Così nell'ombra dell'Ade si profondava Orfeo
lento varcando il prato di asfodeli di sotto la volta
grondante dei salici, al lamentoso mormorare dell'acque
ancora lontane dello Stige. Il manto suo alla brezza
fluttuava presago di gemiti alle preghiere dei folti cipressi
ai lati della via pietrosa e bianca, un alveo di torrente,
dove spesso fluiva il plumbeo pianto dei mortali.
Lo chiamava il ricordo di Euridice che lo invocava nei tristi sogni,
lei la dolce amata, rapita dalla morte oscura
prima che fiorisse nei campi verdi della candida luce.
Ed oltre le innumeri schiere davanti al trono di Persefone,
l'aveva sorpresa, tremante, pallida, involta nel sudario.
La regina dei morti gli aveva concesso pur gelosa la donna,
perché alla casa terrena tornasse per pietà dello sposo.
Ed ora la teneva per mano, perché salisse con lui
alla luce del mondo, al canto degli alati e all'antica dimora,
dove l'aveva un tempo amato. La mano era fredda
come ghiaccio del Pelio e doveva forte serrarla
perché non sfuggisse. Ma ella si ritraeva temendo la vita
minacciosa del mondo e la violenza e l'insidia del tempo.
Scivolava la mano ghiacciata in quella di lui,
che la serrava disperando, con forza tremenda, benché la regina
gliel'avesse promessa con fede sicura al patto severo
che mai si volgesse bramoso a guardarla se non alla luce
del giorno divino che guida i mortali. Allora poteva,
ma prima gli pose il divieto, se no sarebbe tornata
nel buio dell'Ade. Ed egli obbediva all'arduo comando,
sentiva la mano leggera che quasi pareva sfuggire
sì come acqua chiusa da mano, pura alla fonte,
e ne sentiva allora un dolore cocente per lo svanire d'un dono.
Aveva temuto il fluire del tempo alla luce diurna
ed ora che dalle mani via fluisse la vita
sì come acqua chiusa da mano, pura alla fonte.
Lieve era la mano, piccola gracile e fredda
timorosa dell'aria quale alato nel nido ignaro
ancora del balzo. Oh, afferrarla, stringerla ancora poteva,
ma la sentiva appena, pur fra le dita nervose,
avvezze al tocco leggero a delicate corde di lira.
E pensava come a sogno lontano all'amata d'un tempo,
come in un sogno amata, alla vivida luce dell'alba.
Splendida giovinezza, la bruna chioma coronava le spalle,
il viso raggiante di gioia, inebriata dell'uomo fedele
e suo per sempre creduto; suo per sempre egli era.
L'amava più degli occhi suoi, della luce del sole,
dell'aria limpida e radiosa o le ridenti distese del mare
o dei fulgidi monti o nel crepuscolo le alte nubi di fuoco
o degli stormi alati o del canto solitario sui verdi rami.
Ma qui l'uno all'altra come ombre erano fugaci,
l'uno per l'altra un'ombra, intangibile forma arcana
come chi vede ombre sul muro teme l'oscura
insidia, l'oscuro alitare che ci coglie sul collo in un bacio
mortale. E una forza tremenda lo strinse a volgere il capo
verso l'amata, l'angoscia che lei potesse sfuggire
via per sempre, per sempre nel buio fosse perduta.
E lei allora quale vano fantasma si spense
nel nero nulla e nulla rimase a lui nella mano.