Scheda di lettura
Paolo Bellezza Curiosità manzoniane Milano, Vallardi, s. d. (presumibilmente primi del ‘ 900)
Svista del Manzoni al cap. XXIV, figliuolanza del sarto, dice che si trattava di due bambinette e un fanciullo , al cap. XXIX : una bambina e due ragazzi .
P. 24 Manzoni lettore di E. Gibbon ( ne aveva postillato l’opera ).
P. 25 Amnesie piuttosto gravi del Manzoni che non ricordava più molti versi dell’Adelchi e alcuni personaggi minori dei suoi Promessi sposi ( evidentemente non amava le proprie opere) . Inoltre la dedica a Marzo 1821 riporta gravi errori nella data e nei fatti.
Una sera, - narra lo stesso biografo ( il Fabris ) m’accadde di citargli due o tre versi del coro : Dagli atri muscosi, ecc.; mi disse che non ricordava punto quei versi. Un’altra sera una signora, che aveva recitato stupendamente a Napoli la parte d’Ermengarda, gli diede il proprio ritratto, con sotto scritti alcuni versi di questo personaggio : i famigliari gli dissero ch’eran suoi; egli sostenne risolutamente di non averli mai sentiti, finché dovette cedere all’evidenza quando io gli additai il luogo preciso della tragedia dove si trovano. (…) Quanto ai Promessi Sposi, suo figlio Pietro era solito dire di conoscerli meglio del padre; e difatti quattro o cinque volte mi avvenne di citare a quest’ultimo qualche personaggio secondario del romanzo, del quale egli mi assicurò che non aveva più memoria alcuna. E pensare che, tra comporlo e correggerlo, c’era stato sopra quasi vent’anni !
(…) Finalmente due errori di fatto ricorrono nella dedica che egli premise all’inno Marzo 1821 : “ Alla illustre memoria di Teodoro Koerner – Poeta e soldato dell’Indipendenza Germanica – morto sul campo di Lipsia – il giorno XVIII d’ottobre – MDCCCXIII – nome caro a tutti i Popoli – che combattono per difendere o per conquistare una patria “. Il Koerner non morì il 18 ottobre, ma il 26 agosto del 1813; e non cadde a Lipsia, ma alla battaglia di Cadebush.
P. 27 Informazioni sulla memoria prodigiosa del Manzoni relativamente alle sue letture e studi, fondamentalmente italiani, latini, francesi. Conosceva imperfettamente il tedesco.
“ Non solo egli sapeva a mente quanto vi è di egregio nella poesia italiana, latina e francese, ma, come l’ho udito definire dal Tommaseo, era un mare di versi non solo belli, ma anche mediocri “. E soggiunge alcuni esempi davvero sbalorditivi. Aveva a memoria tutto Virgilio e Orazio, e una volta passò in rassegna odi, satire ed epistole di questo, rilevandone le incoerenze, le inesattezze, ecc., “ con una precisione di citazioni come lo avesse sotto gli occhi ”. E sapeva a mente “ tutto il dizionario delle piante stampato per la Toscana da Ottaviano Targioni-Tozzetti “, nonché molte strofe del Guglielmo Tell dello Schiller ( ed è noto ch’egli conosceva solo imperfettamente il tedesco ), “ i più bei brani dei prosatori francesi di Luigi XIV “ e “ citava a memoria passi di Bossuet , di Massillon e principalmente di Bourdaloue “. Aveva – dice lo Stampa – una memoria straordinaria che conservò fino agli ultimi anni di sua vita. A ottantacinque anni, discorrendosi una sera dell’Alfieri, recitò a memoria duecento versi di Virgilio e i versi corrispondenti d’una traduzione, non molto nota, dell’Alfieri “. Che più ? solo qualche mese prima di morire, si ricordava di certa proposta fattagli dal Foscolo circa una parola da sostituirsi nel sonetto a Francesco Lomonaco, composto nel 1802.
P. 34-35 Le considerazioni manzoniane sull’amore rivelano l’impostazione rigorosamente moralistica del romanzo. Per Manzoni è chiaro che l’arte deve avere un intento morale ed educativo.
L’amore è necessario a questo mondo : ma ve n’ha quanto basta, e non fa mestieri che altri si dia la briga di coltivarlo; e col volerlo coltivare non si fa altro che farne nascere dove non fa bisogno. Vi hanno altri sentimenti dei quali il mondo ha bisogno, e che uno scrittore, secondo le sue forze, può diffondere un po’ più negli animi : come sarebbe la commiserazione, l’affetto al prossimo, la dolcezza, l’indulgenza, il sacrificio di sé stesso : oh di questi non v’ha mai eccesso : e lode a quegli scrittori che cercano di metterne un po’ nelle cose di questo mondo; ma dell’amore, come vi diceva, ve n’ha, facendo un calcolo moderato, seicento volte più di quello che sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie. Io stimo dunque opera imprudente l’andarlo fomentando cogli scritti; e ne son tanto persuaso, che se un bel giorno, per un prodigio, mi venissero ispirate le pagine più eloquenti d’amore che un uomo abbia mai scritte, non piglierei la penna per metterne una linea sulla carta : tanto son certo che me ne pentirei.
P.36 Si nota come la passione di don Rodrigo per Lucia sia molto più giustificata e comprensibile ne Gli sposi promessi che ne I promessi sposi .
P. 54 La famosa disfida fatta dal cavaliere spagnolo al cav. milanese e le percosse date al messo di cui si parla al cap. V de I promessi sposi è tutta ricavata da un’opera di Francesco Birago, Consigli cavallereschi . Il Birago nel suo ragionamento seguente al caso esposto dà ragione al conte Attilio.
P. 106-107 Il romanzo fu molto osteggiato negli ambienti clericali e nei seminari, perché considerato anticlericale e di tendenza protestante.
P. 201 A proposito del lungo silenzio di Manzoni, cita un poeta arabo ( da Ch. Huart, Littérature arabe , Paris, 1903 ).
P. 207 Nevrosi ( d’ansia ) del Manzoni : “ Pensava a lungo prima di scrivere un biglietto; scritto, lo rileggeva più volte, e inviatolo alla porta, lo faceva talora ritirare nel dubbio che gli fosse sfuggito qualche errore. “ (da R. Barbiera, Il salotto della contessa Maffei ).
Sono le “esitazioni” e la “mancanza di risolutezza” di cui si lagna egli stesso cogli amici. E si chiama un uomo “che balbetta con la mente”, “impacciato nel cervello”, dalla “povera testa” afflitta da “travagli di mente”. E’ quel ch’egli dice “l’agitarsi nel dubbio” …
P. 209 cfr. con P. S. le ragioni del cuore e del sentimento (segnato).
… le ragioni del sentimento sono per me la cosa più astrusa, più incerta, più imbrogliata del mondo …
P. 211 : v. segnato : nevrosi della perfezione.
Mi disse il Manzoni l’altro dì, che delle sue cose egli l’ebbe a copiare diciassette volte.
P. 225 Dice che Manzoni ebbe una zia suora ( sorella del padre) cui si sarebbe ispirato per la figura della monaca di Monza.
Il monastero donde provenivano i dolci da lui gustati, fu certo quello a cui apparteneva una sua zia, Teresa, detta la zietta, che, a quanto riferisce il Fabris, gli servì poi, in parte almeno, come tipo della signora di Monza. Più fortunata di Gertrude, in seguito alla soppressione ordinata dall’imperatore Giuseppe II, potè uscire dal convento, dove, dice lo Stoppani “ l’avevano condotta, e lei si era lasciata condurre”. E ne uscì di gran voglia. “ Io per me – diceva – sono del parere di Giuseppe II : Aria ! aria ! “ soggiungeva, trinciando nell’aria di gran cerchi colla mano destra, quasi avesse voluto farsi largo, e sgombrarsi d’attorno quel non so che, da cui aveva avuto impedito per tant’anni il respiro. Doveva essere un tipo curioso. Lo Stampa ci dice che, “ vedendo qualche lavoro fino o piccolo, esclamava con una certa vocetta : gran Todeschi de Londra per fà quei robb così minutissimament “.
P. 238 Manzoni non riusciva ad uscire di casa se non accompagnato. Aveva la mania ( condivisibile ! ) di fare lunghe passeggiate e di correre.
P. 239 Eccessiva precisione : “ bisognava spendervi due minuti ( nella corsa ) … e se per caso si fosse affrettato il passo, il M. coll’orologio alla mano aspettava prima di voltare che fossero passati.” Bilancia a Brusuglio sulla quale M. usava pesare quotidianamente secondo le ore gli abiti che portava.
“ Colà ( a Brusuglio ) egli impiegava i venticinque minuti prima del pranzo – ci informa il Bonghi – a percorrere dieci volte, cinque nell’andare, cinque nel tornare, un viale d’un trecento passi. E bisognava spendervi due minuti e mezzo per l’appunto nell’andata e altrettanti nel ritorno; e se per caso si fosse affrettato il passo, il Manzoni coll’orologio alla mano aspettava prima di voltare che fossero passati “. Si conserva ancora a Brusuglio, a quanto afferma lo stesso Bonghi, una bilancia sulla quale il grand’uomo usava pesare gli abiti che portava, “ poiché era minutissimo nel volerli più o meno grevi o leggeri, secondo la temperatura non del giorno solo, ma dell’ora, sicché si vestiva e spogliava più volte “.
P. 240 Come D’Annunzio anche M. soleva leggere ( a lungo !) quando era al gabinetto (w. c.). Vedi le altre manìe : fare il fuoco al caminetto, fumare, giocare.
…il Manzoni adoperava tanto “rustiche pipe di gesso”, quanto “più fine pipe turche”. (…) più tardi lasciò la pipa per le sigarette; poche, tre o quattro al giorno.
Patologia manzoniana , pag. 260 e seg. : serrato improvvisamente tra la folla insieme alla moglie a una festa a Parigi per il matrimonio di Napoleone I, viene preso dalle vertigini. Soffriva forse di una lieve forma di epilessia ? Generalmente si parla di agorafobia. Grande somiglianza di carattere col nonno, Cesare Beccaria, uomo pigro e ipocondriaco.
Abbiamo già ricordato che non poteva uscire di casa da solo. Il Cantù crede che ciò fosse l’effetto dello sgomento avuto da lui un giorno a Parigi, allorché, durante una festa data da Napoleone ai Campi Elisi, smarrì nella calca la moglie, e temette che le fosse avvenuta disgrazia. Comunque, il fatto è sicuro. Scrivendo al Fauriel, donna Giulia lo dice “incapace di fare un sol passo da solo fuori di casa”. Altrettanto sappiamo dall’Enrichetta e dallo Stampa, il quale aggiunge che doveva uscire accompagnato “anche a breve distanza”. Il Manzoni stesso conferma implicitamente la cosa in quella lettera al Fauriel in cui dice che sua madre e sua moglie non uscivano mai quando erano a Milano, “si ce n’est pour des affaires, ou par complaisance pour moi, quand j’avais une véritable nécessité de faire du mouvement”.