lunedì 27 luglio 2015

Sul pensiero n. 334 di Pascal

( Blaise Pascal, Pensées )


A proposito del pensiero 334 : la vita è breve e ci aspetta la morte e forse un'eternità di castighi o la beatitudine, oppure l'annientamento. La ragione tra l'istante che è la vita e l'eternità ci dice chiaramente che è questa ad essere la più importante. Tuttavia il nostro comportamento non è conforme ai dettami della ragione e infatti Pascal scrive : “ Si giudichi dunque da questo punto di vista di coloro che vivono senza pensare a quell'ultimo termine della vita, che si lasciano andare alle loro inclinazioni e ai loro piaceri senza riflessione e senza inquietudine e, come se potessero annientare l'eternità distogliendo da essa il loro pensiero, pensano a rendersi felici soltanto in questo attimo. Tuttavia questa eternità esiste e la morte, che la deve spalancare e che li minaccia ad ogni ora, li deve mettere infallibilmente in breve tempo nell'orribile necessità di essere eternamente o annientati o infelici senza che sappiano quale di queste eternità sia loro preparata per sempre. “
Il motivo del comportamento di coloro che “ vivono senza pensare “ sta nel fatto che noi ignoriamo assolutamente che cosa sia l'eternità e che cosa sia la nostra morte. Ne segue che vivendo nell'oscurità più totale ci diamo a braccia aperte al piacere immediato come l'unica e più soda certezza, anche se fugace. Siamo schiavi delle nostre sensazioni e soltanto un Dio ce ne può liberare. Come dare dunque torto al cavaliere Des Grieux, in Manon Lescaut di Prévost, che rispondendo ai rimproveri e alla predica dell'amico devoto Tiberge afferma : “ Lasciatemi ragionare a mia volta. Potete pretendere che ciò che voi chiamate la felicità della virtù sia esente da pene, da traversìe e da inquietudini ? Che nome dareste alla prigione, alle croci, ai supplizi e alle torture dei tiranni ? Direste, come fanno i mistici, che ciò che tormenta il corpo è una felicità per l'anima ? Voi non l'osereste dire; è un paradosso insostenibile. Questa felicità che voi tanto celebrate, è dunque mescolata a mille pene, o per parlare più esattamente, non è che un tessuto di sventure, attraverso cui si tende alla felicità. Ora, se la forza dell'immaginazione fa trovare il piacere in questi stessi mali, perché possono condurre a un fine felice che ci si augura, perché accusate di contraddizione e insensatezza, nella mia condotta, una disposizione del tutto simile ? Io amo Manon; io tendo attraverso mille dolori a vivere felice e tranquillo vicino a lei. La via per la quale io marcio è sventurata; ma la speranza d'arrivare alla mia meta vi espande all'intorno sempre della dolcezza; e io mi crederei troppo ben ripagato, per un momento trascorso con lei, di tutte le disgrazie che io patisco per ottenerlo. Ogni cosa mi parrebbe quindi uguale dalla parte vostra e dalla mia; o se c'è qualche differenza, essa è ancora a mio vantaggio, perché la felicità che io spero è prossima, e l'altra è lontana; la mia è della natura delle pene, cioè sensibile per il corpo, e l'altra è d'una natura sconosciuta, che non è certa che per la fede. “
Inutile dire che Tiberge rimane scandalizzato di un tale ragionamento. Ma si può dare forse torto a Des Grieux ? Che cosa è più naturale di un tal modo di ragionare, che, sinceramente, è il più persuasivo ? Ma perché, ancora, si ragiona naturalmente in tal modo se non perché si dispera di ogni cosa che non ricada sotto le nostre sensazioni ? L'uomo ignora ciò che si trova al di là della propria esperienza e dei sensi, o altrimenti ne ha una conoscenza presunta, che in realtà non è se non astratta e dunque non concreta, non palpabile, non visibile e in breve non vera. Ma sono forse vere le sensazioni, sono autentiche, sono universali ? Non saprei, quello che è certo è che le sensazioni, come le opinioni, sono varie, mutevoli e di breve durata.
Il lettore può trarre da sé le conseguenze e vedrà che l'uomo, nonostante tutta la sua ansia di ricerca, si trova sempre al punto di partenza : non sa nulla.

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