I
Sotto
la luna nella notte calda
ella
dormiva sopra il lido nuda,
marmorea
e luminosa, d'onde
fremeva
un poco sugli arcati lombi
alla
marea sorgente e voluttuosa
secondava
quel moto lentamente.
E
nei sogni nuotava, un canto ignoto
risonava
nell'aria. Nella spuma
turbinava
notturna in vaghi amplessi
la
gioiosa sirena e misteriosi
le
si aprivano mondi alla sapiente
e
i tesori che tu, terra, nascondi.
Era
bella nel flutto, le sue poma
trasparivano
colme come frutti,
e
le terga lucevano nel moto
fra
l'ardore del fremito marino,
quale
una pinna il piede celermente
tanto
fiottava che non vi si crede.
Volteggiava
alla danza vorticosa
quindi
usciva dall'acque tremolanti,
la
sua pelle ròrida ed il petto
dai
capezzoli erti, pari all'alghe
la
sua chioma corvina. Risplendente
la
mirava la luna. Era divina.
Ed
entrava nel bosco. La foresta
respirava
profonda, gli alti rami
ondeggiavano
ebbri, inauditi
echeggiavano
i suoni ai frulli d'ali.
Si
spandeva d'intorno ammaliante
un
sentore di resine e di linfe
e
d'aromi fluttuava un ampio coro
di
bosso e pino e dell'amaro alloro.
La
mirava la luna, i dolci raggi
la
cingevano tutta. Erano i baci
forse
degli amanti nei sogni ? Forse
la
bramava la luna in folle amore ?
Ed
alla luna pallida volgeva
le
sue pupille forse un po' ritrosa,
quasi
pervasa di sacrati incensi.
Una
brezza la colse improvvisa
fra
le fronde, come una serpe i sensi
strinse,
un brivido le corse la pelle
candida,
immacolata, palpitarono
i
capelli tra il selvatico vello
del
fogliame, s'avvolsero al buio.
E
dietro lei coverti di cipressi
e
di pini dormivano i giganti,
un
ansito saliva alle rocce
roco,
un'ombra flessuosa rampava
sopra
alle arene e alle rupi avida
mano
dall'infinito abisso, trèmula
di
cupidi occhi. Si volse. Una voce
echeggiava
nel vento aromale,
un
alito arso ed aspro di sale
e
un velo le dita asperse lieve
del
morbido piede e la tramò
la
luna tutta d'argento, il corpo
si
erse, si protese, non vacillò.
E
d'odori un ansimo la chioma
le
sparse, e sospirarono i pini,
s'incupirono
i cipressi e i lauri
trasalirono
e incerte bisbigliarono
le
fonti e mute intesero le stelle
e
respirò l'abisso e si volse
e
si trasse a lei fluttuare d'ali,
e
nella veste nuziale l'avvinse,
ed
ella divenne sposa del mare.
II
O
Emerocallide, ora furtiva
fra
l'onde appari radioso dorso
ed
increspi la bonaccia al calido
Agosto.
Ed anch'io ti colgo, adultero,
tra
l'aurea messe marina sfuggire
nel
malioso sorriso dei riflessi.
Talvolta
sul fondo m'illude tremido
il
tuo magico viso, e fra i pesci
in
un guizzo svanisce come fata
Morgana,
ma tu pure mi seduci
all'alta
costa virente e fra i pini
vellosi
nel limpido specchio sapido.
Ed
immerso nell'acque, e sospeso
sopra
la bruna prateria marina,
volto
al bruire dei rami alitati,
o
Emerocallide, ammiro in attesa
sull'arcana
soglia della dimora,
dove
un'antica colonna sul fondo
giace.
Ed anche il sole ti chiama,
t'invoca,
ti arride come un amante,
o
Emerocallide, o radiosa
fanciulla
del mare. E tu del mare
secondi
l'umore unita all'ittica
schiera
come fra nugoli di nere
lingue
salaci o foglie d'argento.
Sulle
bronzee praterie marine
scindi
l'onda agile più di delfini
e
sulla sponda t'assidi fra i taciti
scogli.
E la sera attendi che la notte
rechi
il plenilunio quando divino
il
mare suoni dei canti odorosi
delle
fanciulle, le sorelle tue.
Allora
alle stelle cadenti i sogni
sorgono
dei mortali, incantesimi
di
musiche occulte, lungochiomate
ombre
insinuantisi fra la Posidonia.
Un
alito caldo come aspro vino
inebria
l'alta notte e dei canti
le
note si dissolvono al sentore
amaro
sudore umano. Lontano
giace
il sogno. Lontano conforto
di
naufraghi. E tu t'immergi allora
per
me un'ultima volta forse prima
che
il canuto flutto si franga e pallido
l'autunno
ci allontani col suo veto
crudele.
Allora alla ferrigna costa
un'ultima
speranza getteremo,
quando
grigio ormai il mare opaco
ci
velerà gli occhi senza pianto.