giovedì 1 maggio 2025

Giorgio Colli, La natura ama nascondersi

 


Giorgio Colli, La natura ama nascondersi, Milano, Adelphi, 2014


P. 29: “Dioniso da collettivo diventa individuale, anzi veramente divino, oltrepassando nell’abisso noumenico la distinzione gioia-dolore; di fronte a questo abisso il mondo si svela per la prima volta nella sua vera natura fenomenica, che è espressione di interiorità fondamentali.”

Il θυμός, l’interiorità individuale, si esprime nell’adesione al flusso trascinatore di Dioniso in un’adesione gioiosa di esso, prima di piombare nel pessimismo orfico che nega la vita terrena e si rifugia nell’immortalità dell’anima e nel ritualismo dei gesti purificatori che hanno lo scopo di giustificare la vita stessa in funzione di una vita ultraterrena. Direi che Colli è uno dei migliori interpreti di Nietzsche, e soprattutto ha capito che Nietzsche non è materialista né tantomeno positivista, il suo “senso della terra” non è il razionalismo scientifico, ma coincide con l’estasi dionisiaca di fronte alla corrente trascinatrice del vitalismo che supera qualunque trascendenza. Non esiste un al di qua e un al di là, tutto è dovunque.

Bisogna però dire che la visione di Nietzsche ossia la visione dionisiaca del mondo non contraddice quella neoplatonica o gnostica o ermetica. Il De mysteriis di Giamblico, I, 9 riporta : “La luce visibile è un solo continuo, dovunque lo stesso tutto…”. E così anche Bergson non ci raffigura la coscienza che come un interminato flusso.

P. 34, a proposito della decadenza della filosofia all’epoca dei sofisti : “Protagora … si prosterna senza dignità al demos, dichiarando l’eguaglianza degli uomini, parola sacrilega.” E’ chiaro qui l’insegnamento di Nietzsche, ma è anche platonico perché nella Repubblica Platone distingue i vari tipi umani a seconda del predominio di una delle parti dell’anima.

P. 33, nonostante la decadenza del mondo greco, dovuta al razionalismo e che culmina con Aristotele, si ha un breve ritorno all’illuminazione presocratica con Plotino, l’ultimo grande illuminato ed entusiasta. E questo conferma l’osservazione precedente a proposito di p. 29, e cioè che la visione dionisiaca del mondo non contraddice quella neoplatonica ed ermetica.

P. 171, a proposito di Parmenide (la sua interpretazione pare avvicinarsi alla filosofia indiana Sankhya) dice che sembra che il filosofo greco “non si limiti a parlare di un unico essere, ma ammetta parecchi ἐόντα, non bene distinti è vero tra loro, ma neppure fusi in un solo ἐόν.” In questo modo Parmenide ammette una pluralità di essenze.

P. 173, nella sua originale interpretazione Colli ribadisce l’impossibilità di concepire un essere franto nella molteplicità che in quanto tale è illusoria, sia un unico essere limitato, perché ciò presuppone la realtà di un non essere fuori dall’essere, o un altro che l’essere, che però necessariamente sarebbe porre sempre qualcosa, cioè essere.

P. 174 : “Tutto è unità, in quanto ‘è continuo, da qualunque punto io cominci’, e proprio questo persistere identico, moltiplicato in infiniti punti di partenza indifferenti, centri irradianti che impercettibilmente trasmutano, costituisce la variegata molteplicità noumenica. Con ciò la forma espressiva balza d’un tratto intuitivamente concreta, in una sfera riempita di cammini circolari, dove quanto è esterno si riconosce come proprio e identico, e ogni centro di vita riprende ciclicamente a pulsare quando il suo fremito è trascorso per le infinite vie che si aggirano nella pienezza dell’essere.”

P. 199, nella trattazione su Eraclito (ma anche su Parmenide) Colli insiste sempre sull’intervento di una facoltà interiore che illumina l’essenza della realtà e la sottrae all’arbitrio illusorio del soggetto perso nel fenomeno. Ma di che si tratta ? Che cos’è questa facoltà interiore ? Il filosofo ci suggerisce la parola “intuizione”, ma non è essa stessa un’illusione e un arbitrio ? Chi ci garantisce della sua verità ? Chi mi garantisce che la presunta intuizione non sia altro che il volere le cose in un certo modo, un autoinganno, un bendarsi gli occhi e immaginare quello che non è ?

P. 208, il capitolo su Eraclito, pur nella inevitabile complessità dell’esegesi, ci svela l’impostazione di fondo. Colli nell’individuare l’opposizione esistenziale tra esterno ed interno, tra quantità e qualità, tra apparenza ed essenza, va oltre e, come Nietzsche, si immerge nell’abisso caotico dell’indistinto e dell’indicibile, in cui la natura ama nascondersi. Non vi è dunque una ragione ultima delle cose, ma “la vita è un fanciullo che gioca, che sposta i pezzi sulla scacchiera : reggimento di un fanciullo”, nel frammento di Eraclito.

P. 217, il cap. su Empedocle è anche, oltre una disamina dell’opera del filosofo, una sorta di celebrazione del potere creativo della poesia : “La poesia diventa fisica e filosofica, e l’intero mondo dell’apparenza è espressione, incatenata nel ferreo ciclo della necessità in cui i motivi poetici compaiono in forme scultorie, in sintetiche parole immutabili, e in cui nel flusso eternamente rinnovantesi del tempo si sgrana la molteplicità indicibilmente fissata al di là di ogni rappresentazione. Una radicale trascendenza viene così ridotta totalmente in termini di vita concreta, plastica, individuata, e il pessimismo che spezza ogni determinazione non si consuma in un tormento distruttore, ma si risolve in un ottimismo più forte, che nell’espressione trova un raddoppiamento della realtà e che ricostituisce al di là della rottura di ogni limite una nuova figura pulsante da contemplarsi.”

P. 223, è avvertibile l’interpretazione in chiave nietzscheana del pensiero di Empedocle o anche in chiave bergsoniana : “… l’essenza noumenica di ogni realtà è il suo impulso vitale invisibile a reagire in quanto la circonda, a congiungere se stessa con il tutto, ritrovandosi fuori di sé …”. Dove è evidente che il noumeno non è un’ipotesi astratta o un’idea iperuranica, ma il principio interiore che si identifica con la coscienza e che si manifesta, si esprime nel mondo della materia, non dunque separato da essa ma forza agente su di essa.

P. 227, nell’interpretazione del pensiero di Empedocle trova sviluppo e compimento l’intuizione originaria di Colli, che egli aveva già manifestato in Apollineo e Dionisiaco, opera della giovinezza. Al di là dell’influsso di Nietzsche qui troviamo una posizione del tutto originale che al limite si potrebbe accostare all’intuizionismo di Bergson : “Al di là di ogni apparenza sta il mondo indicibile del φρονεῖν, dove le determinazioni svaniscono. Nella divina intimità la dispersione si unifica, cade ogni limite di estraneità, si scopre in un distacco inesprimibile la straripante ricchezza seminale, che è abissalmente insita nella molteplicità visibile :

Soltanto un cuore sacro e indicibile sussiste allora,

Che con veloci pensieri si slancia attraverso il mondo intero.”

P. 264, l’analisi del Fedone pone alla luce un’interpretazione del tutto originale del pensiero di Platone e cioè la sua origine e fondamento dionisiaco, nell’isolamento dell’individuo nella propria interiorità irraggiungibile per altri, egli posa la prima pietra dell’edificio filosofico, che non poggia, contrariamente a quanto si crede, sull’astratta razionalità, ma sull’intimità dell’anima e sul mistero indicibile della sua essenza.

P. 271, se Platone non fosse stato poeta non avrebbe elaborato la dottrina delle idee che ha come fondamento una concezione pluralistica della realtà. Avrebbe infatti affermato piuttosto un monismo mistico quale si diffonderà in seguito con i neoplatonici o prima di lui aveva sostenuto Parmenide. Ma : “In quanto poeta, egli è portato ad amare profondamente ogni cosa del mondo che cada sotto i suoi occhi, a scoprire una bellezza in ogni oggetto visibile, a trasfigurare liricamente ogni realtà prosaica.”

P. 288, parlando del Fedro e del mondo iperuranico è da notare il misticismo di Platone che introduce il viaggio dell’anima in uno spazio di pure essenze di cui è partecipe nello slancio dell’eros metafisico, che non è pura razionalità, ma “impulso dell’intima spontaneità primordiale”.

P. 306, l’idea in Platone non è astratta, ma intuitiva, è intuizione e sentimento. Questa è l’interpretazione originalissima del Parmenide, che Colli affronta (forse in chiave nietzscheana ?) affermando che Platone è scettico e propende a negare la possibilità di una conoscenza razionale (p. 303).

Nel cap. X, “Spegnersi di un mondo”, l’analisi di Colli si avvicina sempre più all’intuizione quale fondamento della conoscenza, in un atteggiamento prerazionale che si rifà a Spinoza e Schopenhauer : “Non solo la Critica della ragion pura è anticipata, ma i suoi risultati non sono ritenuti in un certo senso una cosa seria” (p. 317). Il noumeno nel suo isolamento viene accostato al Prajāpati delle Upanishad, a Puruṣa (Uomo Cosmico primordiale), (p. 318, nota 11). Si veda, per la tradizione indiana, Roberto Calasso, L’ardore, 2010.

P. 324, la concezione etico-politica della Repubblica è frutto della decadenza del pensiero platonico così come in genere gli altri suoi scritti politici.