… e un tempo io fui un ragazzo e una ragazza
e un arbusto e un uccello e del mare un pesce muto.
Empedocle
Nuotavo veloce presso gli scogli
fra i pesci minuti e lucenti
e il sole dardeggiava sopra di me
come a illustrare la via sonora,
fra il riso dell’onde innumerevoli.
E inquieto fra mille pensieri fiottanti
fluivo corrente nell’iride del mare
ai venti agitati fra spume nei guizzi.
Correva la mente tra i cori echeggianti
di canti gioiosi nell’acque glauche,
auree quali corone alle salmastre chiome
come alghe su rocce, e canti, canti
risonavano ancora da solari lavacri.
Come nella prima età del mondo
ogni cosa intendevo al primo sguardo,
di saggezza specchio, senza raziocinare.
E venne il presagio della nuova età
e fiorì la luce sulle criniere del mare
ed ignota s’aprì nella mente una porta.
Come un innocente figlio della terra
conobbi la vera profondità del mare
e la vidi allora nel grembo delle acque.
La vasta coscienza dell’essere fluttuava
nelle onde del saggio canuto e il canto
potevo ora udire delle sirene.
Fuggi lontano dall’inganno dei sogni,
dei desideri fuggi la trama, la rete
come di ragno. Libero accogli
la sorte dei padri. Brillavano i pesci
sulle alghe più verdi, il fondo
scorgevo nel luminoso meriggio. Allora
compresi l’eterno infinito respiro.
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