Giorgio Colli, Filosofi sovrumani, Milano, Adelphi, 2009
Prima parte
P. 26, cfr. Dodds, I Greci e l'irrazionale (p. 261), a proposito dell'atteggiamento irrazionalistico dei filosofi e dell'irrazionalismo della religiosità greca.
P. 28, l'interpretazione di Colli è chiaramente di derivazione nietzscheana e quindi da Schopenhauer. Vedi p. 121 di Dodds, dove questa interpretazione è avallata da considerazioni di altra natura, cioè psicologiche.
P. 29, antitesi tra unità e molteplicità, base della filosofia di Anassimandro.
P. 30 misticismo dei Presocratici inteso a superare tutto ciò che è umano (posizione anche di Nietzsche !).
P. 31, le affermazioni di Colli sono estremamente interessanti, vedi Dodds. Egli dice che i sentimenti sublimi e ineffabili dei mistici nella loro espressione rivolta all'umanità hanno dato origine alla scienza e alla razionalità. Afferma cioè il primato del subconscio sulla consapevolezza razionale, poiché questa trae origine e alimento da quello.
P. 32, oscurità dei mistici moderni (Bruno, Nietzsche) perché intesi a voler esprimere direttamente le loro intuizioni, senza mediarle “politicamente” ossia oggettivarle in uno stile chiaro e comprensibile e quindi razionale. La razionalità come risultato dell'intento politico, quindi.
P. 34, importanza di Anassimandro, come il primo dei mistici inteso secondo il modello offerto da Schopenhauer.
P. 38, Nietzsche-Eraclito, la verità conquistata nella solitudine.
P. 39, coincidenza tra l'interiorità dell'uomo e il mondo esterno. L'anima è l'arché.
P. 42, affermazione da collegare a Dodds : la dottrina politica di Platone nella Repubblica ha le sue radici nel misticismo greco (qui rappresentato da Eraclito). Vedi in Dodds l'esperienza degli sciamani e la dottrina sciamanica della trasmigrazione delle anime. Vedi cap. VII de I Greci e l'irrazionale.
P. 46-47, accostamento tra Eraclito e Nietzsche, tra il dio e il superuomo. Non riescono a superare la suprema antitesi, individualità assoluta e molteplicità del reale.
P. 55, Parmenide è interpretato in chiave nietzscheana.
P. 62, Parmenide. Conoscenza intuitiva della verità (illuminazione). E' evidente l'influsso di Nietzsche.
P. 64, la verità è intuita dall'anima o noos. La conoscenza pura è superiore a quella razionale. NB : Dodds non prende in considerazione la filosofia e la figura di Parmenide, considerandolo evidentemente solo un logico. Ma la profondità di Colli è innegabile, egli è di molto superiore a Dodds, il quale non va al di là della psicologia.
P. 70, il vero noein è quello soprarazionale. La logica è subordinata, non è la manifestazione diretta dell'Essere, come per Hegel.
P. 72. Empedocle. Impulso politico. Consapevolezza della propria divinità e che gli uomini si classificano in “mediocri” e “divini”.
P.73, Empedocle discepolo di Parmenide. Empedocle vuole realizzare una società democratica ispirata all'amore che possa aiutare gli uomini ad esprimere il meglio di sé ossia il divino.
P. 77, il noema per Empedocle è il pensiero prerazionale, intuitivo.
P. 78, la conoscenza per Empedocle come per Parmenide è innanzi tutto mistica, prerazionale.
P. 79, Empedocle primo artista veramente dionisiaco. Sbaglia Nietzsche quando afferma che la visione dionisiaca del mondo fu espressa compiutamente dalla tragedia greca. I tragici non furono veri filosofi, ma filosofo-poeta dionisiaco nel vero senso del termine fu Empedocle.
P. 83, amore eroico per la conoscenza, per la verità, beatitudine raggiunta nella contemplazione dell'Essere (di Parmenide).
P. 86, la tensione eroica si placa nella contemplazione dell'Essere perfetto, rappresentato dallo Sfairos. I rimandi a Goethe e soprattutto alla musica di Beethoven, caratterizzata dalla tensione eroica e dall'appagamento nell'estasi, sono veramente geniali. Ma, d'altra parte, questi rimandi svelano anche l'ottica donde Colli guarda dentro l'essere umano, trovandovi l'Essere. Essa è quella romantica che troviamo ad esempio ne I miserabili di Hugo :
Chose sombre que cet infini que tout homme porte en soi et auquel il mesure avec désespoir les volontés de son cerveau et les actions de sa vie ! (Livre VII, chap. III)
Ed è anche quella di Leopardi quale appare nel suo Infinito.
Seconda parte
La formazione giovanile di Platone
P. 93, sin dall'introduzione Colli, affermando che la politica di Platone fu l'espressione della sua interiorità mistica, concorda, anche senza saperlo con Dodds. Infatti Dodds afferma :
Platone in effetti operò nella tradizione del razionalismo greco un fecondo innesto delle idee magico-religiose che hanno remota origine nella civiltà sciamanistica settentrionale. (I Greci e l'irrazionale, Milano, BUR, 2017, p. 261)
E l'asserzione citata è quanto dire che alla base della filosofia di Platone o meglio al suo interno è operante l'illuminazione dionisiaca che ha spinto l'uomo a manifestarla sotto forme apollinee e perciò razionali e “normative”.
P. 95, ecco che Colli ribadisce l'origine religiosa e mistica della filosofia : “... la filosofia … nasce direttamente dal fenomeno dionisiaco.” Socrate soltanto tra i filosofi non ebbe in sé come preponderante la spinta dionisiaca all'espressione, ma al contrario fu dominato dallo spirito apollineo e in lui l'elemento dionisiaco fu secondario. Però nella ricerca della definizione universale e della virtù in generale anch'egli fu invaso dalla forza dionisiaca. Egli tuttavia rappresenta l'atteggiamento greco tradizionale governato dal senso del limite e della misura.
P. 97, mentre nei Presocratici il dionisiaco è l'essenza stessa della loro personalità, in Socrate l'impulso dionisiaco, il suo dèmone, ha una funzione negativa, di freno, di razionalizzazione delle passioni addirittura, e questo perché si innesta sopra un'essenza socratica apollinea, in un uomo che omericamente non travalica mai i limiti della propria umana natura.
P. 101-102, predominante interesse politico in Socrate durante la sua vita, egli è quanto mai lontano dall'interiorità dionisiaca. Soltanto in punto di morte questa interiorità si rivela e si attua nella tragica fine.
P. 104-105, natura dionisiaca di Platone, dopo la morte di Socrate la sua difesa della memoria del filosofo si attua nell'isolamento e si matura nella solitudine dionisiaca per esprimersi rinnovata e appunto arricchita dall'illuminazione interiore.
P. 106, primo scritto veramente dionisiaco di Platone è il Fedone, nel quale l'interiorità del filosofo non si pone come ricerca del limite e della propria posizione tra gli uomini come per Socrate, ma come anelito all'infinito, come espansione cosmica della coscienza.
P. 107, nel cammino dell'anima verso la solitudine essa conosce sempre più se stessa come in sé ed universale, essa è divina e ha in sé i germi di tutte le cose, le idee in quanto realtà ultime e vere.
P. 109, concezione della perfetta unità dell'anima nel Fedone, secondo l'insegnamento di Parmenide (vedi anche il Samkya indiano).
P. 110, la conoscenza nel Fedone è cogliere il divino nell'estasi dionisiaca dell'anima liberata dalla sensibilità e dalla materia.
P. 112, questo è molto interessante : “La saggezza è quindi un moto affettivo dell'anima, una sua passione trasumanata.” Chi veramente vive la rivelazione dionisiaca dei misteri diventa filosofo in quanto il suo animo si eleva e si protende verso il divino, ama la verità con tutto lo slancio del suo spirito. Nell'espressione : “...la trasformazione filosofica di questo misticismo da parte dell'uomo superiore, cioè la vera visione dionisiaca della vita” si nota come Colli intenda il messaggio di Nietzsche. Questo messaggio non è diverso, come a una lettura superficiale del filosofo tedesco si potrebbe intendere, da quello di Platone, perché entrambi sono animati dalla loro interiorità verso la realtà profonda del dionisiaco, ossia verso la verità dell'Essere.
P. 114. L'interpretazione seguente della filosofia di Platone è di estrema importanza e interesse :
L'anima, quando giunge ad essere autè kath'hautén e intuisce se stessa come essenza, tende ad espandersi nell'universale, perché quell'essenza che essa ha scoperto in sé è qualcosa che non ha limiti, è infinita, è in fondo la stessa cosa dell'essere di Parmenide, cioè “continua”. Tutto ciò che essa sinora aveva visto come oggetto, come esterno, diventa un'unica ousìa, un'unica “essenza”, la stessa che sta in noi : “l'essenza universale ...che è nostra”, ossia l'essere oggettivo, il brahman, si rivela ora uno con l'essere soggettivo, l'atman e viene in quest'ultimo ritrovato. E poco oltre riafferma espressamente questa coincidenza : “la nostra anima prima della nostra nascita e l'essenza sono uguali”.
P. 116, antipoliticità del Fedone, che è sicuramente l'opera più dionisiaca di Platone, il mondo delle idee non vi compare ancora, poiché esso comporta anche l'apporto dell'oggettivazione apollinea che si manifesta nella tendenza al pluralismo e all'affermazione delle individualità.
P. 117, la visione del mondo del Fedone è assai diversa da quella cristiana, non è una mortificazione della carne ma un superamento dell'umano sentito come insufficiente, che “tende ad una forma di vita superiore”.
P. 120, l'insopportabile strazio del Fedone dovuto alla lotta contro la natura umana per liberarsene e poter raggiungere la vera essenza, ma ciò è attuabile solo con la morte, trova una requie consolatoria nel Fedro dove veicolo per l'anima verso l'Essere si presenta l'amore. Esso è un limite all'aspirazione infinita ma è pur sempre un simbolo di un mondo superiore.
P. 121, Colli spiega in maniera mirabile in che cosa consista l'amore platonico (che è poi anche quello di Dante per Beatrice) :
L'immagine che egli ama è in certo modo un'espressione, una realizzazione della verità suprema, un simbolo reale di ciò che è perfetto, e il conoscitore attraverso di essa intuisce che anche la sua aspirazione dionisiaca può avere un termine, può raggiungere cioè il contenuto della verità e placarsi in una pace interiore definitiva, …
P. 124, esaltazione della follia nel Fedro. L'amore come realizzazione e limite dell'infinito slancio dionisiaco. Importanza data alla follia dai Greci secondo Nietzsche.
P. 125, l'amore dionisiaco, attraverso gli occhi si contempla l'anima dell'amato. Questa di Colli è una vera e propria teoria dell'amore, che sembra riecheggiare le teorie degli stilnovisti medievali, anch'essi peraltro imbevuti di platonismo.
P. 130. Carattere poetico e poco rigoroso del Fedro. In esso sono tutte le esperienze mistiche di Platone anche in contraddizione tra loro. Viene ribadito che l'Essenza suprema (il brahman indiano) è della stessa sostanza dell'anima, e questa è parte di lei . Non so fino a che punto Colli fosse nella conoscenza della filosofia e religione indù, ma sembra supporre una qualche derivazione di Platone da essa per via indiretta, cosa che se è ammissibile per la religione indiana non lo è per quanto riguarda la filosofia dell'India, che, come asserisce Tucci, è in realtà derivata da quella greca e quindi da Platone.
P. 136, nel Simposio si manifesta l'intento educativo di Platone e perciò anche quello politico ed è quindi la sua opera più sistematica, quella cioè dove si rivela il suo sistema filosofico reso tale appunto dall'intento politico-educativo. E' superato il momento puramente mistico, in cui molto era ancora taciuto perché indicibile. Qui il filosofo sovrumano scende sulla terra alla pari con gli altri uomini e cerca di educarli alla convivenza secondo quanto gli è stato rivelato dall'estasi dionisiaca.
P. 138, attraverso l'arte e la bellezza si compie questa azione educativa basata sulla razionalità e la socialità perché nel Simposio “il punto di gravità si sposta dal dionisiaco all'apollineo.” (p. 139)
P. 140, valore mistico del messaggio di Platone. Le idee comportano l'attributo della trascendenza e dell'intuizione mistica che però si sottraggono alla possibilità di essere strumenti di educazione. Platone per sorreggere il proprio sapere è costretto a ricorrere al discorso razionale, alla dimostrazione logica, ma con ciò impoverisce il contenuto della dottrina originaria. La teoria delle idee, discesa sul piano della razionalità è facilmente attaccabile, mentre non lo sarebbe se la si intuisse nel suo valore trascendente. Analogamente come è costretto ad abbracciare la razionalità è costretto anche ad abbracciare la politicità e con ciò a fuggire la solitudine alla quale peraltro è spiritualmente portato. Ma egli è l'illuminato che per poter comunicare agli uomini il suo insegnamento è obbligato ad abbassarsi sul piano della comprensione umana e così l'intento educativo-politico prende il sopravvento sul lato mistico.
P. 143-144, per Platone la razionalità non è fine a se stessa ma è semplicemente un puro strumento educativo-politico. La conoscenza vera la si coglie nel momento mistico ed è riservata a pochi e comunque non è comunicabile tale qual è.
P. 145-146, data l'impossibilità di comunicare l'intuizione mistica dell'Essere, Platone vi rinuncia, come per Kant il noumeno non può essere oggetto di conoscenza. Così l'ultimo Platone si volge tutto alla razionalità e alle scienze terrene, come poi Aristotele. Giovanni Reale, nella sua Per una nuova interpretazione di Platone, ha preso proprio in considerazione l'ultimo Platone, quello dopotutto meno autentico.
P. 148-149. Il vero Platone è il mistico che riappare nella Lettera VII, dove l'idea viene presentata nella sua essenza come individualità assolutamente indipendente, da cogliersi in una intuizione prerazionale. La razionalità non è fine a se stessa, ma è un semplice strumento per comunicare agli uomini una verità altrimenti incomunicabile, ma della quale in ogni caso si può dare solo un'immagine sfocata e poco nitida, poiché essa può essere colta nella sua forza solo nell'illuminazione interiore.