Un'isola incombeva
d'altezza prodigiosa, la cui vetta era involta di nebbie.
Un fragore ed uno
sfavillìo tra le rupi rivelavano la presenza d'un vulcano.
Getti di lava
fervente scivolavano verso il mare. Si sentivano scoppi di tuono e si
vedevano subiti bagliori di fulmini che si scatenavano sopra le
rocce.
Ma ad un occhio più
attento sia le pietre che i massi o i minuti sassolini apparivano
effigi di volti umani, quasi un qualche strano artista avesse voluto
scolpire erme dovunque. Tutta l'isola era in effetti un ammasso
terrificante di teste di pietra, di ogni dimensione, di ogni varietà
d'espressione, sì che ad un eventuale naufrago essa avrebbe dato
l'idea d'un immane mucchio di facce mozze, radunate in un solo luogo
da un boia gigantesco.
Una sagoma nera
rapida s'avvicinava, flagellando l'aria con una folgore. Un cavaliere
brandiva una spada a doppio taglio, la cui lama insanguinata emetteva
barbagli quali raggi di sole declinante.
Un cavallo rubro,
d'incandescente metallo, innitriva spaventoso, i suoi occhi erano
l'oscurità dello smarrimento, la perdita d'ogni speranza in una
notte senza stelle.
E il cavaliere
proseguiva la corsa folle, roteando la purpurea daga, verso un'ombra,
un alone di lume opaco, una nube di vapore verde azzurro.
Sopra un altare di
macigni esalava una vampa sulfurea. Essa saliva al cielo ed appena
velava un trono poggiato su quella nebula glauca, ove era seduto un
gigante.
Esso era circondato
da un'emanazione di luce crepuscolare, un diadema plumbeo di tre
fiori turchini era sovra il suo capo, coverto d'una fluente chioma
castana. Il perfetto volto era immobile, irrigidito, una barba
ricciuta cadeva sull'ampio petto. Gli occhi erano grigi e freddi come
ghiaccio, le sclere bianche risaltavano intorno all'iride. Esso era
pallido del pallore di voluttà crudeli ed insaziabili, pallido d'una
bellezza maestosa e terribile. Reggeva con la destra una lancia che
terminava in tre punte, la mano sinistra era sopra una cetra.
Sulla coscia destra
stava supina, inarcata indietro per il terrore, una bellissima donna,
la cui nudità maculava una ferita sul fianco sinistro, gocciante sul
ventre ambrato.
E il gigante diceva
: “ Io sono il padre e il marito, e la sposa chi me la può
togliere ? “
E intanto sul mare i
fuochi dell'ultimo sole, unendosi alle lingue di lava, tracciavano
segni misteriosi e schizzavano abbozzi di luci corporee, che a
intervalli si condensavano in forme visibili e in figure distinte.
Larve ignee si
decuplicavano sulla superficie grigiastra, dalle squame brillanti,
della mutabile massa marina, dell'immane organismo.
Fantasmi di donne
denudate e defunte s'amalgamavano a sagome maschili, in un unico e
multiforme tronco mobile.
Pari a tromba di
vento tempestoso si drizzava sopra la distesa delle acque, mergendo
le radici di membra torte, risucchiando le arene del fondale.
E dall'alto del
tronco si diramarono i tentacoli d'una piovra, le cui ventose
stridevano come anelli di ferro rovente.
Un uomo dalle lunghe
gambe magre, roso da quella medesima fiamma che turbinava e crepitava
in tutto il mostro, si mise a cavalcioni sul dorso di quel vortice
crescente e vorace. La sua testa era irta d'aghi incandescenti, il
volto rappreso in una smorfia di dolore.
Per le onde ardenti
vagavano demoni rossi dalle ali di pipistrello.
Le loro bocche di
vampiro si dissetavano sulle ombre sparse e smarrite che s'agitavano
a fior dell'acqua incesa. L'ali erravano attorno al cerchio
dell'astro morente, quali avvoltoi spiano la preda in larghe ruote
volando nell'alto e poi calano impietosi.
E avidamente si
precipitavano sulle anime affrante, immergendo i ceffi nei petti e
nei fianchi, simili ai turpi uccelli che scavano coi rostri
insanguinati nelle viscere delle carogne.
E, quando il sole
disparve all'orizzonte, un'interminata estensione di ceneri fumanti
apparvero le onde, che rotavano siccome spire di nere serpi, e la
schiuma s'infrangeva sugli scogli simile a mille mani bianche che
tentassero d'aggrapparsi invano ad appigli malsicuri e scivolosi.
La luna, sorgendo
dietro il vulcano, sembrava l'occhio gelido d'un invisibile e
smisurato uccello notturno, o di una nottola d'enormi dimensioni che
con le membrane alari avesse coperto il cielo e spento ogni lume.