(
Blaise Pascal, Pensées )
A
proposito del pensiero 334 : la vita è breve e ci aspetta la morte e
forse un'eternità di castighi o la beatitudine, oppure
l'annientamento. La ragione tra l'istante che è la vita e l'eternità
ci dice chiaramente che è questa ad essere la più importante.
Tuttavia il nostro comportamento non è conforme ai dettami della
ragione e infatti Pascal scrive : “ Si giudichi dunque da questo
punto di vista di coloro che vivono senza pensare a quell'ultimo
termine della vita, che si lasciano andare alle loro inclinazioni e
ai loro piaceri senza riflessione e senza inquietudine e, come se
potessero annientare l'eternità distogliendo da essa il loro
pensiero, pensano a rendersi felici soltanto in questo attimo.
Tuttavia questa eternità esiste e la morte, che la deve spalancare e
che li minaccia ad ogni ora, li deve mettere infallibilmente in breve
tempo nell'orribile necessità di essere eternamente o annientati o
infelici senza che sappiano quale di queste eternità sia loro
preparata per sempre. “
Il
motivo del comportamento di coloro che “ vivono senza pensare “
sta nel fatto che noi ignoriamo assolutamente che cosa sia l'eternità
e che cosa sia la nostra morte. Ne segue che vivendo nell'oscurità
più totale ci diamo a braccia aperte al piacere immediato come
l'unica e più soda certezza, anche se fugace. Siamo schiavi delle
nostre sensazioni e soltanto un Dio ce ne può liberare. Come dare
dunque torto al cavaliere Des Grieux, in Manon Lescaut di
Prévost, che rispondendo ai rimproveri e alla predica dell'amico
devoto Tiberge afferma : “ Lasciatemi ragionare a mia volta. Potete
pretendere che ciò che voi chiamate la felicità della virtù sia
esente da pene, da traversìe e da inquietudini ? Che nome dareste
alla prigione, alle croci, ai supplizi e alle torture dei tiranni ?
Direste, come fanno i mistici, che ciò che tormenta il corpo è una
felicità per l'anima ? Voi non l'osereste dire; è un paradosso
insostenibile. Questa felicità che voi tanto celebrate, è dunque
mescolata a mille pene, o per parlare più esattamente, non è che un
tessuto di sventure, attraverso cui si tende alla felicità. Ora, se
la forza dell'immaginazione fa trovare il piacere in questi stessi
mali, perché possono condurre a un fine felice che ci si augura,
perché accusate di contraddizione e insensatezza, nella mia
condotta, una disposizione del tutto simile ? Io amo Manon; io tendo
attraverso mille dolori a vivere felice e tranquillo vicino a lei. La
via per la quale io marcio è sventurata; ma la speranza d'arrivare
alla mia meta vi espande all'intorno sempre della dolcezza; e io mi
crederei troppo ben ripagato, per un momento trascorso con lei, di
tutte le disgrazie che io patisco per ottenerlo. Ogni cosa mi
parrebbe quindi uguale dalla parte vostra e dalla mia; o se c'è
qualche differenza, essa è ancora a mio vantaggio, perché la
felicità che io spero è prossima, e l'altra è lontana; la mia è
della natura delle pene, cioè sensibile per il corpo, e l'altra è
d'una natura sconosciuta, che non è certa che per la fede. “
Inutile
dire che Tiberge rimane scandalizzato di un tale ragionamento. Ma si
può dare forse torto a Des Grieux ? Che cosa è più naturale di un
tal modo di ragionare, che, sinceramente, è il più persuasivo ? Ma
perché, ancora, si ragiona naturalmente in tal modo se non perché
si dispera di ogni cosa che non ricada sotto le nostre sensazioni ?
L'uomo ignora ciò che si trova al di là della propria esperienza e
dei sensi, o altrimenti ne ha una conoscenza presunta, che in realtà
non è se non astratta e dunque non concreta, non palpabile, non
visibile e in breve non vera. Ma sono forse vere le sensazioni, sono
autentiche, sono universali ? Non saprei, quello che è certo è che
le sensazioni, come le opinioni, sono varie, mutevoli e di breve
durata.
Il
lettore può trarre da sé le conseguenze e vedrà che l'uomo,
nonostante tutta la sua ansia di ricerca, si trova sempre al punto di
partenza : non sa nulla.