Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio, Milano, Cavallotti editori, 1950
Trad. di Berto Minozzi
Già dal primo capitolo si nota la capacità di analisi psicologica dell’autrice e il fine umorismo. Un ricco e giovane signore ha preso in affitto una villa in provincia e i coniugi Bennett pensano al futuro matrimonio delle loro figliole. La moglie vorrebbe destinarlo per marito a una delle sue figlie.
Il cap. II brilla per fine umorismo nel lieve screzio tra marito e moglie, dove il marito si diverte a prendere in giro la consorte, tra lo stupore delle figlie. Siamo tra Laurence Sterne e Charles Dickens.
Nel cap. III, alla festa da ballo compare oltre a Bingley il suo amico Darcy, ricco il doppio di lui, e naturalmente catalizza l’interesse generale, sennonché è tremendamente antipatico.
Una caratteristica dei romanzi della Austen è che si tratta di ritratti psicologici immersi nel colore dell’epoca e risolti in dialoghi tra quattro mura. Si tratta della vita quotidiana dell’alta borghesia inglese ai primi dell’Ottocento, soprattutto del mondo femminile, i cui interessi, com’è ovvio, si limitano a combinare e fare un buon matrimonio. La vicenda si svolge sempre al chiuso o per lo meno in luoghi circoscritti e abbondano i personaggi e le comparse. La varietà umana parimenti non manca, perché oltre ai gentiluomini compassati, eleganti, e più o meno cortesi, troviamo tipi comici come ad esempio il signor Collins.
I personaggi rispecchiano l’attitudine all’analisi psicologica propria dell’autrice e dunque Elisabetta studia con attenzione il signor Darcy, senza però avvedersi del fatto che quest’ultimo è invaghito di lei. Nella relazione ostile tra Darcy e Wickam ella fa mille congetture durante un ballo in casa Bingley. Lo sfondo infatti dei dialoghi come delle schermaglie amorose è quasi sempre un interno.
Nel cap. XX la scena della dichiarazione d’amore a Elisabetta da parte di Collins è veramente comica. La Austen delinea la rappresentazione del rifiuto in tutte le sfumature della sua raffinata conoscenza del cuore umano. Tutte le vicende del romanzo, d’amore naturalmente, sono presentate nella loro problematicità psicologica con una profondità degna di una grande scrittrice. L’amore per una giovane donna nella società dell’epoca e il matrimonio sono presentati nel loro duplice aspetto di sentimento e di interesse. Così si ondeggia tra convenienze sociali e aspirazioni del cuore, in attesa di una vittoria degli affetti sinceri non sempre scontata. Vengono in mente, alla lettura, gli sceneggiati televisivi inglesi, ambientati nei primi dell’Ottocento, e che sicuramente hanno a modello i romanzi della Austen.
Nel cap. XXXIV l’antipatico ma nobile Darcy chiede improvvisamente con uno strano discorso un po’ impertinente la mano di Elisabetta, la quale oppone il suo rifiuto. Anche qui la Austen eccelle nel dialogo, ponendo in rilievo i diversi stati d’animo delle due parti e le loro emozioni.
Nel capitolo seguente le rivelazioni su Wickam, contenute in una lettera di Darcy che lo stesso consegna ad Elisabetta, introducono elementi tali di novità da cominciare a ribaltare ogni precedente prospettiva.
Nel cap. XLII l’analisi sottile della psicologia del padre di Elisabetta, il signor Bennett, è frutto di una profonda capacità di considerare l’animo umano e di valutarne tutti i pregi come le intrinseche contraddizioni. Il romanzo dimostra in effetti un’abilità introspettiva assolutamente straordinaria. Così come esprime una visione disincantata e realistica della vita nella rappresentazione del rapporto coniugale tutt’altro che romantico tra il signor Bennett e la consorte, che, avendo il difetto di essere una sciocca, viene quasi tollerata con ironia e talvolta dissimulato scherno dal marito.
Nel cap. XLIII un casuale incontro durante un viaggio di piacere rivela ad Elisabetta il vero Darcy. Ella non è ancora del tutto disposta a riconoscere l’amabilità del giovane, ma il suo cuore comincia lentamente ad accoglierlo.
Al cap. XLVIII il personaggio del signor Bennett, di ritorno da Londra nel fallito tentativo di ritrovare una figlia (Lidia) fuggita con l’avventuriero Wickam, è veramente umoristico, direi alla fine del capitolo quasi comico nell’arguzia mordace e nella consapevolezza disincantata dell’ocaggine di sua figlia Caterina.
In seguito il signor Bennett è costretto ad accettare l’avvenuto matrimonio tra sua figlia Lidia e Wickam. Riceve i due sposi in casa sua e, mentre la moglie si felicita con loro presa dall’entusiasmo, egli mostra tutta la propria scontentezza, anche se non può manifestarla a parole. In questo frangente Elisabetta apprende la strana notizia di un coinvolgimento diretto di Darcy nel matrimonio, anche se quest’ultimo ha sempre dimostrato avversione nei confronti di Wickam. Elisabetta apprende dalla lettera della zia Gardiner che il coinvolgimento di Darcy nel matrimonio di Wickam è probabilmente dovuto all’affetto che Darcy nutre per lei. Elisabetta subito stenta a crederci, ma progressivamente i suoi pensieri si avvicinano sempre più a Darcy.
La sorella Jane riceve la proposta di matrimonio da parte del signor Bingley e anche in questo episodio, qua e là, trapela la fine ironia dell’autrice, nella constatazione che la famiglia Bennett, segnata a dito come la più disgraziata del vicinato a causa del matrimonio di Lidia con Wickam, ora sia considerata la più fortunata e felice a causa della futura unione tra Jane e il ricchissimo Bingley.
In occasione del fidanzamento di Bingley e Jane si presenta anche Darcy che rivela ad Elisabetta il suo amore. Elisabetta comprende l’errore del suo pregiudizio e lo ricambia sinceramente. Così invece di uno si festeggiano due fidanzamenti. Il romanzo è basato su questi mutamenti di prospettiva e su una fine analisi psicologica che rivela un’autrice matura e geniale. In effetti la Austen brilla proprio per questa sua capacità di sondare il mistero del cuore umano senza dare nulla per scontato, almeno per la prima metà della sua opera. Poi, come è naturale trattandosi di un romanzo, la vicenda prende una certa direzione e volge al lieto fine. E il romanzo termina come una bella fiaba, dove Biancaneve o Cenerentola incontrano l’amore di un principe azzurro e ricorre la formula consueta “e vissero felici e contenti”.
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