martedì 27 agosto 2013

Sabba





Si trovava tra i ruderi d’un antico borgo, arroccato su una collina.
Una pallida luce si stendeva sulla sommità delle muraglie, sulla chiesa barocca, dove l’intonaco non era ancora screpolato e vestiva d’adornamenti e di tracce di colonne e di capitelli la facciata che sorreggeva un architrave consunto, donde si svelavano le pietre quali ossa d’una carcassa. Una luce pallida e greve quasi d’oro brunito si soffermava sui ruderi d’un’antica dimora, sulle colonne di porfido in cui le ferite del tempo avevano segnato lunghe piaghe.
Nell’ampio cortile della casa, dove s’ergevano le branche nude delle piante secolari, era innalzato al centro un alto trono di legno scabro.
Dalle antiche grondaie, sovra i resti del tetto, colava a intervalli un umore verdastro, fluente nei canaletti irregolari del pavimento dissestato.
Un sentore amaro e acuto s’effondeva. Nell’alone chiaro di luna era un lume esile e immobile in una stanza ingombra ed oscura. Su ricchi tappeti cromati e su drappi damascati erano riverse coppe d’oro e capaci vasi bronzei colmi di gioie, alti candelabri ebraici si sovrapponevano ad armarii istoriati.
Il trono era avvolto da un cerchio di luce rossa ed innanzi ad esso stava una donna vestita di drappi rossi, e reggeva fra le mani e le braccia una lunga serpe verde.
Nella mano sinistra porgeva una coppa aurata, ove il serpente si dissetava.
Gli occhi rifulgevano d’un bagliore smeraldino e la sua ampia fronte splendeva in una malia ignota. I capelli erano raccolti in una corona di penne di pavone che si aprivano sovra lei siccome un’aureola.
Ella additava il trono.
Dietro lei mormorava un coro di giovani e di vecchie, le prime frementi e nude, le altre celate da un velo nero, raccolte sovra se stesse, vergognose. Frammezzo, donne incinte accarezzavano il seno, vergini innamorate intrecciavano le dita nella copiosa chioma sognanti, vergini disperate nascondevano il volto con le mani bianche.
Si udiva da presso il rombo del mare sfibrantesi sugli scogli. Il suono roco d’un corno echeggiava.
Il suono roco del corno dilatavasi entro il respiro del flutto, e cresceva di moto in moto, fluttuante ira nell’animo ferito, che non si può nascondere e aumenta e si rivela, terribile.
Si slanciavano verso l’abisso celeste i fusti dei pini ondeggianti al lamentare della brezza notturna.
Si propagava l’onda di ramo in ramo serrando e disserrando le fronde tintinnanti.
E colà dove sono le porte delle vie della Notte e del Giorno v’è in alto l’architrave e sotto una soglia di pietra, ed esse sono chiuse di grandi battenti.
E allora si scissero al suono delle tube marine e agl’inni dei venti procellosi, e cigolarono con stridore acutissimo, e proruppero nitrenti in corsa immani i neri corsieri dell’abisso e si slanciarono su nel cielo, dall’Ade. E sovra loro le vergini guerriere intonarono un canto di vittoria. Le chiome dardeggiavano come fiamme di sangue, i loro occhi erano fiaccole sulfuree.
Sorse dalla terra un uomo con le braccia e le gambe legate al dorso d’un furente cavallo schiumante, dalle palpebre brucianti di sangue. E l’uomo e il cavallo, spronati da un grido lacerante, volarono coi venti, in un turbine di polvere pari a nube di tempesta, sopra le mobili sabbie.
E dilagò nella volta del cielo l’ondata dei nembi oscuri, mormorando.
Echeggiava il suono del corno roco.
E apparve un grande sarcofago d’ebano, sorretto da uomini giganteschi, dalle lunghe barbe e dagli elmi criniti, seguito da una fiaccolata di voci che intonavano una melodia funebre.
E più lontano si udivano lamenti e il tuono d’una lotta atroce, e lo schianto di mille branditi acciai, e si scorgevano levarsi lingue di fuoco.
La luna si velava come per un mistero. Ora il silenzio calava sulle tenebre.
Le volte diroccate del tempio si colmarono d’una pioggia sanguigna, gorgogliava l’acquasantiera.
Presso l’altare un uomo ammantato d’una pelle di lupo montano reggeva fra le mani un antico libro. Intorno, un gruppo di necromanti recitavano litanie. Si aprivano lentamente gli avelli dal pavimento. Le streghe, giovani e vecchie, si apprestavano al rito nuziale.
Laggiù, nella pianura, la forma candida d’una donna nuda, dai capelli scarmigliati e rossi s’attorceva in una corsa senza respiro, inseguita da neri veltri dalle fauci spumose, fiottanti aria impura e calda che le lambiva i talloni.
Una giovane strega, nuda, con i seni prominenti e il corpo robusto e nerboruto, si riversò sul pavimento. Le pupille erravano senza vista e la bocca schiumava.
Allora, in una nicchia avvolta dal buio, s’avvertì un sibilo. Una risata ne proruppe, che schiantò i resti del rosone. Una massa informe si scagliò dall’alto piombando, con fragore misto a folgore, sopra l’altare.
Un corsiero eburneo dalle orbite di fiamma in un balzo si sovrappose alla donna in preda al mal caduco. Un nano mostruoso le premeva col corpo violaceo, ghignando, la testa che tentava di svincolarsi. Il grande cavallo s’agitava, fremeva, la soffocava, inarcando più volte l’enorme dorso. Le streghe accorrevano a cogliere l’immonda sostanza, empiendosene le mani e ingurgitando.
Sulla riva le onde si squarciavano sotto la sferza del vento infuriato. Esso le fendeva, le apriva, le schiantava e pareva svelare il fondo torbido. Mura di acqua ribollente s’innalzavano e s’inclinavano abbattendosi nel fragore di mille lamine bronzee, nei vortici divoranti della risacca.
Al sibilo d’una frustata si frantumò la pelle liscia della battigia rorida, gli zoccoli d’un destriero notturno sciabolarono l’acqua in minute gocce aeree quasi infranti cristalli. Sul dorso era legato tenacemente un uomo seminudo, la cui schiena sanguinava.
L’ammanto aliporfiro si sollevava e s’implicava in innumerevoli volteggiamenti cresputi, mugghiando e rollando e dilaniandosi in alte rupi minacciose.
Ebollendo su dal profondo emerse una cresta di rocchi lunghissima fino all’orizzonte, secando l’acque come una coda. Su essa s’incluse la corsa del cavallo.
Il mare ora era scisso in due muraglie tempestose, arrossate da una luce celata entro il suo grembo.
Improvvisamente i flutti s’avvolsero in una vorace spirale, ai cerchi esterni del vortice apparvero scogli bianchi, affilati. Un’enorme bocca inghiottiva le correnti nella gola, un’immane cavità rossa.