Così ci dissolvemmo in
estasi perpetue,
gelose primavere
nei fuggevoli silenzi
delle selve.
Poi echeggiavano le
amorose voci
sopra gli alberi nel volo
vibranti, bramavi anche tu
forse
un suono, fosse solo
e per sempre un addio ?
Amore, che dolce parola,
mi piacque un tempo,
ora, ascoltami mentre la
mia
voce lo dice.
Lo dice sulle acque che un
dio
dischiude nel mio
occhio, fluente iride di
fiorenti rive
d'amaranto.
“ Ho pianto
per te l'impossibile,
come una sventura,
ci ha coronato della sua
luce
un giorno iniquo.
Le tue parole come
onde luminose
mi carezzavano, il mio
corpo
era avvolto
dalla tua musica, succube
del tuo anelito.
Echeggiava il suono
d'una voce, si colorava di
visioni
vaste, impalpabili
dimore di solitudini,
nascoste in foreste
fra nere rocce
dall'aspro grembo.
Amore, sei tu ?
Eri tu ?
Eri tu quel brivido,
quel palpito, quella gioia
che mi estingueva
in un'inesausta vampa ?
Come risuona lontano
il flauto del pastore,
senti ?
Senti ora, senti la sua
voce
smarrirsi fra le concave
valli fievole
soave melodia, morente
stasi dell'anima.
Il cuore ora piange
per sempre.
E' una fonte di lacrime
ove a noi i volti si
riflettono
sul velo crespo di
fluttuanti accordi;
i nostri volti d'un tempo,
i sogni.
Non più. Ora m'abbraccia
sola
in bruciante rancore
la tenebra.
Amore, non tormentarmi,
non tormentarmi più. “
Così la melodiosa voce
della ninfa divina.
E la mia palpebra
dell'iridato rivo
colma, si chiude.