostri occhi vedere
i primi raggi su la vostra faccia
ove il trapunto lin de l’origliere
ne la notte lasciò sua rosea traccia.
Palpita il vostro sen con più veloce
ansia a’ richiami de la nostra voce
mentre la fante il busto alto v’allaccia?

"Levasi a lo mattin la donna mia
ch’è vie più chiara che l’alba del giorno,
e vestesi di seta Caturìa,
la qual fu lavorata in gran soggiorno
a la nobile guisa di Surìa",
canta l’Antico ne ’l poema adorno.
"Il su’ colore è fior di fina grana,
ed è ornato a la guisa indiana;
tinsesi per un mastro in Romanìa."

Levasi da ’l gran letto in su l’aurora
la mia donna; e la sua forma ninfale
tra le diffuse chiome a l’aria odora
e a ’l sol risplende più bianca de ’l sale.
Tutta di gocce tremule s’irrora
ne ’l lavacro di marmo orientale.
Miran le statue a torno quella pura
forma e tessuta ad arte in su le mura
ride la greca favola d’Onfale.

Ridono i fatti di Venere dia
su ’l cofano di cedro, alto lavoro
d’artefici maestri di tarsìa,
che sta ne ’l mezzo d’un bacile d’oro;
ove con signorile atto la mia
donna gitta incurante il suo tesoro
di smeraldi, rubini e perle buone
che piovon come per incantagione
sovra il metallo nitido e sonoro.

Ella, composta in vago atteggiamento,
a mezzo della rara conca emerge;
e la fante con anfore d’argento
pianamento d’ambrate acque l’asperge.
A ’l diletto ella freme, e con un lento
gesto la chioma rorida si terge.
Come tondi i ginocchi e come bianchi!
Han da ’l respiro un dolce moto i fianchi
e il petto ad ogni brivido s’aderge.

O Madonna Isaotta, è dura cosa
ir le beltà non viste imaginando.
A voi conviene omai d’esser pietosa
poi che da tempo in van prego e dimando.
La bocca picciolella ed aulorosa,
la gola fresca e bianca in fine quando
concederete a ’l bacio disiato?
O Madonna Isaotta, il sole è nato
vermiglio in cima a ’l bel colle d’Orlando. -



Da Mademoiselle de Maupin di Th. Gautier.





– Elle a vingt-six ans, pas plus, ni moins non plus. – Elle n’est plus ignorante, et n’est pas encore blasée. C’est un âge charmant pour faire l’amour comme il faut, sans puérilité et sans libertinage. – Elle est d’une taille moyenne. Je n’aime pas une géante ni une naine. Je veux pouvoir porter tout seul ma déité du sofa au lit ; mais il me déplairait de l’y chercher. Il faut que, se haussant un peu sur la pointe du pied, sa bouche soit à la hauteur de mon baiser. C’est la bonne taille. Quant à son embonpoint, elle est plutôt grasse que maigre. Je suis un peu Turc sur ce point, et il ne me plairait guère de rencontrer une arête où je cherche un contour ; il faut que la peau d’une femme soit bien remplie, sa chair dure et ferme comme la pulpe d’une pêche un peu verte : c’est exactement ainsi qu’est faite la maîtresse que j’aurai. Elle est blonde avec des yeux noirs, blanche comme une blonde, colorée comme une brune, quelque chose de rouge et de scintillant dans le sourire. La lèvre inférieure un peu large, la prunelle nageant dans un flot d’humide radical, la gorge ronde et petite, et en arrêt, les poignets minces, les mains longues et potelées, la démarche onduleuse comme une couleuvre debout sur sa queue, les hanches étoffées et mouvantes, l’épaule large, le derrière du cou couvert de duvet : – un caractère de beauté fin et ferme à la fois, élégant et vivace, poétique et réel ; un motif de Giorgione exécuté par Rubens.


Voici son costume : elle porte une robe de velours écarlate ou noir avec des crevés de satin blanc ou de toile d’argent, un corsage ouvert, une grande fraise à la Médicis, un chapeau de feutre capricieusement rompu comme celui d’Héléna Systerman, et de longues plumes blanches frisées et crespelées, une chaîne d’or ou une rivière de diamants au cou, et quantité de grosses bagues de différents émaux à tous les doigts des mains.



sabato 13 luglio 2013

Dandysmo, estetismo e “femme fatale”. Parte seconda.

 




Dandysmo, estetismo e “femme fatale” nella rievocazione nostalgica dell’antichità a proposito del Tizio Caio Sempronio ( 1877 ) di Anton Giulio Barrili.


( Parte seconda )

Nel cap. VII entra in scena Clodia, la donna fatale, la Medea del Palatino, secondo la definizione di Cicerone ( Pro M. Caelio, 8, 19 ). E che si tratti di una maliarda seduttrice lo si può arguire anche solo dal titolo del capitolo : “ Venere spogliatrice “ (15). Infatti per lei Tizio Caio sperpererà tutti i suoi beni, ricevendo in cambio solo ingratitudine. E questo conferma il suo ruolo di “vampira” (16).
Del resto, ella viene soprannominata “Quadrantaria”, aggettivo che Barrili dice averle attribuito Cicerone, per sottolineare le sue relazioni amorose non disinteressate. Si noti che anche ne La giovinezza di Giulio Cesare ( 1873 ) di Rovani appare Clodia, precisamente nel cap. X del secondo volume, e viene parimenti nominata “Quadrantaria” senza tralasciare la spiegazione dell’origine del turpe soprannome. E’ possibile che Barrili si sia ricordato della Clodia dello scrittore milanese. Il ritratto di Clodia è però diluito in una farragine di notizie erudite che arrecano non poco danno. L’autore ligure, nel ritrarre la donna, attinge dalla manualistica storica e fornisce ragioni e significati dell’uso e del nome delle vesti, degli oggetti, delle creme di bellezza, non rendendosi conto della noia che questo nozionismo scolastico ingenera nel lettore. Riferisco perciò solo quanto concerne specificamente Clodia, evitando tutto il resto, che non ha nulla a che vedere con l’arte.
Ecco dunque Clodia :
“ A me pare di vederla, nel segreto del suo spogliatoio, attiguo alla camera da letto. Il sole è già alto, ma solo da pochi istanti la bella patrizia si è spiccata dalle braccia di Morfeo. … Nel bel mezzo della camera è una gran tavola di marmo, su cui, intorno ad una larga spera di acciaio, sono disposte in ordine tutte le ampolle, i pennelli, i barattoli … Uno scanno a bracciuoli, col suo cuscino di piume, attende la divina Clodia, che sta per mettersi allo specchio. Dalle pareti dipinte le ridon gli Amori; da una gabbia pendente dal soffitto la saluta un pappagallo africano, … è sempre bella, maravigliosamente bella, e direi quasi che la sua bellezza ha guadagnata dagli anni una certa magnificenza, pari a quella delle rose, quando hanno intieramente dischiuso il calice avaro all’ammirazione del riguardante. Osservate la bianchezza lattea delle sue morbide carni; … Qual veste indosserà per quel giorno Clodia Metella ? … Un bel colore d’amatista, che prendeva risalto da un fregio d’oro sugli orli della veste, fu prescelto … L’amabil pallore delle carni ci guadagnava un tanto, e i grandi occhi abilmente cerchiati d’antimonio ne avevano una espressione più profonda e più viva. “ (17)
L’ispirazione di Barrili ha origine nei sensi. I suoi ritratti muliebri, anche se assai simili fra loro, sono evidenti, tangibili. E’ chiaro l’insegnamento di Gautier, ma non sappiamo quanto di recepito e di spontaneo sia nell’arte del Savonese, perché la sensualità di Barrili non è soltanto una “posa” artistica ad imitazione di Gautier, è anche sincera e quindi non semplicemente una convenzione di “scuola”. Insomma lo scrittore è un sensuale. E che tale sia, lo mostra l’inizio del cap. VIII, dove continua la descrizione delle attrattive di Clodia :
“ Se l’aveste veduta, come era bella, con quella sua stola di color d’ametista, fregiata d’oro sui lembi, che dava risalto alla marmorea bianchezza delle carni; opulenta di forme, ma snella in apparenza per la mirabile giustezza delle proporzioni; con que’ suoi occhi profondi e languidi; con quelle chiome abbondanti, che luccicavano tra i due giri della vitta porporina, e col mazzocchio cadente in riccioluti corimbi sulla nuca; se l’aveste veduta, io metto pegno che avrebbe fatto dar volta ai vostri cervelli, come a quello di Valerio Catullo e di tanti altri suoi degni contemporanei. … portava le braccia coperte da lunghe maniche, strette ai polsi con armille d’oro. In quei braccialetti foggiati a serpenti, erano incastonati rubini e smeraldi; agli orecchi portava pendenti di perle; … “ (18)
Dopo il ritratto, però, il nostro autore cade nuovamente nella mania dell’erudizione e fa seguire un lungo sproloquio sulla divisione del giorno in ore, sull’orologio solare e la clessidra.
Il tipo di donna che lo scrittore savonese predilige e che qui viene incarnato da Clodia contrasta in maniera evidente con quello vagheggiato dai decadenti, per i quali si trasforma in ossessione morbosa. Che differenza rispetto alla “ Clodia matronne impudique “ di Marcel Schwob nelle Vies imaginaires ( 1896 ), dove la gentildonna un po’ vana di Barrili diventa una “belle dame sans merci“ spietata e lussuriosa oltre ogni limite ! In effetti la donna di Barrili non è molto diversa dall’ideale di Gautier, se pure al confronto impallidisce, come la copia d’un quadro celebre che invano tenta di assomigliare all’originale. In Mademoiselle de Maupin ( 1835 ) il protagonista d’Albert, così immagina la perfetta figura femminile :
“ Elle est blonde avec des yeux noirs, blanche comme une blonde, colorée comme une brune, quelque chose de rouge et de scintillant dans le sourire. La lèvre inférieure un peu large, la prunelle nageant dans un flot d’humide radical, la gorge ronde et petite, et en arrèt, les poignets minces, les mains longues et potelées, la démarche onduleuse comme une couleuvre debout sur sa queue, les hanches étoffées et mouvantes, l’épaule large, le derrière du cou couvert de duvet : - un caractère de beauté fin et ferme à la fois, élégant et vivace, poétique et réel ; … une chaîne d’or ou une rivière de diamants au cou, et quantité de grosses bagues de différents émaux à tous les doigts des mains. “ (19 )
Certamente Théophile Gautier fu lo scrittore più fanatico in fatto di belle forme; ne fornisce un’ottima prova il suo Le capitaine Fracasse (1863 ), ma anche le novelle recano una non meno significativa testimonianza del suo estetismo. Per la descrizione, appunto, dell’amante ideale giova qui considerare l’apporto del racconto Omphale ( 1834 ), dove il protagonista vive un’avventura galante con il fantasma d’una dama del XVIII sec. La novella di Gautier è importante anche perché D’Annunzio nel libro dell’Isotteo ( 1886 ) sembra averla presente, laddove nel poemetto Il dolce grappolo scrive :
“ Levasi da ‘l gran letto in su l’aurora
la mia donna; e la sua forma ninfale
tra le diffuse chiome a l’aria odora
e a ‘l sol risplende più bianca de ‘l sale.
Tutta di gocce tremule s’irrora
ne ‘l lavacro di marmo orientale.
Miran le statue a torno quella pura
forma e tessuta ad arte in su le mura
ride la greca favola d’Onfale. “
(20)
In questi ultimi versi è evidente il richiamo alla novella di Gautier.
Non solo Gautier, dunque, sognava splendide e raffinate dame. Anche Petruccelli della Gattina nelle Memorie di Giuda ( 1870 ) vagheggiava bellezze incomparabili. Un esempio è offerto dal cap. VIII, dove viene rappresentata l’affascinante Claudia. Il protagonista, Giuda, viene invitato a banchetto dalla patrizia romana nel triclinio del palazzo di Erode :
“ La ritrovai già distesa sul letto, bella come l’Ebe greca. I suoi capelli neri come la notte s’intrecciavano in una corona di rose non ancora sbocciate e scendevano in ricci sopra delle spalle ed un seno che si sarebbero detti l’Eden della voluttà. … La si sarebbe presa per una statua greca che un Dio animava per le sue ore di frenetica ebbrezza. … Questi occhi neri, profondi, grandi, vellutati, avevano uno splendore che ammortiva la luce ripercossa da tutto quell’oro e quelle pietre preziose. … un piede piccolo, bianco, elastico, arcato, delle gambe fine, ed il resto, sotto delle onde di velo, da dare i brividi a tutti i sensi. Aveva la bocca un po’ grande; ma i denti scintillavano fra le sue labbra rosee e carnose, che invocavano i baci. Claudia era una di quelle donne che uccidono e che i morenti salutano con estasi … “ (21)
Anche Emilio Praga nella lirica “ Dama elegante “ (22) mostra questo culto per la bellezza antica, un tipo di bellezza che coincide con l’ideale estetico parnassiano e poi carducciano.
Nel romanzo Spartaco ( 1874 ) di Raffaello Giovagnoli, al cap. V, viene narrato l’incontro tra Spartaco e la nobildonna Valeria. Valeria è dotata di un fascino straordinario, e di essa il gladiatore Spartaco s’innamora. Gli sembra bella come una dea, come Minerva, maestosa come Giunone, seducente come Venere.
Viene introdotto nel salottino più intimo della matrona. E’ una camera lussuosa, ornata di drappeggi orientali, di stoffe preziose, di cassepanche e cofani decorati con inestimabili dipinti; l’atmosfera è pervasa di profumi d’essenza di rose, di olii odorosi che bruciano in una lampada d’oro a forma di rosa recinta dalle sue foglie; effluvii di balsami d’Arabia inebriano i sensi; una caraffa di cristallo di rocca è colma di succhi rinfrescanti, una tazza di porcellana è posata accanto, il cui valore è pari a quello d’un tesoro. Valeria, avvolta in una tunica bianca, è distesa graziosamente su un divano. Le sue braccia sono scoperte, il petto seminudo, i capelli neri negligentemente raccolti lo ombreggiano in parte. Ella pare dormire, immersa nelle sue fantasie.
In un simile ambiente, voluttuoso e raffinato, è introdotto il lettore da Edmondo De Amicis, nel resoconto di viaggio Costantinopoli ( 1878 ), dove l’autore descrive particolareggiatamente la vita delle donne turche. La rappresentazione del bagno femminile, in cui le donne si radunano, ricorda immediatamente, alla lettura delle prime frasi, il quadro di Jean-Dominique Ingres, intitolato appunto “ Il bagno turco “ ( 1862 ). Vi è profuso lo stesso gusto sensuale per le forme, per il dettaglio, per il fascino del luogo.
Certamente questi autori italiani sono stati influenzati dalla lettura dei romanzi francesi e soprattutto da quelli di Gautier, ma non dobbiamo dimenticare scrittori precedenti come, ad esempio, Giovan Battista Niccolini, che nelle Lezioni di mitologia ( 1807-8 ) descrive le opere d’arte del mondo antico secondo un ideale di bellezza perfetta, divina, derivato in gran parte dall’insegnamento di Winckelmann.
Nella “ Lezione vigesimasettima “ su Venere, riassumendo uno degli inni omerici, Niccolini così rappresenta la dea :
“ L’autore degli Inni Omerici … narra l’aura rugiadosa di Zeffiro, che dolcemente spirando la porta sopra molle spuma in mezzo al mare risonante. … l’Ore coi capelli in reti dorate accolti ricevono amabilmente la dea, la ricoprono di veste incorruttibile, e sopra il capo immortale pongono una vaga corona, e nell’orecchie traforate l’oro più fino, e l’oricalco; il collo, il bianco petto con monili dello stesso metallo adornarono. … la condussero dai numi che gareggiavano per abbracciarla, ed ognuno chiedeva di prenderla in moglie, ammirando le forme della diva coronata di viole, e dalle nere palpebre. “ (23)
E narrando l’incontro tra Venere e Anchise, lo studioso scrive :
“ Anchise la esaminava e stupiva ad un tempo della figura e delle vesti stupende, … collane di vario ornamento cingevano il delicato collo; e il petto, simile alla crescente argentea luna, traspariva dal velo. “ (24)
E più avanti traduce da Winckelmann :
“ La Venere dei Medici a Firenze è simile alla rosa ch’esce fuor dalla boccia al primo apparir del sole dopo una bella aurora, e par che senta quell’età in cui le membra prendono una più compiuta forma, e comincia il seno a sollevarsi. Io mi figuro di vedere in lei quella Laide che Apelle iniziava ai misteri di amore, e me la immagino appunto qual dovette per la prima volta ignuda esporsi al di lui sguardo. “ (25)

Note            
(15) La fonte è l’orazione di Cicerone, Pro Marco Caelio, in particolare sulla cattiva fama di Clodia Cicerone afferma : “ Res est omnis in hac causa nobis, iudices, cum Clodia, muliere non solum nobili sed etiam nota, de qua ego nihil dicam nisi depellendi criminis causa “ (13, 31). Sui rapporti incestuosi di Clodia con il fratello Clodio l’oratore allude : “ … cum istius mulieris viro – fratre volui dicere; semper hic erro “ (13, 32). Quanto alla definizione di Venere spogliatrice essa è in 21, 52. Si veda inoltre il Totius latinitatis lexicon del Forcellini ( Padova, Bettinelli, 1805 ) alla voce “quadrantarius”. Nel dizionario si legge : “ Quadrantaria Clytemnestra ( apud Quintilianum 1. 8 c. 6 ) dicta est a Coelio Clodia uxor Metelli Celeris, quia vili mercede corporis sui copiam faciebat. Ideo autem Clytemnestra vocata est, quia quemadmodum Clytemnestra Agamemnonem, ita haec maritum sustulerat. Alii quadrantariam dictam putant, quia a quodam callido amatore pro nummis argenteis quadrantes aerei quondam in eius loculos immissi fuissent; quam rem narrat Plutarch. in vita Cicer. Fortasse huc pertinet illud Cicer. pro Coel. c. 26. ubi de eadem Clodia loquens, nisi forte, inquit, mulier potens quadrantaria illa permutatione familiaris facta erat balneatori. h. e. vel propter corporis prostitutionem, quae in balneis praecipue a meretricibus fiebat, vel quia balneatori pro quadrante mercedem stupri dabat, familiaris illi esse potuit. “
(16) Anche Carducci non dimenticò la famosa donna fatale romana.
Nell’ode “ Sirmione ” ecco l’accenno a Clodia :
“ … qui Valerio Catullo, legato giù a’ nitidi sassi
il fasèlo bitinico,
sedeasi i lunghi giorni, e gli occhi di Lesbia ne l’onda
fosforescente e tremula,
e ‘l perfido riso di Lesbia e i multivoli ardori
vedea ne l’onda vitrea,
mentr’ella stancava pe’ neri angiporti le reni
a i nepoti di Romolo. “
( Poesie MDCCCL-MCM, Bologna, Zanichelli, 1924; pagg. 836-837 )
(17) Op. cit., pag. 87 e segg.
(18) Op. cit., pag. 103.
(19) Th. Gautier, Mademoiselle de Maupin, Paris, Garnier-Flammarion, 1966, pag. 73.
(20) G. D’Annunzio, L’Isotteo - La Chimera, Milano, Treves, 1920 ; pag. 10.
(21) Petruccelli Della Gattina, Memorie di Giuda, Milano, Treves, 1870; pag. 132.
(22) Poeti minori dell’Ottocento, Torino, UTET, 1977; pag. 573.
(23) G. B. Niccolini, Lezioni di mitologia, Firenze, Barbera–Bianchi, 1855, vol. I; pag. 286.
(24) Op. cit., pag. 287.
(25) Op. cit., pag. 290.   

mercoledì 10 luglio 2013

Dandysmo, estetismo e “femme fatale”. Parte prima.






Dandysmo, estetismo e “femme fatale” nella rievocazione nostalgica dell’antichità a proposito del Tizio Caio Sempronio ( 1877 ) di Anton Giulio Barrili.

( Parte prima )

Siamo al tempo della repubblica romana, all’epoca di Giulio Cesare e Cicerone. Il cavaliere Tizio Caio Sempronio s’innamora della bellissima Clodia, già amata dal poeta Catullo, e, nonostante il suo patrimonio sia molto diminuito a causa delle continue spese, per lei sborsa somme ingenti nell’acquisto di gioielli, vesti, cocchi, ville. Ma l’usuraio, cui è costretto a ricorrere per mantenere un tenore di vita così dispendioso, è, a sua volta, innamorato di Clodia. Costui, il rozzo banchiere Cepione, perciò provoca con ogni mezzo la rovina finanziaria di Sempronio. La bellissima dama abbandona Tizio Caio alla notizia del fallimento e passa dalla parte di Cepione. Ma il bel cavaliere trova l’appoggio morale ed economico di un’altra nobildonna e si sottrae alla condanna per debiti (1).
Tizio Caio Sempronio è un giovane spensierato e ricco, un dongiovanni di buon cuore, prodigo e generoso con gli amici, cortese e amabile con le dame. La sua psicologia è tutta qui. Anche quando sarà in cattive acque la spensieratezza non verrà meno, l’elegantone non farà una piega e manterrà il suo atteggiamento di “nonchalant”. E’ il gentiluomo ideale che, naturalmente, non esiste nella realtà. Ecco il suo ritratto :
“ Tizio Caio Sempronio era un gentil cavaliere, e bello, per giunta, come un dio di fabbrica ellèna. Si diceva che sua madre lo avesse concepito dopo essersi fortemente commossa alla veduta di una statua di Scopa. Aveva i capegli biondi e riccioluti, diritto il naso, breve il labbro superiore, il mento rotondo, l’orecchio piccolissimo; insomma, tutte le bellezze d’Apollo. “ (2)
E in seguito l’autore scrive :
“ E’ bello di una lieta ed altera bellezza … L’uomo ha da essere ardito. Vedetelo, con quella fronte alta e quel suo sguardo sfavillante. “ (3)
In questo profilo si avverte un estetismo di origine neoclassica. Una bellezza statuaria, apollinea, che risente della vaga sensualità del Canova e mantiene qualcosa di molle e di sensuoso, proprio della raffinata e delicata civiltà del Settecento.
Anche Winckelmann, del resto, nelle descrizioni dell’Apollo del Belvedere e dell’Antinoo del Belvedere tradiva una disposizione d’animo sensuale nell’apprezzamento dell’opera d’arte e nella concezione del Bello (4).
Barrili rileva anche un’altra particolarità della bellezza del personaggio : “ l’orecchio piccolissimo “, quasi a suggello o a tocco finale d’una bella erma marmorea. Caratteristica questa ch’era stata anche di Byron, i cui nobili natali erano stati riconosciuti dal pascià di Giànina, Alì, signore d’Albania, proprio dalla piccolezza delle orecchie, oltre che dai capelli ricci e dalla bianchezza delle mani (5).
La gentilezza e la grazia del Bello neoclassico si possono ad esempio avvertire nei versi seguenti della Musogonia ( 1797 ) di Vincenzo Monti, che paiono accordarsi perfettamente al ritratto dell’apollineo Tizio Caio, laddove Mnemosine s’innamora di Giove trasformato in pastorello :
“ Loda il volto gentil, le rubiconde
Floride guance e il ben tornito collo;
Loda le braccia vigorose e tonde,
E l’omero che degno era d’Apollo;
Bel sorriso, bel guardo, e vereconde
Care parole, e tutto alfin lodollo. “
( XXI ottava )
Del resto Tizio Caio non è altro che una maschera. Sotto la toga s’agita un contemporaneo di Barrili, un gentiluomo borghese dotato di velleità cavalleresche. Nella Roma di fine secolo ( quindi pochi anni dopo ) furoreggiava il tableau vivant, il nuovo gioco di società in cui ci si divertiva a travestirsi secondo un modello d’arte, un quadro celebre, una foggia antica (6). Evidentemente l’immaginario collettivo privilegiava la rievocazione e la riesumazione storica, nessuna meraviglia dunque se si riscontrano nel personaggio dello scrittore savonese evidenti anacronismi di carattere soprattutto psicologico.
L’estetismo d’origine neoclassica s’accorda con la sensibilità propria dell’epoca in cui visse Barrili. Nella novella Senso ( 1883 ) di Camillo Boito ecco il ritratto del dongiovanni Remigio :
“ … un misto di Adone e di Alcide. Bianco e roseo, con i capelli biondi ricciuti, il mento privo di barba, le orecchie tanto minute che sembravano quelle di una fanciulla, gli occhi grandi e inquieti di colore celeste : in tutto il volto una espressione ora dolce, ora violenta, ma di una violenza o dolcezza mitigata dai segni di un’ironia continua, quasi crudele. “ (7)
Il dongiovanni del tempo ha in genere sembianze apollinee. Anche nel racconto di Barbey d’Aurevilly “ Le plus bel amour de Don Juan “ de Les diaboliques ( 1874 ) si legge, a proposito del conte Ravila de Ravilès :
“ C’était la vraie beauté – la vraie beauté insolente, joyeuse, impériale, juanesque enfin ; le mot dit tout … “ (8)
Si può notare che le caratteristiche fisiche del personaggio sono in tutto fedeli al modello che era servito a Barrili : un esemplare di bellezza neoclassica dotato di un fascino byroniano.
Al medesimo canone estetico risponde la figura del bellissimo dandy Lucien de Rubempré, che compare in Splendeurs et misères des courtisanes ( 1847 ) di Balzac. Il personaggio dello scrittore francese fu idoleggiato da Oscar Wilde che appunto nel 1890 diede vita a Dorian Gray. E la fisionomia del dandy di fine secolo non è davvero molto diversa dall’Antinoo vagheggiato da Winckelmann (9) :
“ Yes, he was certainly wonderfully handsome, with his finely-curved scarlet lips, his frank blue eyes, his crisp gold hair. There was something in his face that made one trust him at once. All the candour of youth was there, as well as all youth’s passionate purity. “ ( cap. II, 30 )
Per quanto riguarda l’indole di questi personaggi è chiaro che il capostipite è il Don Giovanni definitivamente celebrato da Mozart. “ Tout le plaisir de l’amour est dans le changement “, questo è il suo motto (10). E non sembra smentirlo Tizio Caio Sempronio, il cui destino pare avvicinarsi a quello d’un altro amante di Clodia, realmente esistito però, il volubile Celio (11). Né si allontana dal motto amorale il Tullio Hermil de L’innocente ( 1892 ) di Gabriele D’Annunzio. Tullio è il tipico dongiovanni intellettuale e Giuliana, la moglie, è un’Elvira che soffre in silenzio ( anche se ricambia l’infedeltà del marito con il suo adulterio ). A un certo punto il protagonista pensa :
“ Io credevo che per me potesse tradursi in realtà il sogno di tutti gli uomini intellettuali : - essere costantemente infedele a una donna costantemente fedele. “ (12)
Tizio Caio Sempronio però non attira su di sé la colpa della propria incostanza, lo salva la bellezza, la galanteria, e soprattutto il fatto di amare una “vamp” molto più volubile di lui. Al caso suo si addice il verso virgiliano
“ gratior et pulchro veniens in corpore virtus. “
( Eneide, V, 344 )
Il “ cattivo “ Cepione ha invece un aspetto ributtante e grottesco.
Mentre il malvagio Zerduste (13) in Semiramide ( 1873 ) appariva dotato di caratteristiche esteriori “ sataniche “, proprie del “ bel tenebroso “, Cepione è simile a un dèmone di basso rango, a un sileno o a un satiro :
“ Era egli … una montagna di carne. Aveva piccina la testa e grossolane le fattezze. La barba, rasa sulle guancie, gli girava a mo’ di collare intorno alle mascelle, nascondendo la pappagorgia che gli pendeva sotto il mento. Postumio Floro diceva di quella barba : - è la forca che tu meriti, o Cepione, segnata anticipatamente intorno al tuo collo. – Il nobilissimo uomo entrò sotto l’atrio con passo risoluto, ma barellando un pochino per cagione di quel buzzo che doveva portare con sé, e dondolando sotto alla risvolta della toga il braccio corto e massiccio. Gli occhi piccini e luccicanti, le gote rubiconde come i rosolacci, le labbra tumide e per giunta allungate da un certo suo vezzo tra l’orgoglioso e il beffardo, finalmente quella pappagorgia che vi ho detto più su, davano al nostro Cepione una certa rassomiglianza con un tacchino. S’intende che nella mente sua egli si teneva per un gallo. “ (14)
La figura è, senza dubbio, ben costruita, viva nella nostra immaginazione. Barrili, come riesce bene nel ritratto, così dà buon saggio della sua abilità anche nelle caricature.

Note

(1) Come la gioventù dorata del tempo, dunque, anche il personaggio di Barrili è preda dei creditori. Un carme di Catullo ( carm. 26 ) pone in evidenza questa triste realtà :
 “ Furi, villula nostra non ad Austri
flatus opposita est neque ad Favoni
nec saevi Boreae aut Apheliotae,
verum ad milia quindecim et duecentos.
O ventum horribilem atque pestilentem ! “
(2) A. G. Barrili, Tizio Caio Sempronio, Milano, Treves, 1879, pag. 2.
(3) Op. cit. pag. 174.
(4) A tal proposito si tenga presente la parentela letteraria che lega Walter Pater a Winckelmann, dovuta ovviamente a una simile disposizione d’animo. Cfr. Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Firenze, Sansoni, 1976; pag. 267.
(5) A. Maurois, Don Giovanni o la vita di Byron, Milano, Dall’Oglio, 1953; pag. 113.
(6) Cfr. Album D’Annunzio, Milano, Mondadori, 1990; pagg. XVI-XVII.
(7) Camillo Boito, in Narratori settentrionali dell’Ottocento, Torino, UTET, 1970; pag. 739.
(8) J. Barbey D’Aurevilly, Les diaboliques, Paris, Garnier-Flammarion, 1967; pag. 100.
(9) “ Certo, era meravigliosamente bello, con quelle sue labbra scarlatte dalla curva delicata, quei suoi occhi azzurri pieni di franchezza, quei suoi capelli d’oro ondulati. Nel suo volto c’era qualche cosa che ispirava fiducia a prima vista. Si sentiva che si era conservato immune dalle sozzure del mondo. “ ( Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, Milano, Club degli Editori, 1963; pag. 19 ).
(10) Cfr. Giovanni Macchia, Vita avventure e morte di Don Giovanni, Milano, Adelphi, 1991; pag. 45.
(11) Cfr. Gaston Boissier, Cicéron et ses amis, Paris, Librairie Hachette, s. d. ; pag. 167 e segg.
(12) G. D’Annunzio, L’innocente, Milano, Mondadori, 1991; pag. 88.
(13) Cfr. Maurizio Pallavicini, Letteratura erotico-esotica nella Semiramide di A. G. Barrili, LA RASSEGNA DELLA LETTERATURA ITALIANA, Serie VIII -  N. 1-2 – Gennaio-Agosto 1992; pagg. 118-120.
(14) Op. cit. , pag. 135.