Come un fiore sbocciato
presto me ne dovrò
andare,
come le mie dita si
muovono
così rapido è il tempo.
Cosa ho da desiderare ?
Che cosa può mancarmi ?
Sono un attimo che
svanisce
nella nascita
dell'Eterno.
Nell'abbandono d'un amore
lontano
ho sofferto invano
le attese colme di sonni
delusi,
schiusi petali
allo spiro afoso di caldi
venti,
assenti giorni giovani
nell'ansito cupo dell'ali
d'Amore,
dèmone che non perdona.
A chi perdonare, a chi
chiederlo ?
Ah, solitudine immensa
del mio deserto,
più arido del mare.
Ora ti apri innanzi,
o infinito,
e non ancora
il desiderio
si chiude.
E come l'aurora
si posa sul mare,
calmo e rabbrividito
al sospiro notturno,
trema di speranza
anche la mia piccola
fiamma.
Ma il vento esaspera la
costa
turbinando furioso,
cavalcando la spuma
come un folle dèmone
e una brama demente
inchioda al quotidiano
supplizio,
urla la sua condanna;
nati a disperata attesa
volgiamo altrove il volto
divinando un sole ignoto.
E un sole torrente vampa
sull'immensa palude,
una luce accecante
è una nebbia di lumi,
in un fiotto si perde.
Come di maggio
l'opprimente pioggia
triste non disseta gli
orti,
fremono le foglie, senili
mani scarne
al cielo grigio pregano.
Forse vincoli frangere,
tornare agli illusi
giardini
dei miti, liberi correre
senza freno, indomiti
ai sospiri azzurri del
mare !
Oh, potessimo !
Ma ci chiude gli occhi
la vendetta d'un dio.
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