Gabriele
D'Annunzio La Leda senza cigno ( Prose di romanzi,
vol. II )
Milano,
Meridiani Mondadori, 2011
In
realtà non si tratta di un romanzo nel senso tradizionale del
termine, ma, come di quasi tutti i romanzi di D'Annunzio, di
qualcos'altro. Quest'ultimo anticipa lo stile di Gadda de La
cognizione del dolore o quello di Landolfi de Il mar delle
blatte. E' assolutamente originale e interessante. E' la vera
eredità che il poeta lascia agli artisti del futuro. Vedi a pag. 885
la descrizione della vecchia sul carrozzino, che anticipa chiaramente
lo stile di Landolfi.
P.
887-889 : l'evocazione fantastica suscitata dalla musica di Domenico
Scarlatti è assolutamente originale, l'immaginazione sostituisce la
realtà a tal punto che non si sa più se si tratti di una
descrizione o di una rappresentazione onirica.
P.
891, NB la frase seguente : “ La nostra vita è un'opera magica,
che sfugge al riflesso della ragione e tanto è più ricca quanto più
se ne allontana, attuata per occulto e spesso contro l'ordine delle
leggi apparenti. “ ( vedi nota pag. 1407 che sottolinea che la
riflessione è replicata nella “Licenza”, a pag. 1037 ). Altra
frase rivelatrice : “ Il sonno umano è un errore come il tempo e
come lo spazio. “
La
descrizione della misteriosa “Leda”, il breve colloquio tra lei e
il narratore, il commiato sono un capolavoro di forza evocatrice e
incantatrice. Come esempio riporto un frammento della scena del
commiato ( p. 900 ) : “ Fuori, non pioveva. Un vento fresco, pregno
di ragia come quell'acqua piovana che riempie i vaselli appesi ai
pini, mi lavò la faccia. La cresta delle nuvole a ponente era come
una schiuma abbagliante.
Qualcosa
d'argenteo, quasi un riflesso di madreperla, guizzò negli occhi
della sconosciuta. Il primo quarto della luna pendeva dal cielo
verdigno come se la fata Morgana vi rispecchiasse il pallore della
Landa. “
In
seguito il narratore incontra un amico, che invita a cena a casa sua,
dal quale viene a conoscenza di preziose informazioni circa la donna
misteriosa, che egli chiama Leda. Figlia di un avventuriero, ella
aveva condotto la vita della mantenuta sino all'incontro con un
amante procacciatore di occasioni lucrose, il quale l'aveva fidanzata
a un giovane stolto ma ricco, promettendogliela in matrimonio dietro
il pegno di una polizza d'assicurazione in caso di morte dello sposo,
di un milione e mezzo di lire. Lo sposo, inutile dirlo, era stato
eliminato e i due, eredi di tanta fortuna, conducevano vita insieme
da padrone e da vittima.
Siamo
di fronte dunque al tòpos della donna fatale, della Circe
seduttrice.
La
donna per liberarsi dell'odioso padrone è perseguitata e allettata
dall'idea del suicidio.
Segue
l'incontro tra i due amici e la donna detta Leda. Costei vuole vedere
i cani del protagonista narratore e in questa occasione avviene
l'unione metaforica tra la Leda e i cani che il narratore trasforma
in cigni nella sua immaginazione. Nel momento del commiato ( l'amico
parte accompagnato dalla Leda ) la donna viene presentata nel fascino
proprio della “femme fatale” irraggiungibile : “ Pareva ch'ella
non conoscesse più né me né lui. Ora, tra gli orli delle palpebre
induriti e netti, aveva di quegli occhi che ci lasciano perplessi e
disperati come davanti a una muraglia liscia di roccia senza varco e
senza presa. Lo stesso bagliore obliquo, che mutava in piastra rossa
la scaglia dei tronchi, le infiammò su la tempia il metallo dei
capelli. “ ( pag. 934 )
La
lunga serata ha fine in una sorta di contemplazione meditata della
morte e infatti ( pag. 939 ) il protagonista il giorno dopo si reca
alla stazione ferroviaria e incontra l'amico insieme all'anziana
madre dalla quale apprende che la Leda s'è uccisa. Termina nella
pag. seguente la prima parte del romanzo ( se tale si può ritenere )
ed inizia la “Licenza”.
P.
953. La descrizione del tumulto parigino durante la I guerra mondiale
rievoca le “Città terribili” di Maia.
P.
958. Bellissima apostrofe all'Occidente ( verso la fine ) : “
Occidente, splendore dello spirito senza tramonto, nessun barbaro
poté mai spegnerti, nessuno mai ti spegnerà ne' secoli, finché
l'uomo porti su' suoi sopraccigli una fronte per rispecchiarti. “
NB
: la caratteristica dell'ultimo D'Annunzio è quella di un prosatore
simbolista. Come Joyce ci rappresenta il flusso ininterrotto dei
pensieri nella coscienza dell'uomo comune, D'Annunzio rappresenta il
flusso dei pensieri nell'artista, pensieri, idee, immagini quindi
sempre elette o comunque filtrate dall'occhio critico dell'artista
raffinato. Però sempre di flusso continuo di pensieri ed immagini si
tratta. Non è facile a leggersi, però va letto come Joyce, senza
soffermarsi troppo sulla logica del discorso e neppure sulle infinite
reminiscenze e citazioni letterarie. E' un vino forte che inebria e
dunque lasciamoci inebriare.
P.
969, la descrizione notturna della corsa dei levrieri nel prato,
sotto la tutela della bella donna eroica è veramente degna di
D'Annunzio, che nella capacità di comunicare le più intime e
misteriose sensazioni è un inarrivabile maestro : “ Il grido di un
uccello notturno si prolungò nel sonno profondo della foresta. Di
sopra il muro pallido le querce scossero lievemente il capo. Un filo
d'erba, che mi sfiorava la tempia, sentì l'approssimarsi dell'alba e
me lo disse. L'anima la riconobbe prima dell'occhio vigile, più
esperta a distinguere luce da luce. “
P.
978 e seg. D'Annunzio lascia fluire il corso della sua oratoria
basata su immagini e folgoranti sensazioni, ma non fa altro che
ripetersi sino alla sazietà in un seguito di descrizioni verbose e
parole pregiate. E' vero, è pur sempre D'Annunzio, ma sembra più
preoccupato di riempire le pagine che di creare, come molti scrittori
e letterati attuali che sfornano libri per venderli un tanto al
chilo.
P.
990 e seg. : lunga descrizione dei suoi cani e delle loro gesta. Si
tratta di pagine singolari, anche se abbastanza tediose.
P.
101-102. In verità D'Annunzio riesce tedioso alla nostra smania di
lettori frettolosi. La sua descrizione dei giardini veneziani è
tutta un susseguirsi di icone, di immagini preraffaellite, colorite e
plastiche come i gigli che “ maggiori di Chiaroviso, giungono alla
tempia di Nontivolio altocinta “ e “ tanto argento vince l'oro
del sole e crea un incanto lunare nel giorno. “
P.
1005. Ecco che nella laguna appare magicamente il dipinto di Boecklin
: “ L'estremo ardore del tramonto s'era aperto un varco nella fumèa
pigra e accendeva dinanzi a noi, su l'acqua immobile, la muraglia
claustrale che cinge l'Isola dei Morti. Tutta la palude e le altre
isole erano fumo e ceneraccio. Soltanto l'Isola funebre e il suo
cipresseto e le ali dei gabbiani spersi splendevano in quel silenzio
che pareva lor sostanza e spirito. “
Sebbene
la lettura sia faticosa è nondimeno affascinante. Ci troviamo qui in
piena atmosfera simbolista e ogni parola, ogni frase evocano un mondo
di sensazioni, di rimembranze, di musiche sussurrate, d'immagini
melodiose. Non dobbiamo scoraggiarci dunque e invece proseguire nella
lettura, pur fremendo d'impazienza.
P.
1014. La descrizione dell'ingresso nella casa dei Contarini, a
Venezia, con l'iniziale dondolìo della gondola e lo smarrimento
stupefatto innanzi al portico marmoreo, “ quasi che la salsedine vi
avesse incrostato cristalli di sale e schegge di conchiglie “, è
il frutto della capacità di trasferire il dato reale in una
dimensione di magica immaginazione. Viene alla mente il coro a bocca
chiusa della “Madama Butterfly” di Puccini. E' semplice, banale,
sembra una ninna nanna, eppure crea un mondo.
P.
1017 e seg. Si passa ora ai ricordi di guerra ( prima guerra mondiale
) che, pur essendo suggestivi, svolgono chiaramente una funzione di
parentesi riempitiva. D'altra parte tutta l'opera più che un romanzo
può essere definito un libro della memoria che raccoglie come tale
tutta l'esperienza di D'Annunzio, da quella erotica a quella
guerresca.
P.
1034. L'autore dà una definizione della propria opera : “ Così, o
Chiaroviso, il racconto della Leda senza cigno è ravvolto in questi
molti fogli che conviene svolgere o frangere. Non dico che in fondo
il sapore sia tanto squisito, ma certo è insolito. “
P.
1040-41. Una sorta di fiaba dei cigni, assai suggestiva. I cigni che
non hanno ricevuto il pasto consueto inseguono affamati e arrabbiati
le fanciulle custodi sino al sentiero che porta verso casa.
P.
1043. Notare questa frase : “ La vita è bella; e l'arte è sempre
da trovare; e nessuna materia varrà mai ciò che lo spirito inventa.
“ E' il trionfo della capacità immaginativa sull'arido vero ed è
nell'immaginazione e nella forza creatrice in arte che D'Annunzio
pone l'essenza della vita. Quanto questa superiorità dello spirito,
che pur nasce dai sensi, supera la nostra misera pigrizia adagiata
nell'uso di cellulari e di programmi televisivi !
P.
1046-48. L'atmosfera lugubre e magica della laguna notturna è resa
con le immagini icastiche della leggenda della barena. I sette
pescatori colti improvvisamente dalla morte accompagnano l'immagine
di Roberto Prunas cadavere, col mezzo teschio ancora coperto di carne
che avanza sotto il pergolato della vigna nella luce verde della
notte.
P.
1060. Riflessioni e sensazioni sopra la tomba del compagno d'armi
morto da tempo. Lo scrittore ci comunica le sue più intime
considerazioni sul mistero della morte, presentata nella sua veste
più materiale ma anche più umana, come disfacimento d'un cadavere,
perdita totale d'un amico, miseria del destino dell'uomo. E i suoi
pensieri sono anche i nostri.
Ecco
che D'Annunzio risolve il problema tanto dibattuto di poesia e musica
( cfr. Schuré e Nietzsche ) : “ Ma ciascuna di queste cose perde
la sua sostanza vera e si trasmuta in un sentimento che è musicale
come le cadenze delle lamentazioni. “ La musicalità verbale, o la
tanto ricercata ( e non trovata ) unione originaria di poesia e
musica consiste non nell'accompagnamento musicale o ancor peggio nel
canto, ma nell'evocazione, nel suggerimento cui dà inizio la parola
e che procede, si evolve nell'immaginazione, nella sensazione sonora,
quasi autonomamente, come i cerchi delle onde sulla superficie
dell'acqua, quando si sia lanciato un sasso.
P.
1065, rivelazioni di poetica : “ La vita non è un'astrazione di
aspetti e di eventi, ma è una specie di sensualità diffusa, una
conoscenza offerta a tutti i sensi, una sostanza buona da fiutare, da
palpare, da mangiare. “
P.
1064-1074. L'impresa dell'eroico Vietri che scampa al naufragio del
sottomarino Jalea viene dipinta con tutte le suggestioni del più
vivo impressionismo. Sensazioni e suggestioni si alternano in una
rievocazione affidata a una memoria solo apparentemente caotica.
P.
1077. L'epilogo svela l'influsso della filosofia di Schopenhauer : “
conobbi come l'anima sia un elemento perpetuo, non legato ai corpi,
non prigioniero, ma dai corpi attinto come il vaso attinge l'acqua e
la contiene e poi la riversa. “ Tuttavia l'ultima frase ci riporta
l'antica credenza orfica nell'al di là : “ E il mio più alto
canto, o Chiaroviso, è il canto che quella sera io non cantai ma che
son certo di riudire in me quando si farà notte e rincontrerò il
mio pilota a faccia a faccia. “