domenica 31 ottobre 2021

Orfeo ed Euridice

 


Così nell'ombra dell'Ade si profondava Orfeo

lento varcando il prato di asfodeli di sotto la volta

grondante dei salici, al lamentoso mormorare dell'acque

ancora lontane dello Stige. Il manto suo alla brezza

fluttuava presago di gemiti alle preghiere dei folti cipressi

ai lati della via pietrosa e bianca, un alveo di torrente,

dove spesso fluiva il plumbeo pianto dei mortali.

Lo chiamava il ricordo di Euridice che lo invocava nei tristi sogni,

lei la dolce amata, rapita dalla morte oscura

prima che fiorisse nei campi verdi della candida luce.

Ed oltre le innumeri schiere davanti al trono di Persefone,

l'aveva sorpresa, tremante, pallida, involta nel sudario.

La regina dei morti gli aveva concesso pur gelosa la donna,

perché alla casa terrena tornasse per pietà dello sposo.

Ed ora la teneva per mano, perché salisse con lui

alla luce del mondo, al canto degli alati e all'antica dimora,

dove l'aveva un tempo amato. La mano era fredda

come ghiaccio del Pelio e doveva forte serrarla

perché non sfuggisse. Ma ella si ritraeva temendo la vita

minacciosa del mondo e la violenza e l'insidia del tempo.

Scivolava la mano ghiacciata in quella di lui,

che la serrava disperando, con forza tremenda, benché la regina

gliel'avesse promessa con fede sicura al patto severo

che mai si volgesse bramoso a guardarla se non alla luce

del giorno divino che guida i mortali. Allora poteva,

ma prima gli pose il divieto, se no sarebbe tornata

nel buio dell'Ade. Ed egli obbediva all'arduo comando,

sentiva la mano leggera che quasi pareva sfuggire

sì come acqua chiusa da mano, pura alla fonte,

e ne sentiva allora un dolore cocente per lo svanire d'un dono.

Aveva temuto il fluire del tempo alla luce diurna

ed ora che dalle mani via fluisse la vita

sì come acqua chiusa da mano, pura alla fonte.

Lieve era la mano, piccola gracile e fredda

timorosa dell'aria quale alato nel nido ignaro

ancora del balzo. Oh, afferrarla, stringerla ancora poteva,

ma la sentiva appena, pur fra le dita nervose,

avvezze al tocco leggero a delicate corde di lira.

E pensava come a sogno lontano all'amata d'un tempo,

come in un sogno amata, alla vivida luce dell'alba.

Splendida giovinezza, la bruna chioma coronava le spalle,

il viso raggiante di gioia, inebriata dell'uomo fedele

e suo per sempre creduto; suo per sempre egli era.

L'amava più degli occhi suoi, della luce del sole,

dell'aria limpida e radiosa o le ridenti distese del mare

o dei fulgidi monti o nel crepuscolo le alte nubi di fuoco

o degli stormi alati o del canto solitario sui verdi rami.

Ma qui l'uno all'altra come ombre erano fugaci,

l'uno per l'altra un'ombra, intangibile forma arcana

come chi vede ombre sul muro teme l'oscura

insidia, l'oscuro alitare che ci coglie sul collo in un bacio

mortale. E una forza tremenda lo strinse a volgere il capo

verso l'amata, l'angoscia che lei potesse sfuggire

via per sempre, per sempre nel buio fosse perduta.

E lei allora quale vano fantasma si spense

nel nero nulla e nulla rimase a lui nella mano.






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