La concezione che Pater ha di Diòniso
è diversa da quella di Nietzsche. Il filosofo tedesco sulla scia
della Poetica di Aristotele collega il culto dionisiaco a
sacrifici cruenti (soprattutto del “capro”), mentre Pater ne fa
una sorta di divinità della vite, derivata dall'originario culto
degli alberi, e in seguito in un simbolo della vita di tutte le cose
che fluiscono, come la linfa, come il vino, come la stessa
transitoria vita umana. Il suo simbolo, la vite e la coppa, saranno
poi con il Cristianesimo il vino-sangue e il sacro calice.
C'è tra la concezione
di Nietzsche e quella di Pater un vero abisso. Il tedesco pone a
fondamento del culto di Diòniso il suo sacrificio cruento e la sua
rinascita o resurrezione, mentre per Pater Diòniso è la vita della
pianta di vite, il simbolo più elevato di una concezione
naturalistica dell'esistenza, che si circonda di simboli animali e
vegetali, satiri e ninfe. Indubbiamente l'idea che noi oggi abbiamo
del dionisismo è dovuta all'influsso di Nietzsche che ne ha fatto un
culto cruento, sanguinoso, appunto tragico, mentre se avesse prevalso
la visione di Pater forse Diòniso oggi sarebbe il dio degli
ambientalisti.
Il culto di Diòniso
era più antico di quello di Apollo ? Almeno a Delfi parrebbe di
sì, perché il suo culto precedette quello per Apollo. A tal
proposito concorda Nietzsche in una sua opera poco nota, Il
servizio divino dei Greci
(lezioni sul culto greco tenute a Basilea tra il 1875 e il 1878).
L'affermazione più interessante è che l'oracolo di Delfi divenne
apollineo soltanto tardi. Il filosofo tedesco afferma che sul Parnaso
il culto di Diòniso era più antico del culto di Apollo .
Colpisce l'attenzione l'impostazione positivistica di queste lezioni,
che sembrano voler far dimenticare la “deviazione” della Nascita
della tragedia .
Sacrificio della capra
in onore di Diòniso, dapprima per propiziarsi il vino buono, dato
che la cerimonia avveniva in dicembre, quando si riponeva nelle
anfore il vino nuovo, poi veniva effettuato anche per i morti,
spiriti affamati e assetati.
Un'altra differenza rispetto al Nietzsche. Pater ritiene Euripide «
preminente
come poeta del pathos »
mostrando di apprezzare proprio l'aspetto passionale, sentimentale
del dramma. In un certo senso sotto questo aspetto si può accostare
Euripide a Shakespeare.
Il canto corale in
onore di Diòniso, il Ditirambo, è caratterizzato dalla musica
selvaggia, questo è un aspetto in comune con le considerazioni che
fa Nietzsche ne La nascita della tragedia.
Nel conferire un senso
razionale al mito della folgorazione di Semele e della nascita di
Diòniso ,
la vite che nasce dal terreno vulcanico arso dal sole, Pater non può
fare a meno di rivolgersi nella serie delle similitudini seguenti ad
accennare a Tannhäuser, e in ciò mostra la sua sensibilità
estetico-musicale, e il culto per Wagner, tipico dei simbolisti.
La religione di
Diòniso, in quanto culto della vite, si collega anche all'antico
culto dell'acqua, grazie alle Iadi, ninfe delle sorgenti, seguaci di
Bacco.
La visione di Pater è
decisamente diversa da quella di Nietzsche, perché mentre in
Nietzsche l'arte, soprattutto quella musicale e tragica, si risolve
nella liberazione, nella catarsi o catastrofe dionisiaca, in Pater
quell'elemento dionisiaco, naturale, presente nella sensibilità
ellenica, si risolve, si ferma nell'idea estetica, nella statuaria,
nel bello ideale e nello stesso tempo fedele alle forme terrene ed
umane, nella Baccante, nel Centauro, nell'Amazzone, nel divino
Apollo. Mentre per Nietzsche l'istinto artistico dei Greci trova la
sua massima espressione nella tragedia e nella musica dei cori, per
Pater esso culmina nell'arte plastica, nel culto “apollineo” per
la bellezza.
Diòniso è
incarnazione (o nome evocatore) dell'anima della vite, avente tutte
le qualità proprie della pianta, la sua fragranza, il colore, i
ricciuti pampini nelle abbondanti chiome floride come le foglie. E'
evidente la concezione estetica di Pater aliena da qualsiasi
implicazione di ordine metafisico o esistenziale o, tantomeno,
tragico.
Pater concorda col
Nietzsche riguardo all'origine della tragedia :
E'
dai dolori di Diòniso, dunque – di Diòniso in inverno – che
nasce e si sviluppa la tragedia greca; dal canto dei dolori di
Diòniso, intonato durante la festa invernale dal coro dei satiri,
cantori vestiti di pelle di capra, in memoria della sua vita rustica,
ora l'uno ora l'altro dei quali, di tanto in tanto, esce dalla fila
per sottolineare e sviluppare questa o quella circostanza della
storia; e così il canto si fa drammatico .
Diòniso nasce
dall'unione di Zeus con una mortale, Semele. Viene accostato a
Persefone negli attributi di divinità invernale, che scende appunto
all'Ade in inverno, le sue feste coincidono con quelle eleusine. E'
portato in processione ad Eleusi col nome di Iacco, insieme alle
altre due dee cioè Demetra e Core (Persefone).
A Diòniso sono
attribuiti sacrifici cruenti. Oltre a essergli sacro il lupo, e da
ciò la leggenda del licantropo, cioè della trasformazione in lupo,
a Diòniso il mito attribuisce il sacrificio di un fanciullo, che lo
simboleggia appunto come Diòniso-Zagreo. A Delfi era custodito un
lupo in suo onore, a cui il sacerdote offriva in sacrificio un
capretto, che rappresentava in verità la sostituzione a un fanciullo
originariamente offerto. Pater riferisce l'episodio di Plutarco
(nella vita di Temistocle) secondo il quale prima della battaglia di
Salamina Temistocle avrebbe offerto in sacrificio tre giovani
persiani prigionieri a Diòniso il divoratore (o “carnivoro”).
Dal culto di
Diòniso-Zagreo, dio sacrificato e sofferente, gli Orfici derivarono
l'idea di una vita consacrata all'ascetismo, alla purificazione,
nella promessa di una vita ultraterrena e di una resurrezione. E'
chiaro il collegamento con il Cristianesimo e questo spiega anche
perché il Nietzsche, che pure non era a conoscenza del Pater, abbia
firmato i cosiddetti biglietti della follia con la dicitura “
Diòniso il Crocifisso “.
Nello studio sulle
Baccanti di Euripide è evidente un atteggiamento diverso
rispetto al tragico greco dalla considerazione che ne aveva
Nietzsche. Pater infatti considera questo tardo parto del poeta come
una sorta di palinodia e quasi di ripudio della sua mentalità
razionalistica e un ritorno alle origini eschilee, quando il mito si
presentava nel suo alone di magica rivelazione.
L'opera fu
rappresentata a Pella, alla corte del re macedone Archelao, in un
paese lontano dalle raffinatezze intellettuali di Atene, ancora
circondato dalla natura selvaggia. E pare proprio che nel dramma come
nell'animo del poeta vi fosse un vero e proprio ritorno, in una
dimensione vagheggiata con nostalgia, all'intesa tra uomo e natura.
Oltre alle interessanti
riflessioni sugli effetti musicali del coro nelle Baccanti è
importante l'affermazione secondo la quale il riso era l'elemento
essenziale del più antico culto di Diòniso. Questa asserzione di
Pater è abbastanza in contrasto (ma forse no) con la tragicità
invece riscontrata da Nietzsche nel mito stesso di Diòniso. Penso
però che Pater qui volesse sottolineare soprattutto l'elemento
ferino, selvaggio e puramente istintuale rappresentato dal dio e ciò
in effetti non è in contrasto con la visione di Nietzsche.
Ritorna in
considerazione la figura e il mito di Diòniso, che Euripide ha
sottoposto al suo sofisma, cioè ha trasformato l'invasamento delle
Baccanti in pura e improvvisa follia. Ma Pater coglie ugualmente la
presenza, sottesa al significato stesso di tragedia, del mito. Un
mito davvero singolare, nel quale il dio omofago e meilichios, dolce
come miele ma anche bevitore di sangue, si presenta come il
cacciatore e nel contempo la preda. Un mito selvaggio, nato sugli
aspri monti di Tracia e connesso a quel filone di leggende collegato
alla vita agreste e ai rituali della fecondazione dei campi e della
rinascita della vegetazione in primavera dopo la sterilità
dell'inverno.